Non c'è posto per i siriani nelle monarchie del Golfo

da Il Corriere del Ticino del 17 settembre

Mentre l’Europa è travolta dai flussi migratori le ricche monarchie del Golfo sono sotto accusa per il rifiuto a ospitare i siriani fuggiti dalla guerra civile.
Qatar, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Oman ed Emirati Arabi Uniti hanno accolto l’anno scorso complessivamente poco più di un migliaio di rifugiati e richiedenti asilo tra i 4 milioni che affollano i campi istituiti in Turchia (1,8 milioni di siriani), Libano (1,2 milioni), Giordania (630 mila), Egitto (133 mila) e persino in Iraq, che nonostante la guerra all’ISIS abbia provocato milioni di sfollati ospita 248 mila siriani.

Neppure le richieste ufficiali dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati hanno sortito l’effetto di smuovere i regni del Golfo che registrano i PIL pro-capite più alti del mondo e dove già vivono milioni di lavoratori stranieri.

Eppure questi Stati, insieme alla Turchia, hanno molte responsabilità nell’esodo di milioni di siriani armando e finanziando le milizie jihadiste che hanno strappato quasi il 70 per cento del territorio al regime di Assad. La gran parte dei profughi e degli sfollati fuggono infatti dalle regioni “liberate” dai miliziani.

Eppure solo i sauditi sarebbero in grado di ospitare immediatamente 3 milioni di persone in tendopoli perfettamente attrezzate realizzate per ospitare i pellegrini diretti alla Mecca e utilizzate solo 5 giorni all’anno: la “città di tende” di Mina (foto sopra e sotto)

Il professor Michael Stephens, del Royal United Services Institute, rileva che le monarchie del Golfo temono infiltrazioni di terroristi o fedeli al regime di Assad ma anche che la permanenza a tempo indefinito di rifugiati siriani provochi squilibri demografici in Paesi orientati a un veloce ricambio della folta manodopera straniera per scongiurare il rischio di destabilizzazione interna.

Non mancano però le voci critiche nel mondo arabo. Un editoriale sul quotidiano “al-Quds al Arabi” ha sottolineato che “i profughi arabi e musulmani arrivati nella terra degli infedeli europei hanno trovato quella generosità e magnanimità che non avevano nei Paesi cosiddetti fratelli”.

Il giornale non esita a parlare di “fallimento degli arabi come sistema collettivo in grado di adottare una strategia comune nonostante la gravità della crisi umanitaria” mentre “gli aiuti massicci annunciati da alcune persone sono finiti nei buchi neri della corruzione o nei conti bancari di alcuni leader dell’opposizione e delle loro organizzazioni”.

Un riferimento agli aiuti umanitari ai profughi siriani che hanno visto i Paesi del Golfo stanziare dal 2012 oltre un miliardo di dollari mentre l’unica disponibilità concessa in termini di accoglienza è stata l’estensione dei visti per i lavoratori siriani che da anni risiedono nel Golfo, mezzo milione solo in Arabia Saudita.

Le monarchie sunnite non hanno mai aderito alla convezione dell’Onu sui rifugiati del 1951 e del resto appare evidente che i flussi verso l’Europa siano favoriti da Ankara come conferma l’affollamento riscontrabile sulla rotta balcanica dopo l’annuncio di nuove elezioni in Turchia.

Oltre a ridurre il malcontento popolare per i troppi immigrati, Ankara punterebbe anche a liberarsi dei rifugiati siriani più “scomodi” perché di etnia curda o di religione cristiana e sciita.

Fonti d’intelligence citate dal francese Le Point riferiscono che Ankara consegna passaporti falsi ai migranti in partenza e la sua Guardia costiera chiude gli occhi al passaggio dei gommoni diretti in Grecia.

Di certo i flussi migratori avranno un peso rilevante nell’incremento della presenza islamica nel Vecchio Continente. Come riporta il quotidiano libanese al-Diyar, gli stessi sauditi che non vogliono ospitare rifugiati siriani hanno offerto a Berlino di costruire a loro spese 200 moschee per quelli accolti in Germania.

Foto: AP, AFP, Reuters e Akram S. Abahie

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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