Storia dei servizi segreti

Per quel che si sa, non era mai uscito finora in Italia un libro come questo, che in 800 dense pagine raccontasse, con dovizia di dettagli e aneddoti, una storia complessiva dello spionaggio e dell’intelligence a cominciare dall’antichità per arrivare fino ai nostri giorni.

Opera divulgativa che unisce precisione e scorrevolezza narrativa, la “Storia dei servizi segreti” scritta da Mirko Molteni (collaboratore di Analisi Difesa) per le edizioni Newton Compton (pagine 828, euro 12,90) prende le mosse fin dall’Età del Bronzo, ricordando come alla battaglia di Kadesh l’esercito del faraone egiziano Ramses II si fosse lasciato abbindolare dall’opera di disinformazione di spie ittite, che fecero ritenere il nemico assai più lontano della realtà.

Lo spionaggio dell’antichità non era organizzato in stabili agenzie come quelle moderne, ma non era meno efficace e, del resto, fa riflettere come già gli imperatori romani si fossero dotati di una vera e propria polizia segreta attiva nello sventare complotti veri o presunti.

In seguito, il gioco delle nascenti potenze europee vide affermarsi fitte ragnatele di informatori che spesso facevano capo alle strutture diplomatiche. Furono famosi in tal senso gli ambasciatori della Repubblica di Venezia, sempre in guardia contro il mortale nemico della Serenissima, ossia l’Impero Ottomano, che inoltravano al doge regolari rapporti, le “riferte”, attenti soprattutto alle condizioni dei porti stranieri e ai movimenti del traffico navale nel Mediterraneo. Seguendo un simile modello, l’Inghilterra strutturò già nel XVI secolo un servizio informazioni molto accurato che, sotto la guida di Sir Francis Walsingham tenne sotto osservazione i porti spagnoli e portoghesi verso il 1588, avvisando la regina Elisabetta dei preparativi della Invincibile Armada.

Nei secoli successivi i grandi stati autoritari, come la Prussia, l’Austria e la Russia tesero specialmente a formare enti che intrecciavano controspionaggio e repressione del dissenso interno, anche con sorveglianza degli esuli all’estero.

Tipica fu in questo campo l’Ochrana zarista, vera antesignana del KGB sovietico. Ma i russi dovevano affrontare anche la concorrenza britannica in uno scacchiere remoto come l’Asia Centrale, in quel cosiddetto “Grande Gioco” che per la maggior parte dell’Ottocento fece attivare agenti di entrambe le potenze nell’esplorare e prendere contatti con capi tribù locali di quella vasta fascia dal Pamir al Tibet, contesa fra l’Impero Russo che avanzava dal centro dell’Asia verso l’Oceano Indiano e l’Impero Britannico che in senso contrario avanzava verso Nord per coprire le spalle all’India.

Una inimicizia russo-inglese arrivata fino ad oggi, in varie altre forme. Sotto una simile accezione di spie in veste di esploratori, si affermava anche l’espansione dell’intelligence del giovane Regno d’Italia in Eritrea ed Etiopia, man mano che crescevano le ambizioni coloniali dell’età di Umberto I.

Ma, come spesso accade, lo spionaggio italiano doveva ottenere risultati eclatanti anche grazie all’iniziativa individuale di singoli ardimentosi. Per esempio il capitano dei bersaglieri Eugenio De Rossi, che fra il 1893 e il 1912 passò spesso le frontiere con Francia e Austria travestito da innocuo turista in bicicletta per osservare e annotare postazioni e infrastrutture a ridosso dei confini alpini.

Il libro di Molteni dedica amplissimo spazio ad entrambe le guerre mondiali e alla Guerra Fredda, essendo il XX secolo l’epoca in cui si consolidarono molte delle tendenze ancora oggi in atto. E notando anche come spesso l’intelligence sia risultata inceppata da negligenze, gelosie o superficialità. Così, se la Germania nazista fu segnata dalla rivalità fra il servizio segreto militare Abwehr e il più spregiudicato SD emanazione delle SS, la Gran Bretagna pagò il fio dell’aver preso sottogamba il cosiddetto “Rapporto Oslo” che fin dal 1939 era arrivato nelle mani del MI6 segnalando che i tedeschi stavano ideando le loro “armi segrete”, ovvero i missili da crociera V-1 e i missili balistici V-2.

Solo nel 1943, quando le telearmi erano quasi pronte, a Londra le si prese sul serio e se esse entrarono in azione solo nel 1944 fu più per colpa dello stesso Hitler che inizialmente non ci credeva troppo. Eppure, Prima e Seconda Guerra Mondiale furono alveo di personalità assurte a mito, da Mata Hari a Lawrence d’Arabia, da Richard Sorge a “Cicero”, per citarne solo alcuni dei tanti ricordati dal volume.

Senza dimenticare il maestro dell’infiltrazione di lungo periodo, quell’Harold Philby, ex-studente di Cambridge meglio noto come “Kim”, che reclutato dall’NKVD fin dall’epoca di Stalin, salì pazientemente nell’arco di oltre vent’anni ai massimi gradi dell’intelligence britannica prima di essere scoperto, fuggendo in Unione Sovietica nel 1963.

Nel confronto fra USA e URSS, aggravato dal pericolo nucleare, la correttezza delle informazioni sull’avversario era vitale ed è curioso come la CIA, nata fin dal 1947 sulle ceneri dell’OSS di epoca bellica, avesse teso a sopravvalutare negli anni Cinquanta e Sessanta le forze strategiche del Cremlino, tanto da far temere che l’America fosse arretrata nei bombardieri e anche nei missili balistici, vittima di un doppio svantaggio, il “bomber gap” e il “missile gap”.

Ma così non era e a dimostrarlo ci vollero, dapprima i voli stratosferici degli aerei-spia Lockheed U-2, almeno finchè uno di essi non fu abbattuto il 1° maggio 1960, con conseguente cattura del pilota Gary Powers, poi le rivelazioni del colonnello del GRU, il servizio segreto militare sovietico, Oleg Penkovskij, che evidenziò i limiti della missilistica sovietica di allora, contribuendo probabilmente a calmare il presidente Kennedy durante la crisi di Cuba dell’ottobre 1962.

Il problema dell’analisi e della giusta percezione delle informazioni fu del resto una costante e portò perfino i sovietici a temere fra il 1981 e il 1984 che fosse imminente un attacco nucleare a sorpresa della NATO, anche a causa di un paranoico piano globale del KGB, il piano RJAN, che poneva come obbiettivo di raccogliere in tutto il mondo ogni possibile indizio di una guerra imminente.

Viceversa, dopo il crollo del muro di Berlino, i segnali del sorgere di un nuovo nemico, il terrorismo islamico, non vennero sempre colti con prontezza e si arrivò all’alba del nuovo secolo a quella mancanza di sufficiente coordinazione fra la CIA, l’FBI e l’agenzia di intercettazioni NSA che indubbiamente facilitò Osama Bin Laden e i suoi seguaci di Al Qaeda nel preparare i disastrosi attentati dell’11 settembre 2001.

Negli ultimi anni, mentre la partita col terrorismo islamico resta ancora aperta, il confronto fra la Russia e la NATO si ripropone in nuovi termini di cui, anche a livello di intelligence, solo il tempo potrà dare una equilibrata lettura storica.

Certo è che il recente emergere di tecnologie sempre più sofisticate, specie a livello informatico, come dimostrato nel 2013 dalla defezione di Edward Snowden dalla NSA, non eclissa affatto il ruolo umano nello spionaggio, poiché, come chiosa l’autore in un suo passaggio: «Il computer, per quanto complesso, resta sempre una macchina, per definizione uno strumento creato dagli esseri umani per scopi stabiliti dagli esseri umani stessi». Insomma, il lavoro di Molteni si presenta come un libro enciclopedico che ben miscela le vicende più plateali con altre meno conosciute e con la puntuale spiegazione delle linee strategiche e geopolitiche generali che di epoca in epoca hanno fatto da scenario agli agenti segreti di ogni paese.

 

Storia dei servizi segreti”

di Mirko Molteni

Edizioni Newton Compton

pagine 828,

euro 12,90

 

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