VERSO UN INEDITO ASSE ANKARA-MOSCA-DAMASCO?

Chi l’avrebbe detto solo due settimane or sono che Recep Tayyp Erdigan sarebbe arrivato ai ferri corti con gli Stati Uniti palesando possibili alleanze con la Russia di Vladimir Putin a cui in novembre i jet F-16 turchi avevano abbattuto un bombardiere Sukhoi?

Dettaglio forse non trascurabile: pare che tra i militari arrestati con l’accusa di essere coinvolti nel fallito golpe in Turchia ci siano siano anche i due piloti di F-16 che parteciparono alle operazioni che portarono all’abbattimento del Su-24 russo.

Scenari del tutto imprevedibili prima delle scuse di Ankara a Mosca e soprattutto prima dello strano, fallito golpe di militari che pretendevano di prendere il potere il Turchia senza neppure tentare di arrestare o uccidere il presidente Erdogan e il suo governo e senza dover sparare sui membri del partito AKP scesi nelle strade.

 Dopo aver fatto incarcerare quasi 7 mila persone inclusi giudici e militari, Erdogan ora vuole l‘estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, l’ex imam che accusa di essere la mente del tentato golpe mentre il ministro del Lavoro turco, Suleyman Soylu, ha suggerito senza mezzi termini che dietro i golpisti ci fosse la mano di Washington.

Accuse che il segretario di Stato John Kerry ha respinto come irresponsabili” e “totalmente false che danneggiano le reazioni”, invitando Ankara a fornire le prove del coinvolgimento di Gulen che dal 1999 vive in Pennsylvania e che ha ritirato nel 2013 il suo sostegno a Erdogan accusandolo di corruzione.

Il braccio di ferro tra Washington e Ankara su incentra anche sulla base aerea di Incirlik, nel sud della Turchia, il cui impiego è stato concesso da meno di un anno da Ankara ai jet statunitensi, britannici, tedeschi e sauditi che volano sulla Siria nell’ambito della Coalizione contro l’Isis.

Sabato lo spazio aereo sopra la base è stato chiuso dalle autorità turche per 24 ore sospendendo le operazioni aeree e tagliando le forniture elettriche. Una decisione che ha indotto il comando delle forze americane in Europa (Eucom) a decretare il massimo livello di allarme ver i 2.200 militari e civili dipendenti del Pentagono presenti in Turchia dei quali 1.500 sono di stanza a Incirlik.

Domenica le forze di sicurezza turche sono entrate nella base per arrestare il comandante turco, il generale Bakir Ercan Van, accusato di aver collaborato con i golpisti. Subito dopo sono ripresi i voli dalla base americana alimentata però ancora con generatori elettrici d’emergenza.

Mentre Erdogan di fare “pulizia all’interno di tutte le istituzioni dello Stato del virus” dei sostenitori di Gulen, le strade delle principali città vengono presidiate di notte da decine di migliaia di islamisti, sostenitori del governo, tra, bandiere turche e inni ad Allah.

Un clima che rischia di dare il colpo di grazia alla storica alleanza con gli Stati Uniti e, di conseguenza, anche con la NATO oltre all’intesa con gli europei incentrata oggi sullo stop ai flussi di immigrati clandestini lungo la rotta balcanica.

Il collante che dall’era Ataturk ha mantenuto saldi i rapporti tra Turchia e Occidente sembra ora venir meno sull’onda del regolamento di conti dopo il fallito golpe e della ormai schiacciante deriva islamista di Ankara.
L’impressione è che Erdogan voglia vendicarsi dei leader americani ed europei colpevoli di aver temporeggiato con dichiarazioni vaghe e confuse attendendo l’esito del golpe di venerdì notte prima di condannarlo dichiarandosi al fianco del “governo democraticamente eletto”.

In questo regolamento di conti la base aerea di Incirlik è una pedina dal grande valore per esercitare pressioni sugli USA che, comunque vadano le che, rischiano di determinare comunque la fine dell’intesa tra Ankara e Washington.

Operativa dal 1955, la base è una delle più importanti della rete di installazioni militari USA oltremare sia per le operazioni in Medio Oriente e Asia Centrale sia per la vicinanza con i confini russi meridionali. Non a caso a Incirlik, come nella base italiana di Aviano, sono conservate 50 bombe nucleari tattiche. L’aeroporto militare rischia quindi di diventare moneta di scambio per le pretese di Erdogan che minaccia ora di abbandonare la già molto ambigua alleanza con gli occidentali per cercare intese con Mosca che coinvolgano anche la guerra in Siria.

Putin ha espresso al telefono la sua solidarietà a Erdogan promettendo “presto” un incontro, forse già a inizio agosto, dove si discuterà anche degli equilibri in Siria. Un ulteriore elemento di confusione in uno scenario già fin troppo caotico.

Non è un caso che tra gli alleati del regime siriano circoli “un’opinione comune che il fallito golpe in Turchia” potrebbe aggravare i rapporti già difficili tra Ankara e Washington con conseguente “vantaggio” per Damasco e Mosca e a tutto svantaggio delle forze curde-siriane appoggiate dagli USA.

Ne ha scritto ieri Assafir, quotidiano libanese vicino alle milizie sciite filo-iraniane degli Hezbollah che combattono a fianco delle truppe siriane del presidente Bashar al-Assad.

Per il giornale di Beirut che conosce bene le vicende siriane, “fino al fallito colpo militare, l’aria che si respirava a Mosca confermava aspettative di importanti cambiamenti in Turchia rispetto al conflitto siriano e rispetto anche il ruolo di Ankara in seno alla Nato”.
Assafir ricorda quindi come il recente riavvicinamento tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e la Russia “è avvenuto al culmine delle tensioni con Washington”.

Infatti, dopo le critiche del presidente Usa Barack Obama che in un’intervista ad aprile ad “Atlantic” aveva definito il suo omologo turco “fallito e  autoritario”, il “Sultano” di Ankara ha reagito sferrando un duro attacco all’amministrazione Usa.

“Se l’America non pone limiti al PKK (Partito dei lavoratori curdi fuori legge in Turchia) e al PYD e YPG (rispettivamente partito e milizie curde siriane) l’intera regione assisterà ad un bagno di sangue”, aveva detto Erdogan arrivando a chiedere a Washington di scegliere tra lui ed i curdi e minacciando di chiudere la base militare turca Incirlik usata dalla Coalizione internazionale per i raid anti-Isis in Siria.

La massiccia ripresa dei bombardamenti russi nel Nord siriano a sostegno del regime di Damasco deciso a riconquistare Aleppo considerata “decisiva” per le sorti del conflitto, avrebbe determinato la svolta di Erdogan.

“Trovatosi di fronte ad un alleato (Usa) titubante al massimo ed un nemico determinato (Russia) Erdogan, che doveva fare i conti anche con la costante ascesa delle forze curde siriane e con un’ondata senza precedenti di attentati kamikaze in patria, “ha deciso di abbassare la cresta e chiedere scusa” a Mosca per l’abbattimento del Sukhoi Su-24.

Una svolta seguita da una dichiarazione di apertura del nuovo primo ministro turco Binali Yildirim, il quale aveva parlato di un inevitabile “ripresa di normali relazioni” con la Siria di Assad.

Un cambio di rotta che avrebbe trovato conferma anche nei fatti, secondo il giornale libanese, che fa notare come la nuova grande offensiva del regime di Damasco che ad Aleppo è riuscito a stringere il cerchio intorno alle zone controllate dai ribelli islamisti legati ad Ankara, sia avvenuta “senza alcuna reazione della Turchia” che nel recente passato considerava la perdita del capoluogo “una linea rossa”.

Insomma oggi “la Russia è molto più vicina ad Erdogan degli Stati Uniti”, che continuano a scommettere sui nemici giurati della Turchia, le forze curde-siriane elevati ad alleati nella lotta contro l’Isis.

Secondo Assafir lo scenario possibile dopo un eventuale rottura tra Washington ed Ankara potrebbe essere un’intesa tra Erdogan e l’asse Mosca-Damasco.

Una convergenza di interessi su due punti cardine: la prima in funzione anti-curda che vedrebbe l’impegno di Assad e dei suoi alleati di non permettere mai la creazione di una zona autonoma nel Nord della Siria. La seconda in funzione anti-Isis: con la chiusura alle forze statunitensi e Nato (vi operano anche velivoli britannici, tedeschi) della base aerea di Incirlik Mosca avrebbe vita facile a “vincere la gara” per la liberazione di Raqqah, capitale del Califfato.

Uno scenario che porrebbe di fatto la Turchia fuori dalla NATO che schuiera batterie antimissile italiane (sistema SAMP/T) e spagnole (Patriot)  lungo il confine turco-siriano e aveva autorizato l’invio di aerei radar Awacs (E-3A Sentry), ufficialmente per controllare lo spazio aereo siriano in appoggio alla Coalizione che contrasta l’Isis ma in realtà per dare il cambio a velivoli analoghi statunitensi  impegnti nel monitiraggio dei velivoli russi e di Damasco poichè  lo stato Islamico non dispone di forze aeree..

Una così repentina giravolta strategica di Ankara avrebbe anche un forte impatto nei rapporti con le monarchie del Golfo, Arabia Saudita e Qatar soprattutto, sponsor delle milizie jihadiste che combattono Assad e alternative all’Isis.

@GianandreaGaian

(con fonte Nuova Bussola Quotidiana e Askanews)

Foto: AP, Nato, USAF, Forze Aeree Turche, Reuters, Getty Images, AFP

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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