Mosca stabilizza la crisi turco-siriana

Mentre a Bruxelles si dibatte della crisi siriana Mosca l’ha di fatto già risolta (o quasi) rendendo operativa la forza di monitoraggio schierata lungo il confine turco-siriano e composta dalla polizia militare russa, ormai un vero corpo militare per le operazioni di peacekeeping.

Alle unità già presenti in Siria si aggiungeranno presto ulteriori rinforzi con 276 militari e 33 mezzi blindati, ha fatto sapere Mosca mentre a conferma del suo ruolo sempre più pesante nell’attuale crisi, ieri i vertici delle milizie curde hanno accettato di integrare le loro unità di protezione popolare (YPG) nell’ esercito regolare siriano che già oggi controlla ampi settori del confine con la Turchia.

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In base a quanto reso noto ieri dall’agenzia di stampa russa Ria Novosti, le milizie curde (YPG) stanno abbandonando un’area profonda 32 chilometri lungo il confine con la Turchia lasciandola sotto il controllo dei militari di Mosca e di Damasco. Ritiro verso sud stabilito dall’ accordo concluso tra il presidente russo Vladimir Putin e il collega turco Recep Tayyip Erdogan lo scorso 22 ottobre a Sochi, in Russia

L’accordo comporta una sostanziale spartizione dell’area a nord-est della Siria tra l’esercito di Ankara e i militari di Bashar Assad sostenuti da Mosca che tornano dopo 8 anni a presidiare il confine turco. Un’intesa in 10 punti che lascia ben poco spazio all’autonomia dei curdi e nessuno al loro sogno di realizzare nella Siria Orientale a est dell’Eufrate uno stato indipendente protetto dagli Stati Uniti.

Il ministero della Difesa russo ha ieri annunciato che 15 punti di controllo saranno istituiti lungo il confine turco-siriano, a est dell’Eufrate e gestiti dall’ esercito di Damasco.

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Un’ area fino a pochi giorni fa sotto il controllo delle milizie curde YPG, sostenute dagli americani, è praticamente passata sotto il controllo dell’esercito di Damasco, sostenuto dai russi. I 15 check point che Mosca costituirà per Assad sono previsti a est e ovest dell’area compresa tra le città di Tel Abyad e Ras al-Ayn, un territorio di 120 chilometri di estensione e 32 di profondità’  che rimane sotto il controllo dell’ esercito turco, al cui interno Ankara vuole istituire 12 check point.

Nell’ area di 440 chilometri di estensione e 32 di profondità non vi saranno milizie dell’YPG né truppe statunitensi. Anche per questo il presidente siriano Bashar al Assad ha espresso pieno sostegno all’accordo Putin-Erdogan di Sochi, come ha reso noto il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskov. Assad ha anche assicurato la disponibilità “delle guardie di frontiera siriane di pattugliare insieme alla polizia militare russa il confine.

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Gli accordi di Sochi del resto precisano che la “principale priorità consiste nel restaurare l’integrità territoriale della Siria” ma hanno anche confermato gli accordi di Adana siglati nel 1998 da Hafez al-Assad (padre di Bashar) con cui la Siria garantiva che le milizie curde non avrebbero attaccato la Turchia dal territorio siriano. “Cambiare i termini dell’accordo di Adana non è mai stato in discussione.

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Come ha ricordato ieri l’agenzia di stampa AGI, nei negoziati, mai concretizzatisi, tra Usa e Turchia, era stata ipotizzata nei mesi scorsi la formazione di forme di amministrazione e governo locale, ipotesi scomparsa dagli accordi di Ankara con Mosca, che spianano la strada al controllo da parte del regime di Damasco, tornato negli ultimi giorni a presidiare Kobane, Manbij, Tal Amir, Ayn Isa e Tabka, città che Assad era stato costretto ad abbandonare tra il 2011 e il 2012 sotto gli attacchi dei qaedisti del Fronte al-Nusra e dello Stato Islamico.

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Sul piano politico Damasco ha annunciato che riconoscerà ai curdi-siriani autonomia culturale, linguistica e amministrativa ma le milizie dell’YPG sembrano destinate a venire inglobate nell’Esercito Arabo Siriano e a costituire un corpo di polizia regionale.

Solo la città di Qamishli, la più abitata della regione vicina al confine iracheno (a est della “safe zone”) resta esclusa dai pattugliamenti russo-turchi.  In questo centro urbano, che l’Isis non è mai riuscito a espugnare alle truppe siriane, Damasco potrebbe garantire ai curdi una sorta di presenza autonoma lungo il confine turco tenuto conto che a Qamishli (come ad Hasaka) è sempre rimasta una guarnigione di truppe siriane. Anche in questa città sono arrivate ieri unità di polizia militare russa (video).

 

Il dibattito e le polemiche alla NATO e alla Ue  

L’accordo tra Mosca e Ankara rende del tutto accademico il dibattito emerso ieri in ambito NATO e europeo in seguito alla proposta formulata dal ministro della Difesa tedesco, Annegret Kramp-Karrembauer (nella foto sotto), di schierare una forza militare internazionale di interposizione lungo il confine turco-siriano.

Proposta tutta in salita dopo che lo stesso ministro tedesco ha attaccato duramente Ankara per l’operazione militare in Siria definita mercoledì una “annessione”.

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Frase che ha suscitato critiche anche in Germania dove la Kramp-Karrembauer era già sotto tiro per aver avanzato la proposta senza essersi confrontata con la coalizione di governo incassando anche le critiche del ministro degli Esteri, Heiko Maas.

In Germania c’è chi accusa il ministro di incompetenza, ricordando che la Turchia vuole una zona “cuscinetto” a protezione del suo confine, è un alleato della Nato.  Il liberale Alexander Graf Lambsdorff sostiene che la Turchia non avrebbe manifestato l’intenzione di occupare stabilmente il territorio siriano, ma di voler combattere le milizie dell’YPG, considerate da Ankara un’organizzazione terroristica.

Al di là delle valutazioni politiche (in Germania la massiccia presenza di immigrati curdi e turchi rende delicato questo dibattito) è chiaro che la proposta della Kramp-Karrembauer può avere un senso solo se la Berlino mantiene un approccio neutrale nei confronti dei contendenti.

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“Non abbiamo avuto alcuna richiesta” di intervenire come Nato” nel nord-est della Siria. Per attuare la proposta della ministra” tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer “occorre una decisione dell’Onu”, ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg (nella foto a lato) arrivando alla riunione dei ministri della Difesa dell’Alleanza.

Al summit NATO il ministro tedesco ha sostenuto la sua proposta con una serie di incontri bilaterali, incluso quello con l’omologo turco Hulusi Akar, incassando un sostegno di massima da parte del belga Didier Reynders e della danese Trine Bramsen.

“Con i colleghi francesi e britannici in particolare condividiamo l’opinione che l’accordo di Sochi non offra la base per una soluzione politica a lungo termine” per la Siria. Per questo cerchiamo “una soluzione che coinvolga la comunità politica internazionale” ha detto la Kramp-Karrenbauer.

Nell’incontro con l’omologo turco il ministro tedesco ha “apprezzato molto” che da un lato Akar abbia “rassicurato” che non c’è l’obiettivo di “un programma di reinsediamento, o di pulizia etnica, ma di ricostruzione” mostrandosi molto aperto che possa essere fatto anche col coinvolgimento della comunità internazionale”.

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Da Ankara quindi nessun via libera quindi ad una forza di interposizione il cui progetto è ancora “vago” e “dovrà essere sicuramente approfondito” come ha evidenziato il ministro italiano Lorenzo Guerini che però con l’omologa tedesca ha discusso anche il ripristino della componente navale dell’Operazione Sophia di fronte alle coste libiche.

L’ intervento del ministro Akar “ha cercato di motivare le ragioni della iniziativa turca in relazione alle esigenze di sicurezza della Turchia. La Turchia è un componente della Nato, dobbiamo avere grande intelligenza nel gestire il rapporto con la Turchia. Però le conseguenze di quella iniziativa ci preoccupano sia sotto il profilo umanitario che sotto il profilo della stabilità della regione”, ha aggiunto Guerini.

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In questo contesto l’Italia si è ieri espressa a Bruxelles favore di una soluzione politica della crisi ma ha reso noto il ritiro del suo piccolo contingente schierato dal 2016 nel sud della Turchia, 130 militari e una batteria di missili da difesa aerea Samp-T impiegati nell’ambito della missione Nato Active Fence e il cui ritiro era già previsto per dicembre. Un ritiro presentato però come già previsto e da non intendere come una risposta all’intervento di Ankara in Siria.

Gli Stati Uniti invece si sfilano di fatto dalla proposta tedesca (e dalla Siria): “La sosterremo politicamente, ma non invieremo forze all’operazione” ha detto il segretario alla Difesa, Mark Esper. “Penso che questa proposta vada bene per quei Paesi che vogliono rafforzare la sicurezza in quella parte del mondo”. Un maggiore contributo “è quanto chiediamo ai partner europei da tempo”, ha aggiunto Esper.

 

Le minacce turche all’Europa

Durissima invece la reazione di Ankara con Erdogan che è tornato ad attaccare l’Europa dopo la condanna del parlamento Ue all’intervento militare accusando l’Ue di ipocrisia e minacciando nuovamente dii aprire il confine al passaggio di migranti e profughi siriani.

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“La nostra richiesta di istituire una “safe zone” non è certo una novità ma risale dai tempi di Barack Obama. Per questo motivo non merita nessuna considerazione da parte nostra l’enorme quantità di parole ipocrite che sono arrivate dall’Europa”, che si attiva solo quando diciamo che apriremo il confine ai profughi. Non si preoccupino, al momento opportuno apriremo il confine e allora l’Ue smetterà di compiere questi voltafaccia”, ha dichiarato ieri Erdogan.

La Turchia “respinge in modo assoluto” la risoluzione di oggi del Parlamento europeo che condanna l’operazione militare di Ankara nel nord della Siria. “Non siamo sorpresi da questa posizione presa da un Parlamento che ospita costantemente i terroristi” e che ha “un atteggiamento fazioso verso la Turchia”, scrive in una nota il ministero degli Esteri di Ankara, secondo cui “la legittimità di questa operazione è stata confermata dagli accordi fatti con gli Stati Uniti e la Russia” nell’ ultima settimana.

Fioto: AP, Anadolu, Bundeswehr, RIA-Novosti, Sputnik e Ministero Difesa Russo

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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