Yemen: sauditi ed emirati cercano "carne da cannone"

da Libero Quotidiano del 12 aprile

L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e le altre petromonarchie del Golfo impegnati nella guerra ai miliziani sciiti nello Yemen non nascondono ira e delusione per la decisione del Pakistan di non partecipare al conflitto yemenita.
Nonostante le forti pressioni arabe il Parlamento di Islamabad ha suggerito al governo guidato dal premier Nawaz Sharif di mantenere la neutralità in una guerra che vede contrapposti sauditi e alleati del Golfo all’Iran, Paesi con cui il Pakistan mantiene ottime relazioni.

La risoluzione votata all’unanimità dai parlamentari pakistani chiede alle “parti in conflitto di risolvere le divergenze in modo pacifico con il dialogo”.  Nel testo, votato all’indomani del colloquio a Islamabad tra Sharif e il capo della diplomazia iraniana Mohammad Javad Zarif, si sottolinea come il “Pakistan debba restare neutrale rispetto al confitto in Yemen in modo da poter giocare un ruolo positivo a livello diplomatico per porre fine alla crisi”.

Una decisione che soddisfa Teheran ma fa infuriare le monarchie sunnite del Golfo che contano su Pakistan ed Egitto per fornire le truppe necessarie alla fase terrestre dell’offensiva scatenata a fine marzo contro gli Houthi, quell’operazione “Tempesta Decisiva” rivelatasi in realtà tutt’altro che “decisiva” in un conflitto che vede le milizie sostenute dall’Iran avanzare in tutto l’ovest del Paese occupando la costa del Mar Rosso e del Mare Arabico fino ad Aden, in  buona parte in mano agli sciiti.

Nell’est invece sono le milizie di al-Qaeda ad approfittare del caos dello Yemen per assumere il controllo di intere ragioni e dei valichi di frontiera con l’Arabia Saudita. Il disastroso bilancio di due settimane di intervento delle forze arabe sancisce il fallimento dell’ennesima illusione bellica di poter vincere solo con aerei e navi ma senza mettere soldati sul terreno, sembra aver reso le monarchie sunnite molto nervose.

Venerdì il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash, ha definito “inattesa, contraddittoria e pericolosa” la posizione di Islamabad.  L’area del Golfo si trova di fronte a “una seria minaccia alla propria sicurezza”, ha ricordato Gargash, ed è “in questi momenti che si distingue un vero alleato da uno che si mostra tale solo nelle dichiarazioni alla stampa”.

Dichiarazioni che mettono a rischio i rapporti tra Pakistan e Arabia Saudita, finora solidissimi anche sul piano militare. Consiglieri militari pakistani addestrano da sempre le truppe di Riad, reparti militari di Islamabad sono presenti anche in questi giorni in territorio saudita per esercitazioni mentre i petrodollari di Riad hanno finanziato l’intero programma nucleare che ha portato  il Pakistan a disporre di un arsenale atomico e di missili balistici in grado di bilanciare le armi atomiche indiane.

Secondo molte indiscrezioni il deterrente pakistano risulterebbe a disposizione dei sauditi in caso di minaccia iraniana.

Il Parlamento pakistano, pur dichiarando la neutralità del Paese rispetto al conflitto nello Yemen, ha ribadito “il sostegno inequivocabile al regno e afferma che in caso di violazione della sua integrità territoriale o di minacce, il Pakistan sarà al fianco dell’Arabia Saudita e del suo popolo”, oltre a esortare il governo Sharif a collaborare con le monarchie del Golfo nella lotta al terrorismo.

Islamabad non sembra però disposto a mandare i suoi soldati a morire sui monti yemeniti nel “Vietnam dei sauditi” mentre a Riad e negli emirati cresce la consapevolezza che i propri eserciti, pur se modernamente equipaggiati sono privi di esperienza bellica e i cittadini in uniforme soldati sono troppo ricchi (dalla nascita, grazie alle rendite petrolifere distribuite a tutti i cittadini) per andare a farsi ammazzare dai pastori Houthi sulle montagne yemenite.
Foto TMNews e New York Times

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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