Il patto con Haftar che chiude il cerchio

da Il Mattino del 27 settembre

Cooperazione militare e nel contrasto alle milizie jihadiste e ai traffici di immigrati illegali sono stati al centro dei colloqui romani del generale Khalifa Haftar. Il comandante dell’Esercito Nazionale Libico (ENL) e uomo forte della Cirenaica ha avuto colloqui col ministro degli Interni Marco Minniti (che lo aveva incontrato segretamente a inizio settembre a Bengasi), con il ministro della Difesa Roberta Pinotti e incontri “tecnici” con il capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano e i vertici dell’intelligence (Aise).

Sul piano politico la due giorni del generale a Roma sembra archiviare i recenti dissapori e le dure critiche espresse da Haftar nei confronti dell’accordo tra l’Italia e il governo riconosciuto guidato da Fayez al-Sarraj.

Con accortezza, gli incontri pur ad alto livello di Haftar (leader di fatto ma privo di legittimità istituzionale) non hanno incluso un faccia a faccia col presidente del consiglio Paolo Gentiloni, che avrebbe potuto irritare al-Sarraj.

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Il dato essenziale è che l’Italia torna protagonista indiscussa nella gestione della crisi nella ex colonia riequilibrando la sua posizione, apparsa a lungo troppo sbilanciata verso al-Sarraj, togliendo terreno a “rivali” europei quali Gran Bretagna e Francia che fin dalla guerra contro Gheddafi del 2011 cercano di sottrarre la Libia all’influenza di Roma e pure nelle ultime settimane hanno dato segnali di voler ostacolare l’intesa tra Roma e Tripoli.

Non è forse un caso che proprio martedì abbiano preso il via a Tunisi, alla presenza dell’inviato speciale Onu Ghassan Salamé, i colloqui tra la Camera dei rappresentanti di Tobruk e il Consiglio presidenziale di Tripoli per concordare alcuni emendamenti parziali dell’accordo di Skhirat, siglato in Marocco nel 2015 che varò il governo al-Sarraj. L’obiettivo è creare le basi per un’intesa tra Tripoli e Tobruk tesa a riunificare e stabilizzare la Libia.

Non pare casuale neppure che il riavvicinamento tra Haftar e l’Italia sia avvenuto dopo la ripresa delle relazioni tra Roma e Il Cairo, interrotte in seguito al Caso Regeni. L’Egitto è il più importate sponsor di Haftar e condivide con l’Italia e gli altri Stati confinanti la priorità di riportare ordine in una Libia divenuta la “Somalia del Mediterraneo” dove milizie criminali e jihadiste hanno ampi spazi di manovra.

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In termini militari, dopo il supporto tecnico navale e addestrativo offerto dalla nostra Marina alla Guardia costiera di al-Sarraj e l’operazione militar-sanitaria Ippocrate (300 militari e medici) presente a Misurata, Roma ha la necessità di ampliare il suo ruolo appoggiando più concretamente anche l’ENL di Haftar a cui finora sono stati forniti solo aiuti sanitari.

Non ci sono dettagli in proposito ma gli incontri col generale Graziano e li vertici dell’Aise potrebbero prefigurare una maggiore collaborazione, quanto meno nel campo delle informazioni circa i gruppi armati jihadisti attivi in Libia.

Del resto le forze del generale e le milizie alleate costituiscono il principale soggetto militare libico e controllano ormai regioni che vanno ben oltre la Cirenaica. Sulla costa sono arrivate a pochi chilometri da Sirte mentre a ovest le milizie di Zintan, parte integrante dell’ENL, avanzano verso la costa tra il confine tunisino e Tripoli.

A breve distanza dalle spiagge di Sabratha, da dove salpano i gommoni carichi di migranti illegali diretti in Italia (i cui flussi si sono molto ridotti nelle ultime settimane dopo gli accordi tra Roma e Tripoli) e da Melitha, dove il terminal dell’ENI gestisce i flussi del gasdotto Greenstream verso la Sicilia.

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Un’intesa con il generale (nominato feldmaresciallo dopo la vittoria sulle milizie jihadiste a Bengasi) è quindi necessaria per garantire la sicurezza di quell’infrastruttura strategica, specie ora che le milizie della zona si confrontano in scontri confusi cui potrebbe non essere estraneo l’esercito di Haftar.

Gas e migranti restano quindi gli interessi prioritari dell’Italia che non può più curarli solo con gli interlocutori della Tripolitania a causa dei successi militari di Haftar in questa regione e in virtù di una strategia contro i trafficanti di esseri umani che per avere successo deve essere necessariamente allargata.

L’ENL si sta rafforzando anche nel desertico Fezzan dove sembra che Roma stia valutando di inviare una missione di consulenza militare per aiutare i libici a riprendere il controllo delle frontiere con Niger e Ciad, attraversate dai flussi di migranti illegali gestiti da trafficanti in molti casi legati allo Stato Islamico e ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico.

Un’eventuale operazione italiana, anche se limitata al supporto logistico e consulenza, sarebbe impossibile (e molto pericolosa) da attuare senza un’ampia intesa con le diverse entità tribali, politiche e militari libiche che l’Italia sta perseguendo con gli accordi con sindaci e capi tribù oltre che col governo di al-Sarraj e, ora, con Haftar.

Libya's UN-backed Prime Minister-designate, Fayez al-Sarraj, flanked by members of the presidential council, speaks during a press conference on March 30, 2016 in the capital Tripoli. Fayez al-Sarraj arrived in Tripoli following months of mounting international pressure for the country's warring sides to allow him to start work. / AFP PHOTO / STRINGER

Del resto i rapporti di diversi servizi d’intelligence confermano che le milizie dello Stato Islamico si stanno riorganizzando nelle aree desertiche a sud di Sirte e lungo i confini con Egitto e Algeria, aree in “pole position” per sfruttare i lucrosi traffici legati a droga, armi ed esseri umani.

A di là del ruolo complessivo dell’Italia per il dialogo tra le parti e la stabilizzazione della Libia, le intese con Haftar (che nei dettagli concreti appariranno presto più chiare) consentono di delineare meglio la strategia italiana per fermare i flussi migratori illegali.

Un piano ambizioso, da finanziare anche con i fondi europei, che appare basato su tre pilastri: sostenere la Guardia costiera e le milizie presenti in Tripolitania per fermare o scoraggiare le partenze dalle coste della Tripolitania, appoggiare le diverse forze attive nel meridione a bloccare gli ingressi dalle frontiere col Sahel e imprimere un forte impulso all’intervento delle agenzie dell’Onu e delle Ong per creare in Libia campi d’accoglienza decorosi dai quali rimpatriare i migranti presenti oggi in Libia.

@GianandreaGaian

Foto: Stato Maggiore Difesa, Askanews, Lybia Herald, AFP e Frontex

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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