Coalizione e NATO sospendono le attività di addestramento delle forze irachene

Ufficialmente la causa è il Coronavirus a la situazione di costante instabilità interna e lo stato di “quasi guerra” tra gli Stati Uniti e le milizie scite filo-iraniane presente in Iraq potrebbe aver influito sulla decisione del comando della Coalizione della missione addestrativa della di sospendere momentaneamente le attività addestrative delle forze di Baghdad.

NATO e Coalizione garantiranno comunque le capacità essenziali dei contingenti anche se in molti stanno riducendo o ritirando le forze. Sono state sospese le attività addestrative anche del contingente italiano, di cui è stata decisa la riduzione temporanea di circa 200 uomini, come ha reso noto il ministero della Difesa.

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Nel teatro operativo rimarranno circa 600 militari distribuiti tra Erbil (Kurdistan), Bagdad e il Kuwait (da dove opera la Task Force Air dell’Aeronautica).

Lo Stato Maggiore della Difesa “a tutela della salvaguardia della salute dei propri militari e per evitare eventuali contagi che limiterebbero l’ efficacia delle missioni in corso, sta coordinando e pianificando attraverso il Comando Operativo di Vertice Interforze (COI), il rientro temporaneo di alcuni dei militari italiani impegnati nelle operazioni Inherent Resolve  e Nato Training Mission in Iraq che si occupano prevalentemente dell’addestramento delle forze irachene, mantenendo però in teatro gli assetti essenziali per la lotta al terrorismo e alla sicurezza del popolo iracheno.

Le Forze armate italiane, oggi impegnate in 24 missioni con uomini e mezzi per l’emergenza sanitaria, continueranno a contribuire, insieme agli alleati, alla lotta al terrorismo e a sostenere i popoli dei teatri dove operano in 24 paesi con 24 missioni e 16 operazioni” si legge nel comunicato della Difesa.

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Martedì scorso la Difesa aveva reso noto che quattro militari italiani (3 dell’Esercito e uno dell’Aeronautica), appena arrivati in Afghanistan, sono risultati positivi al Coronavirus: stanno bene e non hanno avuto contatti col resto del personale, perchè erano in quarantena preventiva nella base di Herat, dove sono ora in isolamento, assistiti dai medici del contingente.

In Afghanistan però non si parla, almeno per ora, né di rimpatrio di parte dei circa 800 militari del contingente italiano né di sospensione delle attività addestrative previste dall’operazione NATO Resolute Support.

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Anzi, gli Stati Uniti, pur avendo decretato lo stop ai tutti i movimenti militari tra gli USA e i teatri operativi per contenere i ruschi di contagio, hanno fatto un’eccezione proprio per la missione in Afghanistan in modo da poter continuare il ritiro delle truppe (che scenderanno da 13mila a 8.500 entro luglio) concordato a Doha con i Talebani.

Come conferma l’agenzia ANSA “il comando italiano ad Herat ha già fatto sapere che in nessun modo, al momento, il contagio dei quattro militari ha ridotto l’operatività del contingente, che dunque continua ad operare regolarmente”.

In Iraq, invece, dove non risultano militari internazionali positivi al virus, Nato e il Comando multinazionale hanno preso decisioni opposte sospendendo “momentaneamente” le attività addestrative.

U.S. Air Force Lt. Col. David Rayman, 75th Fighter Squadron commander, packs his flight bag, Sept. 24, 2013, at Lajes Field, Azores. Rayman is an A-10 Thunderbolt II pilot from Moody Air Force Base, Ga. (U.S. Air Force photo by Tech. Sgt. Paul Villanueva II/Released)

Anche per questo non si può escludere che a influenzare take decisione abbiano contribuito anche elementi diversi, come la progressiva destabilizzazione politica e sociale del paese mediorientale e la ornai aperta conflittualità tra le forze statunitensi e le milizie scite filo-iraniane.

Una conflittualità confermata non solo dai recenti provvedimenti del Pentagono che hanno visto le truppe USA abbandonare tre basi più esposte i lanci di razzi dei miliziani sciti e ritirare in Kuwait alcune centinaia dei 7.500 effettivi schierati in Iraq, ma soprattutto dalla direttiva impartita dal Washington ai militari dell’Operazione Inherent Resolve di prepararsi a un’escalation delle ostilità e a una campagna militare per distruggere le milizie pro-Iran.

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Una direttiva che ha sollevato le perplessità del comandate delle forze americane e della Coalizione, tenente generale Robert P.White (nella foto a sinistra). Perplessità che secondo il New York Times mostrano le tensioni all’interno dell’Amministrazione Trump e tra l’Amministrazione e i vertici militari circa la politica da seguire con l’Iran e il futuro dell’intervento militare in Iraq, iniziata nel 2003.

White avrebbe respinto la direttiva ammonendo che una tale campagna sarebbe sanguinosa, controproducente per gli interessi statunitensi in Iraq e rischierebbe di scatenare una guerra con l’Iran. Il generale ha quindi messo in evidenza come una nuova campagna militare avrebbe richiesto l’invio di migliaia di truppe da combattimento in Iraq (dove ora sono presenti forze per lo più di supporto e addestramento) e lo spostamento di risorse ora dedicate all’obiettivo della missione americana e della Coalizione (l’addestramento di truppe irachene a combattere l’Isis) su obiettivi e verso un nemico diverso (l’Iran).

Inoltre una simile campagna rafforzerebbe i sentimenti anti-USA già molto diffusi in Iraq sia tra i sunniti che tra gli sciti considerato che dopo l’omicidio del generale iraniano Qassem Suleimani a Baghdad il 3 gennaio scorso, il parlamento iracheno ha approvato il ritiro di tutte le truppe USA e alleate dal paese.

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Comprensibile quindi che i paesi europei che schierano truppe nella Coalizione non abbiano alcun interesse a farsi coinvolgere in una guerra americana all’Iran combattuta sul suolo iracheno e in questa ottica il Covid-19 potrebbe offrire un valido pretesto per ridurre o ritirare i contingenti militari. Del resto la causa della sospensione delle attività addestrative potrebbe avere anche motivazioni diverse dal rischio di contagio come l’imminenza di attacchi statunitensi su vasta scala contro le milizie scite.

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La situazione sanitaria dei circa 7.000 militari italiani oggi impegnati in 24 missioni e 16 operazioni all’ estero, in 24 diversi Paesi, è una delle principali preoccupazioni della Difesa, che sta valutando il da farsi anche in relazione all’andamento del virus.

Sempre secondo l’Ansa “ci sono voci, non confermate, di un prossimo ritiro di uomini dal Niger, così come da altre missioni”: In Niger sono schierarti un centinaio di militari e il loro richiamo in Patria confermerebbe le indiscrezioni sulla rapida e poco documentata diffusione della pandemia in Africa.

Dal Sahel però non sembra verranno ritirati i 5.100 militari francesi dell’operazione anti-jihadisti Barkhane mentre Parigi ha però ordinato il ritiro dei suoi 200 militari schierati in Iraq.

@GianandreaGaian

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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