Intelligence e forze speciali

e Claudio Masci

 

L’emendamento proposto all’articolo 18 del “Disegno di legge A.S. n. 1917 – Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni Internazionali”, del giugno 2015, ha suscitato una serie di reazioni di segno opposto (favorevoli e contrarie) poiché introduce, in un contesto di specifiche norme giuridiche e regolamentari, provvedimenti di natura intelligence.

In particolare l’emendamento recita: ”Il Presidente del Consiglio dei Ministri emana, sentito il COPASIR, disposizioni per l’adozione di misure intelligence di contrasto anche in situazioni di crisi o di emergenza all’estero che coinvolgano aspetti di sicurezza nazionale o per la protezione di cittadini italiani all’estero con la cooperazione altresì di assetti della difesa.”

A prescindere dall’ossimoro concettuale che contrappone norme comportamentali ben precise – aventi rilevanza penale – a procedure intelligence non codificate né codificabili, nel merito va considerato prima di tutto che ogni Paese ha una propria architettura intelligence, frutto del retaggio di vicende storiche, tradizioni, cultura, vicende politiche, norme giuridiche ed etiche che difficilmente possono essere imitate o trasferite in altri contesti. Queste peculiarità hanno finora sorretto l’architettura informativa e di sicurezza nazionale ove il rapporto intelligence è stato basato sulla tutela degli interessi vitali nazionali  che rende impossibile la “cooperazione intelligence” a livello internazionale.

L’Intelligence è un prodotto  informativo con capacità previsionali destinato esclusivamente al massimo decisore politico nazionale (per l’Italia il Presidente del Consiglio dei Ministri),  per il quale costituisce un prezioso supporto nelle decisioni politiche di vertice a tutela della sicurezza nazionale di cui solo il “Decisore ultimo”  può disporre, per evitare danni all’intero Paese.

Infatti, tale prodotto:
    ha notevole rilevanza sulle decisioni che Egli dovrà assumere;
    incide su rapporti con Stati terzi, tant’è che la legislazione nazionale li tutela con il “segreto di stato”;
    sviluppa una attività di “diplomazia parallela”, rispetto a quella svolta dal MAE, quando l’oggetto o il contenuto dei rapporti siano tali da dover essere tenuti segreti o informali, in modo da non impegnare direttamente e formalmente le Autorità degli Stati stessi, ovvero quando si debbano avviare contatti con Governi non riconosciuti o addirittura formalmente catalogati come avversari;
    è incardinato su principi fondamentali fra cui, in primis, il “need to know”. I tentativi di spostare questi paletti verso il “need to share” si sono finora risolti in  crisi politico-diplomatiche se non addirittura in danni incalcolabili  al patrimonio informativo, che confermano il noto aforisma  di De Gaulle secondo il quale : ”Gli Stati non hanno amici ma solo interessi”.

Per tali motivi è erroneo parlare di scambio di Intelligence a livello internazionale, ove è solo possibile lo scambio di informazioni per la tutela di interessi vitali comuni con limiti e regole ben definiti.

Tant’è che non è ancora possibile, nonostante i vari sforzi che si stanno compiendo  nel merito, costituire un unico sistema intelligence sia in ambito organismi internazionali alleati sia in quelli sovranazionali come la EU, poiché sia negli uni che negli altri manca ancora una politica estera ed  una politica di difesa unica.

Cercare di importare in maniera surrettizia nella struttura di intelligence e sicurezza nazionale forme di attività tipiche di altre organizzazioni potrebbe riportarci non solo su storture che per vari anni sono state all’attenzione dell’ A.G. e che hanno posto gli 007 nazionali a processi di piazza o addirittura alla gogna mediatica, ma anche a perseguire e tutelare interessi vitali che non siano nazionali ma di altre  potenze.

L’emendamento, così come proposto, non illumina molto sulle intenzioni del legislatore, sia per la vaghezza ed indeterminatezza del dispositivo, sia per l’inserimento di procedure di intelligence in un contesto esclusivamente operativo di militari italiani all’estero in cui si fissano regole ben precise di ingaggio, procedure, comportamenti e applicazione di Codici Penali Militari di Guerra o di Pace, a seconda delle situazioni. Per contro le procedure di Intelligence – ancorché di contrasto – non possono essere preventivamente prestabilite, ma individuate di volta in volta a seconda della tipologia di avversari e della specificità delle situazioni.

Nel merito va sottolineato che le procedure di contrasto intelligence sono ben diverse dalle operazioni delle forze speciali: pertanto si ritiene opportuno non confondere metodologie proprie degli apparati informativi per neutralizzare la minaccia avversaria – che tra l’altro sono segrete e non possono essere rivelate nemmeno a servizi amici – con attività di supporto operativo delle forze speciali per conseguire uno specifico obiettivo, già determinato, individuato e localizzato dell’Apparato Intelligence.

In sintesi, il compito degli Organismi di Informazione non é quello di reprimere reati o di effettuare operazioni da “Rambo” ma di individuare e prevenire e, quindi, contrastare quelle minacce che mettono in pericolo la salus rei publicae, rapportata ai quattro elementi costitutivi dello Stato moderno:

    garantire l’integrità del Paese ed il suo ordinamento costituzionale, tutelando le Istituzioni pubbliche e private;
    proteggere le persone ed i loro beni ubicati sia sul suolo nazionale sia all’estero;
    rendere sicura la struttura economica e tutti gli approvvigionamenti di materie prime e di materiali strategici;
    preservare la sovranità nazionale da sfide e pericoli, insorgenti in un quadro di relazioni sistemiche sempre più strette ed interdipendenti.
“A pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca sempre”, diceva il Sen. Giulio Andreotti perché si ha l’impressione che l’emendamento sia il frutto delle mai sopite aspirazioni dell’establishment militare a gestire gli “arcana imperii”, esclusione già avvenuta con la legge 801/77.

Per appagare simili velleità la “nomenklatura” militare sembra stia continuando ad operare per strade diverse ma tutte convergenti verso un unico obiettivo, muovendo con il cosiddetto “passo del leopardo”, per passare sotto le concertine di sbarramento politico che hanno finora contenuto, ovvero ostacolato la costituzione del terzo Apparato di Sicurezza – cioè un terzo Servizio di Intelligence, quello militare (oltre agli altri due Apparati, AISE e AISI, coordinati dal DIS) – che molti Stati europei ed atlantici hanno da tempo costituito.

Sembra che il fine sia quello di potenziare e rendere più efficace l’”anemico” RIS, l’attuale II Reparto Informazioni e Sicurezza dello Stato Maggiore Difesa, passando prima per la  costituzione della Brigata Forze Speciali e poi inserendo emendamenti alle normative di interesse militare, in corso di elaborazione da parte del Parlamento, per raggiungere lo scopo.

Se questi sono i reconditi  propositi, occorre sottolineare che ambiguità e reticenze sono categoricamente da escludere nel rapporto fra Decisore politico e strumento intelligence perché contribuiscono all’“annientamento” di un rapporto  di fiducia indispensabile ad entrambi che, allo stato attuale, è ancora precario e condizionato da molti preconcetti.

Meglio sarebbe operare apertis verbis, specificando che la globalizzazione oltre ad  “esigere” un nuovo modello dello strumento militare ha anche imposto missioni militari operative all’estero per il cui assolvimento necessitano nuove attitudini e poliedriche capacità degli operatori.

Occorre, insomma, una cultura di tipo nuovo, adatta a comprendere le interazioni e i mutamenti del nostro tempo, che sia anche in grado di esplorare motivi culturali, linguistici e fisiognomici e di comprendere, per quanto possibile, la forma mentis di culture lontane dalla nostra

Le nuove emergenze hanno conferito un peso schiacciante alla conoscenza acquisita sul campo, attraverso l’interiorizzazione di schemi e di alternative adottati per la soluzione di casi specifici che hanno ampliato e arricchito, però, solo il patrimonio di professionalità degli operatori.

Questo valore aggiunto non viene messo a frutto, ma disperso nell’ambito dei vari Reparti che si sono avvicendati nelle citate missioni. Occorre canalizzarlo e strutturarlo per rendere più costruttive ed efficaci le nostre missioni fuori area, nella considerazione che negli odierni scenari il fattore informativo umano costituisce, ancora una volta, la conditio sine qua non del successo.

Presupposto indispensabile é che venga affidato l’appropriato ruolo alla Humint senza la quale é difficile, se non impossibile, conseguire vantaggi sugli avversari. Si tratta di un dato tratto dall’esperienza sul campo e la “teorizzazione scientifica” non può fare a meno di tenerne conto.

Per questo è necessario costituire un terzo Apparato di Intelligence militare a supporto delle operazioni estere in analogia a quanto praticato dagli Alleati, con  competenza limitata all’aera operativa e subordinato alle “linee guida” di intelligence strategica dettate dall’AISE tramite il DIS, al quale Apparato di Intelligence militare estendere le stesse garanzie funzionali accordate alle altre due strutture operative (AISE ed AISI).

Dotare il Ministro della Difesa di uno strumento intelligence direttamente dipendente, oltre a rendere più efficace e tempestiva la collaborazione sul campo, gli consentirebbe di assolvere con maggiore efficacia gli impegni internazionali cui deve assolvere.

In sintesi l’architettura intelligence nazionale potrebbe assumere la configurazione simile ai corrispondenti Servizi britannici (MI6, MI5 e Defence Intelligence), costituendo l’Agenzia di Intelligence militare e  trasferendo l’AISE (Agenzia informazioni sicurezza esterna) alle dipendenze del Ministro degli Affari Esteri, fermo restanti l’AISI (Agenzia informazioni sicurezza interna) alle dipendenze del Ministro dell’interno ed il DIS alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei Ministri o dell’Autorità Delegata. Struttura peraltro vagheggiata all’epoca dell’istituzione della legge 801/77.

Inoltre è auspicabile che gli interventi nei teatri operativi esteri siano concepiti con una procedura integrata, “comprehensive approach” – già “predisposta, collaudata e certificata”, con tutte le sue componenti in patria, ove è più facile e sicuro realizzarla, nel contesto di una maggiore integrazione interforze – di modo che civili e militari, nella piena osservanza dei rispettivi ruoli, possano collaborare pienamente ed efficacemente e siano in grado di conoscere e capire la cultura della popolazione locale che sono chiamati a sostenere e difendere.

In tali frangenti il termine “difesa” non va limitato all’uso legittimo delle armi per vincere una resistenza o respingere una violenza, ma va esteso al rispetto di usi, costumi, religione e tradizioni locali, necessario per avviare approcci finalizzati a sottrarre consenso agli insorti ed a contribuire alla pacificazione dell’area.

Ed é nel comprehensive approach – approntato per fronteggiare casi di crisi/emergenze – che va collocato lo strumento di intelligence militare sia per sostenere il tradizionale impiego dell’apparato militare/civile sia per supportare l’azione delle Forze Speciali.
Adottare soluzioni posticce o cercare di accaparrarsi, ancorché temporaneamente, i vantaggi economici degli operatori intelligence, oppure comportarsi come l’acqua che segue la via di minor resistenza, senza affannarsi nella ricerca di soluzioni efficaci, ricorrendo a vari escamotages, non produce “sicurezza nazionale”.

Lo “spaghetto spy” non fa correre troppi rischi, né pone sotto stress nel tentativo di reclutare una fonte, che peraltro potrebbe concludersi in un nulla di fatto o peggio ancora nel reclutamento di un potenziale doppio-giochista. Non sono certo questi i metodi che consentono di sviluppare un’attività informativa di serie A, perché gli interessi di governi stranieri raramente coincidono con gli interessi vitali nazionali.

In conclusione, l’adozione dell’emendamento farebbe assumere al  brocardo, così come dettato, il significato attribuitogli dal  senatore Felice Casson, già magistrato d’assalto il quale  sostiene che  la variante è un tentativo di creare, nel pieno della disattenzione per le ferie di agosto, “un sistema di intelligence parallelo non meglio individuato e soprattutto con le coperture che, in via del tutto eccezionale, la legge del 2007 ha riconosciuto agli agenti dei servizi segreti.”

L’ex magistrato fa specifico riferimento alle garanzie funzionali della clausola di non punibilità per gli eventuali reati commessi durante una missione e della possibilità di opporre il segreto di stato alle indagini della magistratura.

Foto: Difesa.it, Repubblica, ANSA, Alberto Scarpitta. Marina Militare

Luciano PiacentiniVedi tutti gli articoli

Brevettato incursore, è stato Comandante di Unità Incursori nel grado di Tenente e Capitano. Assegnato allo Stato Maggiore dell'Esercito, ha in seguito comandato il 9. Battaglione d'Assalto Paracadutisti "Col Moschin" e successivamente ricoperto l'incarico di Capo di Stato Maggiore della Brigata Paracadutisti "Folgore". Ha prestato la sua opera negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico.

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