Le opzioni militari nella crisi coreana

da Il Mattino del 18 aprile 2017

Il fallito test missilistico nordcoreano potrebbe aprire uno spiraglio nell’escalation della tensione determinatasi nelle ultime settimane. Il regimo di Kim Jong-un non poteva esimersi dall’effettuare l’annunciato gesto eclatante (un test atomico o missilistico) per celebrare i 105 anni dalla nascita del fondatore della Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord, Kim Il-sung, nonno dell’attuale leader.

Al tempo stesso Washington non avrebbe potuto sottrarsi da una risposta militare al test nordcoreano, specie dopo le dichiarazioni muscolari rese nei giorni scorsi dal presidente Donald Trump.

Ora invece il test fallito offre l’opportunità di riaprire il dialogo, apre nuovi spazi diplomatici a Pechino e rende meno impellente un blitz americano contro le infrastrutture strategiche di Pyongyang. Un’occasione che non è detto i protagonisti della crisi vogliano cogliere.

“Spero che sia possibile una soluzione pacifica” ha detto Trump alla Cnn aggiungendo però che la Corea del Nord “deve comportarsi bene” mentre da Seul il vicepresidente, Mike Pence, ha detto che con Pyongyang “l’era della pazienza strategica è’ finita”.

Washington ha intanto accelerato la consegna a Seul del sistema antimissile Terminal High Altitude Area Defense (THAAD) il cui dispiegamento è aspramente criticato da Pechino e Mosca: il THAAD può infatti intercettare i missili balistici a medio raggio lanciato dalla Corea del Nord ma il suo radar a lungo raggio è in grado di penetrare in profondità lo spazio aereo cinese.

Un’ulteriore conferma che la Cina avrebbe tutto l’interesse a disarmare la Corea Del Nord (almeno da atomiche e missili balistici) quanto meno per togliere agli Stati Uniti e ai loro alleati regionali (soprattutto Tokyo e Seul) una buona motivazione per rafforzarsi militarmente.

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Di fronte a una “situazione molto delicata e pericolosa” nella penisola coreana, la Cina ha ieri esortato tutte le parti coinvolte a dare prova di moderazione astenendosi da provocazioni. Lo ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Lu Kang, secondo cui bisogna ridurre le tensioni al fine di “tornare al tavolo negoziale e risolvere i problemi con mezzi pacifici”. Pechino vuole far ripartire il dialogo multilaterale (di cui fanno parte Cina, le due Coree, Usa, Russia e Giappone), in stallo da dicembre 2008.

Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, ha ammonito gli Usa dall’intraprendere la “strada molto rischiosa” delle azioni unilaterali contro la Corea del Nord, come hanno fatto recentemente in Siria.

L’ambasciatore di Pyongyang all’Onu, Kim In Ryong, non ha invece esitato a dire che “una guerra nucleare potrebbe scoppiare da un momento all’altro nella penisola coreana” accusando Washington di “disturbare” la pace e la stabilità globale, insistendo in una logica da gangster”.

Tutte le opzioni restano quindi sul tavolo ma sul piano militare cosa potrebbe accadere?

  • L’opzione più contenuta, pur nei limiti di uno scontro tra potenze nucleari, vedrebbe un blitz americano colpire i centri di ricerca missilistici e nucleari con attacchi mirati e limitati dal valore più che altro simbolico. Azioni a cui Pyongyang potrebbe replicare colpendo con bombardamenti convenzionali alcune aree del territorio sudcoreano ma evitando di impiegare armi chimiche o nucleari e di lanciare missili balistici che il Pentagono potrebbe interpretare come l’avvio di un attacco strategico su vasta cala.
  • Un’opzione di guerra a maggiore intensità potrebbe scaturire da un attacco americano più massiccio, allargato alle basi missilistiche, alle rampe mobili e ai sottomarini dotati di missili balistici oppure da una reazione su vasta scala di Pyongyang a un limitato attacco aereo e missilistico statunitense. In questa campagna militare allargata i nordcoreani potrebbero cercare di colpire le navi e le basi statunitensi nella regione impiegando missili antinave e balistici ma dotati solo di testate convenzionali ad alto esplosivo. Possibile che uno scontro del genere abbia anche una dimensione terrestre con aspre battaglie lungo il 38° Parallelo senza escludere che Pyongyang decida di bombardare con l’artiglieria la stesa Seul, ad appena 40 chilometri dal confine. Difficile invece che le forze aeree nordcoreane cerchino di sfidare quelle di Seul e statunitensi, superiori per qualità e addestramento. In ogni caso uno scontro di questo genere potrebbe provocare molte centinaia o qualche migliaio di vittime in poche ore pur risultando ancora contenibile da una vigorosa iniziativa diplomatica.
  • L’opzione più grave e probabilmente “senza ritorno” è quella che potrebbe scaturire da un massiccio attacco globale statunitense a tutte le strutture militari e politiche della Corea del Nord a cui Pyongyang risponderebbe con tutti i mezzi a disposizione incluse le armi chimiche e nucleari cercando di colpire Seul e le basi Usa in Corea del Sud, Giappone e nell’isola di Guam. Un conflitto generalizzato che potrebbe scoppiare anche a causa di un attacco preventivo nordcoreano qualora il regime di Kim Jong-un dovesse convincersi che l’attacco statunitense è inevitabile e imminente. Una simile opzione vedrebbe una guerra globale con un probabile tentativo nordcoreano di sfondare il fronte lungo il confine marciando su Seul sacrificando così le sue forze aeree per tentare di coprire questa offensiva.

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Come durante la Guerra Fredda che oppose per 40 anni Nato e Patto di Varsavia il rischio di errori e di prendere decisioni “senza appello” in base a informazioni parziali, errate o basate sull’interpretazione delle supposte volontà dell’avversario è sempre dietro l’angolo con tutti i rischi connessi alla presenza di armi nucleari su ambo i fronti.

La differenza è che Urss e Usa avevano istituito la “linea rossa” che nei momenti più “caldi” ha permesso ai vertici delle due superpotenze di parlarsi evitando la guerra termonucleare. Una linea telefonica d’emergenza che non esiste tra Washington e Pyongyang e che, se ci fosse,  passerebbe probabilmente da Pechino.

Foto KCNA e AP

 

 

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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