Ma il link terrorismo-immigrazione illegale non è certo una novità

da Il Mattino del 20 ottobre (titolo originale “Terrorismo, perchè i rischi aumentano dopo la caduta di Raqqa”)

La caduta di Raqqa torna e evidenziare le relazioni tra infiltrazioni terroristiche e flussi migratori illegali. Marco Minniti ha sottolineato il rischio che dopo aver perso la capitale dello Stato Islamico, jihadisti possano entrare in Europa e in Italia sfruttando i traffici di clandestini.

“Prima del collasso territoriale dell’IS era difficile che utilizzassero i flussi migratori per infiltrare delle cellule per un attentato terroristico”, ha detto in un’intervista a La Stampa il ministro degli Interni, perché “non vai a rischiare che una cellula di combattenti addestrati finisca su un barcone che affonda in mezzo al Mediterraneo”.

Ora però, dopo le sconfitte militari in Iraq e Siria, la situazione secondo Minniti “è diversa” perchè “stanno scappando, sono in rotta e c’è la fuga individuale. Una diaspora che può certamente utilizzare anche le rotte aperte del traffico di esseri umani”.

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Valutazioni che trovano riscontro dall’allarme lanciato dai servizi d’intelligence, in particolare in Francia, preoccupati da un massiccio rientro di foreign fighters che hanno combattuto per il Califfato.

La commistione tra terrorismo e immigrazione illegale non è però un tema nuovo, anche se è stata spesso pubblicamente negata per non ingigantire nell’opinione pubblica timori e ostilità nei confronti dell’immigrazione illegale.

I traffici di esseri umani finanziano organizzazioni criminali legate a Stato Islamico e al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) e consentono di infiltrare in Europa jihadisti. Già nel 2012 magistrati libici riscontrarono la presenza di AQMI nella gestione dei flussi di clandestini dal Sahel mentre in Italia tali infiltrazioni vennero rese pubbliche per la prima volta nel novembre 2013 dal ministro degli Esteri Emma Bonino.

Pochi mesi dopo, a Niamey, in Niger, diverse fonti europee ben informate su quanto accade nel Sahel riferirono all’autore di questo articolo che i traffici di droga, armi ed esseri umani si muovevano sulle stesse piste sahariane gestiti dalle stesse organizzazioni criminali che erano al tempo stesso milizie jihadiste (AQMI, el-Morabitùn, Mujao e altri cui si aggiunse poco dopo lo Stato Islamico).

Meglio non dimenticare che Sabratha, cittadina libica da cui sono salpati il numero maggiore di barconi e gommoni diretti in Italia, è stata fino a pochi mesi or sono la sede della più grande base del Califfato in Nord Africa e qui sono stati addestrati migliaia di jihadisti maghrebini.

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Nel dicembre 2014 la presenza di uomini dell’IS tra i clandestini dalla Libia fu oggetto di un’inchiesta della Procura di Palermo.

Da interrogazioni parlamentari emerse che l’intelligence valutava che almeno una decina di terroristi arabi fossero sbarcati sulle coste siciliane da Libia ed Egitto: mischiati ai migranti, aiutati da immigrati con permesso di soggiorno a far perdere le tracce, alcuni in altri Paesi europei.

“Ci sono rischi anche notevoli di infiltrazione di terroristi dall’immigrazione”, disse un mese dopo al vertice della Coalizione anti-Isis di Londra il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni e all’epoca il Califfato era ancora in fase di espansione territoriale.

Nel febbraio 2015 fonti del governo libico di Tobruk avvertirono che l’IS infiltrava miliziani in Italia con i flussi di migranti e lo stesso allarme lo lanciò l’ammiraglio americano James Stavridis, non più in servizio ma che era stato fino a poco pima comandante supremo della Nato in Europa.

Nell’estate di quell’anno, quando oltre 700mila migranti illegali percorsero la “rotta balcanica”, il governo austriaco riferì che i servizi segreti macedoni avevano individuato molti jihadisti tra i “profughi” diretti verso il cuore dell’Europa.

Il reporter Nick Fagge intervistò sul Daily Mail un falsario che forniva passaporti siriani con l’identità di persone morte a uomini dell’IS e citò fonti libanesi secondo cui il 2% dei rifugiati che arrivano in Europa sono miliziani jihadisti.

Fonti evidentemente credibili se pochi mesi dopo sia Europol che Frontex avvertirono che “l’Isis sfrutta i flussi migratori per infiltrarsi in Europa ed effettuare attentati”.

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Anche Amed al-Khald, il siriano ricercato in Ue e USA per aver preparato gli ordigni che avrebbero dovuto esplodere a Barcellona due mesi or sono è giunto in Europa da “rifugiato” nel settembre 2015.

In Italia i primi jihadisti tra i migranti vennero trovati nel 2014 grazie alle foto che avevano nei loro telefonini.

Da allora diversi combattenti sono stati individuati in questo modo (inclusi due siriani, uno minorenne, fermati nel porto di Pozzallo nel maggio scorso) ma sarebbe ridicolo credere che tutti gli infiltrati siano così ingenui da portare con sé le prove della loro militanza.

Nel novembre 2016 in Italia venne arrestato il siriano Abu Robeih Tarif, 23 anni, appartenente al gruppo qaedista al-Nusra”, giunto nel crotonese con un peschereccio dalla Turchia (rotta percorsa anche da motoscafi e persino velieri) a conferma che vi sono mezzi più comodi e sicuri (certo più costosi) per sbarcare in Italia evitando i malfermi gommoni che salpano dalla Libia.

Elemento oggi particolarmente attuale se teniamo conto dei numerosi “sbarchi fantasma” in Italia da Tunisia e Algeria, che hanno dato molta carne da cannone al jihad.

In ambito Ue, la Germania ha registrato il maggior numero di infiltrazioni: nel settembre 2016 vennero arrestati tre rifugiati siriani ritenuti una “cellula dormiente” in contatto con i terroristi che avevano colpito a Parigi e due mesi dopo i servizi segreti rivelarono che l’IS addestrava i miliziani a mescolarsi tra i migranti e a non farsi individuare dalla polizia.

Compito facilitato anche dai numerosi passaporti siriani e iracheni “in bianco” su cui l’IS mise le mani tra Raqqa e Mosul. Nello stesso anno la polizia federale ammise di aver identificato 523 migranti che avevano legami con il terrorismo islamista.

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L’infiltrazione di terroristi attraverso i flussi migratori illegali non è quindi una novità né può essere attribuita ai rovesci militari subiti dall’IS in Medio Oriente, che semmai hanno accelerato ma non determinato il fenomeno.

Del resto l’Europa non aveva prestato molta attenzione ai foreign fighters in partenza per Siria e Iraq e oggi non prevede di perseguire con determinazione quanti rientrano (almeno un terzo dei 5.500 combattenti europei stimati sono già tornati e pochissimi sono stati incarcerati) puntando invece a “reintegrarli nella società”, come disse il coordinatore Ue per l’antiterrorismo Gilles de Kerchoeve.

Un approccio così morbido rischia di attirare in Europa non solo chi “torna casa” ma anche i tanti foreign fighters provenienti da Asia e Maghreb.

@GianandreaGaian

Foto: Marina Militare, Stato Islamico, Ansa e Frontex

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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