Ecco la lista delle (poche) armi italiane ai curdi

Duecento mitragliatrici con 650mila munizioni e duemila razzi per Rpg, “regolarmente funzionanti”. Sono questi gli equipaggiamenti che dovrebbero partire dall’Italia verso l’Iraq, destinate al governo regionale del Kurdistan. La consegna inizierà “al termine della prima decade di settembre” ma prima occorre  il via libera dal ministero dell’Economia per la copertura delle spese: un milione e 900mila euro. Il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha fornito ieri alla Camera i dettagli delle forniture ai curdi.
Si tratta di:
–     100 mitragliatrici 42/59 calibro 7,62 con 100 treppiedi con  250mila munizioni
–     100 mitragliatrici M-2 Browning calibro 12.7 con  250mila munizioni
–    1.000 razzi per Rpg 7
–    1.000 razzi per Rpg 9
–    400mila proiettili calibro 7,62 per mitragliatrici di fabbricazione sovietica

Razzi e munizioni per mitragliatrici di tipo sovietico provengono dai materiali confiscati nel 1994 sulla nave Jadran Express che tentava di violare il blocco alle forniture belliche in ex Jugoslavia. Il ministro ha sgombrato il campo dai dubbi circa la legittimità della fornitura ai curdi e l’efficienza del materiale assicurando che  “le armi sono funzionanti e c’è una norma che dice che possono essere usate a fini istituzionali, dunque non vedo dove sia il problema”.

Apprezzabile la trasparenza con cui il ministro Pinotti ha finalmente fornito dati circa le armi destinate ai curdi  che altri Paesi europei avevano comunicato già da diversi giorni. Analisi Difesa, che combatte da anni la “battaglia” per la trasparenza nelle informazioni relative alle forze armate, aveva evidenziato questo gap mediatico e l’auspicio è che le informazioni fornite dal ministro possano costituire l’inizio di un’apertura positiva in tal senso rispetto ai silenzi, alle chiusure e alle vere e proprie censure attuate da tutti governi precedenti indipendentemente dal loro colore politico.

In questo contesto ieri il ministro ha riferito anche dei 2 droni Predator A Plus schierati da oltre un mese a Gibuti, finora nel silenzio più totale delle istituzioni.  Circa lo sforzo militare nazionale in Somalia nell’ambito della missione europea EUTM guidata dal generale Massimo Mingiardi e attiva nell’addestramento delle forze somale la Pinotti ha riferito che “ la presenza media di nostro personale, per il secondo semestre, è di 110 militari a cui si uniscono 70 unità in media per le attività attuate con due velivoli a pilotaggio remoto schierati a Gibuti per il concorso alle unità navali e per la sorveglianza dell’area di interesse”.

Interessanti anche i dettagli forniti circa la base italiana a Gibuti dove “è ormai funzionante la Base Nazionale di Supporto, fondamentale per il sostegno logistico di tutti i contingenti che operano nella regione. Nella Base saranno presenti 135 unità fino al completamento delle attività di predisposizione e sole 63 unità a regime. A tal riguardo è in corso di dispiegamento un’attività formativa a favore della polizia Somala.”

Tornando alle forniture di armi ai curdi emergono due aspetti critici. Il primo riguarda le modalità di consegna delle armi. “Acquisito il consenso delle autorità di Baghdad – ha informato Pinotti – sono in corso di finale perfezionamento le attività diplomatiche, organizzative e logistiche finalizzate al trasporto e alla consegna” delle armi per i peshmerga. I contatti, sia con le autorità centrali che con quelle regionali, puntano a stabilire le modalità di consegna, nonché il controllo del materiale d’armamento affinché non finisca nelle mani sbagliate”.

Più che giusto controllare in che mani finiscano le armi italiane sia per la presenza di diverse milizie curde sia perché i miliziani dello Stato Islamico hanno invaso il Nord Iraq con le armi comprate da occidentali e arabi per i ribelli “moderati” siriani. Non si può però dimenticare che le autorità curde hanno già lamentato l’intervento di Baghdad a fermare o ritardare la consegna delle armi donaste dalla comunità internazionale al Kurdistan. Non v’è dubbio infatti che se oggi le truppe scite irachene combattono al fianco dei curdi contro lo Stato Islamico, Baghdad teme che il possesso di armi pesanti ossa rafforzare le pretese indipendentistiche curde.

Il secondo aspetto critico riguarda la modesta quantità di armi e munizioni fornita dall’Italia, molto inferiore alle aspettative e a quanto ci si poteva attendere dopo la visita di Matteo Renzi a Baghdad e Erbil soprattutto se si valuta che le mitragliatrici MG e Browning disporranno di appena 2.500 colpi ognuna, Ciò signifca che se i curdi non troveranno altrove altri munizioni di quel tipo potranno impiegare le mitragliatrici solo come “clave”.

Per fortuna dei curdi molti altri Paesi stanno fornendo quantità di armi e munizioni meno irrisorie degli italiani. Basti pensare che la Germania sta mettendo a disposizione dei curdi  materiali per 70 milioni di euro: 5 veicoli trasporto truppe Dingo, 30 lanciatori di missili anti-carro Milan (nella foto a sinistra) con 500 missili, 240 lanciarazzi Panzerfaust con 3.500 razzi, mille bombe a mano, 8.000 fucili d’assalto G3 con 2 milioni di munizioni e 8 mila G-36 con 4 milioni di proiettili, 40 mitragliatrici MG con un milione di proiettili più elmetti, giubbotti antiproiettile, tende e radio idonei a equipaggiare migliaia di combattenti.
La piccola Repubblica Ceca ha donato 18 milioni di proiettili calibro 7,62, 5 mila razzi per Rpg-7 e 5 mila bombe a mano per un valore di 2 milioni di dollari che verranno trasportati da aerei cargo statunitensi.
Persino l’Albania farà di più dell’Italia per i curdi donando 15 mila granate d’artiglieria, 22 milioni di proiettili per kalashnikov, 32 mila proiettili per mortai e munizioni per lanciagranate. Munizioni che l’Italia si è offerta di trasportare in Iraq con un costo che non è noto se si aggiungerà ai quasi 2 milioni di euro necessari per trasportare le nostre forniture o se è già compreso in quella valutazione di spesa.

Il ministro Pinotti non ha escluso ulteriori iniziative affermando che  “In base all’evolversi della situazione contingente non è esclusa anche la possibilità di individuare, qualora richiesto, ulteriori forme di cooperazione e di supporto a favore delle Autorità irachene, sempre in coordinamento con la Comunità Internazionale”.
Tuttavia l’impegno italiano per i curdi pare ridimensionato sensibilmente forse anche in seguito alle riflessioni di Arturo  Parisi, l’ex ministro della Difesa del governo Prodi che nei giorni scorsi aveva evidenziato come l’aiuto militare alò Kurdistan ponesse l’Italia in uno stato di guerra con lo Stato Islamico.

“Dare ai Curdi le armi per combattere lo Stato Islamico e farlo con una decisione istituzionale alla luce del sole, significa riconoscere il nostro coinvolgimento in un conflitto che è difficile non chiamare guerra” ha affermato Parisi in un’intervista a Formiche.net.  “Dare armi ai Curdi e dargliele direttamente, ancorché nel rispetto della statualità irachena è infatti in se’ un riconoscimento di una loro soggettività internazionale aperto sul futuro. E dargliele esplicitamente per combattere la jihad è una scelta di campo che ci compromette nel presente”. Valutazioni non certo irrilevanti che potrebbero aver indotto il governo a ridimensionare l’impegno italiano limitandolo a un aiuto poco più che simbolico.

Circa gli altri “fronti” che vedono l’Italia esposta, il ministro Pinotti ha sottolineato durante la sua audizione che il personale italiano militare impiegato in missioni internazionali è in calo. “Complessivamente, si registra rispetto al primo semestre 2014 una diminuzione del personale militare da 4.725 a 4.178 unità. In particolare, con riferimento alla missione Isaf, per la quale è stata avviata la fase di ripiegamento del contingente, la riduzione della consistenza media è da 2.250 a 1.500 unità”.
Solo ipotesi circa la missione addestrativa “Resolute Support” che la NATO dovrebbe attuare con la partecipazione italiana in Afghanistan a partire dal 2015 ma ancora incerta considerato il caos istituzionale che regna a Kabul.

Dopo il 31 dicembre 2014 “ potrà operare una nuova missione, molto più piccola come consistenza organica e con esclusivi compiti di addestramento e consulenza alle forze afgane, che sono ancora bisognose di aiuto in alcuni settori tecnico-specialistici e di supporto logistico” ha ribadito il ministro aggiungendo che ”tale missione potrà concretamente prendere avvio a condizione che, prima del termine di Isaf, si concluda con il governo afgano un nuovo accordo sullo status giuridico delle forze internazionali”. In tal caso il ministro ha aggiunto che “se l’Italia parteciperà e con quale entità” a una nuova missione in Afghanistan “sarà una scelta che verrà fatta dal Parlamento. Ancora non è stato deciso nulla”, anche se Roma ha già da tempo dato insieme alla Germania la disponibilità a mantenere un contingente di circa 800 militari a Herat.  L’impressione è che l’emergenza costituita dalla sempre più grave crisi libica possa richiedere all’Italia un impegno prioritario.

Foto: Difesa.it, Isaf RC-W, Formiche.net, Stato Islamico, Ezydi Press, Anadolu/Getty Images

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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