L’inarrestabile escalation del conflitto in Libia

Mentre continua l’avanzata delle forze fedeli al Governo di accordo nazionale libico (GNA) sostenute dai turchi a ovest di Tripoli aumentano le voci di un forte incremento di rinforzi e aiuti militari in arrivo in Cirenaica da Russia e Siria a sostegno dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar. Uno sviluppo che, con il rapido rafforzamento delle truppe turche e dei mercenari siriani filo-Ankara, sembra accentuare l’internazionalizzazione del conflitto e la sua conseguente escalation.

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Il comando dell’operazione “Vulcano di Rabbia” del GNA nelle ultime ore ha annunciato la presa delle cittadine di al-Asaba e Jandouba e che le sue forze si trovano 180 chilometri a sud di Tripoli occupando una zona strategica per tagliare le linee di rifornimento dalla base di al-Jufra e dalla Cirenaica alle forze di Haftar schierate a sud della capitale.

La situazione sul canpo di battaglia

La situazione nell’area ancora confusa e l’LNA ha annunciato una controffensiva aerea sulle zone di al-Watya (nella foto sopra) e di al-Asaba esortando la popolazione di questa cittadina sulla strada tra Tarhuna e Zawiya di non uscire dalle proprie case.

Si tratta degli sviluppi che hanno fatto seguito la caduta della base aerea di al-Watya evacuata dopo un lungo assedio da circa 1.500 militari dell’LNA lasciando nelle mani del nemico alcuni mezzi e veicoli danneggiati, un sistema antiaereo Pantsir danneggiato e una decina di aerei da combattiment  che fecero parte dell’aeronautica libica all’epoca di Muammar Gheddafi ma da tempo fuori servizio.

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Il ritiro delle forze di Haftar dalla base aerea di al-Watya era da un mese oggetto di trattative tra GNA e LNA, alternate a fitte incursioni aeree tese a incoraggiare gli assediati a cedere.

L’obiettivo del GNA e dei turchi era prendere possesso della grande base aerea riducendo al minimo i danni alle infrastrutture a conferma delle voci provenienti da tripoli che riferiscono la volontà di Ankara di farne una grande base per la propria aeronautica schierandovi caccia F-16, droni Anka e Bayraktar, cargo A-400M e C-130 e probabilmente anche elicotteri da trasporto e attacco T-129.

Secondo l’emittente “Libya 24″, vicina all’LNA, esisterebbe un “patto” tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per garantire alla Turchia la base aerea di al-Watya che diventerebbe una “base in comune con il Comando statunitense in Africa (Africom)”. In cambio, la Russia “otterrebbe la base aerea di Qardabiyah a Sirte” e una base navale nel porto della città costiera libica, al fine di garantire a Mosca uno sbocco sul Mediterraneo centrale. Secondo “Libya 24”, Erdogan avrebbe intimato al generale Haftar tramite “un mediatore russo” di fermare la guerra e di ritirarsi dalle sue attuali posizioni a sud della capitale.

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Indiscrezioni che spiegherebbero le dichiarazioni del portavoce dell’LNA, colonnello Ahmed al- Mismari, che ha annunciato il “riposizionamento tattico” delle truppe a 2-3 chilometri più a sud di quelle tenute alla periferia di Tripoli. Valutazioni almeno in parte da non escludere, specie in tema di intesa strategica tra Russia e Turchia già emersa da anni in Siria e manifesta in Libia dall’autunno scorso.

Appare evidente che il governo turco punti a stabilire in Libia una base aerea ma anche una navale che gli consentirebbe di aumentare il proprio peso nell’area e di appoggiare e ricostituire la Marina Libica. La base ideale è quella di Abu Sitta. Dove oggi è presente una nave italiana con circa 70 militari che appoggiano e coordinano l’attività antri immigrazione illegale della Guardia Costiera libica. Una ulteriore conferma che la penetrazione turca in Libia è contrapposta agli interessi italiani e rientra nella strategia di Erdogan che negli ultimi due anni ha aperto basi militari in Somalia, Qatar, Siria e Sudan.

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Il ripiegamento dell’LNA dagli avamposti alla periferia di Tripoli sembra essere imposto dalla necessità di accorciare il fronte per difendere meglio i reparti esposti soprattutto a martellanti attacchi aerei effettuati dai droni Bayrackar TB2 turchi, almeno due dei quali abbattuti dalle forze di Haftar nelle ultime ore (circa 35 quelli probabilmente perduti da Ankara dal novembre scorso).

Al-Mismari ha parlato di riposizionamento tattico negando le notizie su “un ritiro totale da Tripoli”, sottolineando che l’obiettivo è “una ridistribuzione delle forze e il loro riposizionamento negli hub di combattimento in punti specifici nell’ambito delle operazioni. Il comando generale ha confermato che questa iniziativa viene attuata per risparmiare ai quartieri civili di Tripoli i bombardamenti del nemico durante i giorni di fine Ramadan, in modo che i civili non siano presi di mira da milizie terroristiche ed estremiste”, ha aggiunto al-Misnari.

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Più probabile invece che l’LNA cerchi di sganciarsi dal contatto diretto col nemico (ipotesi che verrebbe confermata dalla posa di  molte mine nei settori abbandonati, come denuncia il GNA) per riorganizzarsi in una fase molto critica del conflitto in cui le forze schierate sul fronte di Tripoli rischiano di vedersi tagliate le vie di rifornimento a sud e vedono sotto attacco la roccaforte di Tarhuna, sede del comando dell’LNA sul fronte di Tripoli dove operano anche molti consiglieri militari russi, emiratini e giordani.

Proprio in questi settori si stanno intensificando gli attacchi del GNA con l’obiettivo di investire Tarhuna da ovest dopo aver sfondato le linee nemiche ad Ain Zara, nella periferia sud di Tripoli.

Un piano il cui successo dipende molto dalla superiorità aerea imposta dai droni turchi che begli ultimi giorni avrebbero distrutto a Tarhuna e Washka (sul fronte orientale tra Misurata e Sirte) 6 sistemi di difesa aerea Pantsir forniti all’LNA dagli Emirati Arabi Uniti ma anche da almeno un altro paese che, a differenza degli emiratini, monta il sistema d’arma su autocarri russi KAMAZ invece dei tedeschi MAN.

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Il cedimento sui fronti di Tripoli sembra poter pregiudicare ad Haftar (già molto criticato nella “sua” Cirenaica) il supporto dei nostalgici di Gheddafi, fino a ieri al suo fianco. La tv pro-Gheddafi al-Jamahiriya ha diramato un comunicato delle forze leali al rais in cui si accusa il generale Khalifa Haftar di essere un “traditore” legato agli interessi di Paesi stranieri, “un agente che riceve ordini da oltremare”.

Lo scrive il Libya Observer. Le forze leali al regime di Gheddafi sostengono che Haftar non è un vero comandante che “combatte sul campo di battaglia” ma “da residenze lussuose e a migliaia di chilometri dalla linea del fronte” che fa “accordi commerciali e politici a spese del sangue della gente comune”. “Non saremo parte di un comando virtuale che non ha mai visitato la linea del fronte per un anno e mezzo”, recita la nota delle forze leali a Gheddafi. Il comunicato è stato diffuso in risposta all’annuncio del ripiegamento dell’LNA da sud di Tripoli.

 

La guerra siriana di Libia

L’offensiva condotta dalle forze del GNA non è stata indolore per i turchi e per i mercenari siriani arruolati da Ankara. Le forze di Ankara hanno perduto diversi droni e blindati mentre secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), Ong con sede a Londra che afferma di disporre di una fitta rete di informatori in tutte le regioni siriane, nei combattimenti in Libia erano stati uccisi al 17 marzo 304 mercenari siriani filo-turchi.

Negli ultimi mesi la Turchia ha portato in Libia 9.600 mercenari e altri 3.300 si stanno addestrando nei campi siriani, pronti a partire. Tra le reclute, segnala l’Osservatorio che monitora funerali e rimpatri nel nord della Siria delle salme dei caduti, vi sono circa 180 minori di età’ compresa tra 16 e 18 anni. Finora le vittime tra i minori sono state 17.

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Aumentano anche i flussi di miliziani siriani arruolati tra i filo-governativi dai russi (probabilmente con fondi emiratini che già pagano il conto dei mercenari ciadiani e sudanesi che affiancano l’LNA). Sempre l’Ondus il numero di reclute ha raggiunto 215 persone provenienti da Raqqah, Homs, Latakia e al-Hasakah e trasferite nella base militare russa di Hmeymim, a Latakia, per poi essere trasferite in Libia.

“Ogni recluta riceve uno stipendio mensile di 1.000 dollari per combattere dalla parte delle forze di Haftar contro il Governo di accordo nazionale sostenuto dalla Turchia, che anch’essa recluta mercenari in Siria”, spiegano le fonti dell’Ondus.

Alcune centinaia di mercenari reclutati tra le milizie fedeli a Damasco nelle province del sud della Siria sarebbero già in Cirenaica insieme ad armi ed equipaggiamento trasportati da aerei cargo russi e della compagnia siriana Cham Wings, a cui appartengono anche i due voli arrivati il 20 maggio a Bengasi. Uno di questi, proveniente da Teheran ma che ha fatto scalo a Damasco, ha aperto l’ipotesi che milizie scite filo-iraniane ed Hezbollah possano affiancare le forze dell’LNA.

Il dibattito sull’ipotetico ruolo dell’Iran in Libia è forse utile a sostenere il riposizionamento degli USA al fianco del GNA ma appare francamente impensabile sul piano politico, non fosse altro perché gli sponsor più importanti di Haftar sono sauditi, emiratini ed egiziani, i cui governi non sono certo sospettabili di simpatie per l’Iran.

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Più plausibile invece che il conflitto quasi concluso in Siria e la crisi finanziaria che sta portando l’Iran a smobilitare parte delle milizie arruolate in tutto il mondo islamico scita e schierate in Siria stia lasciando senza lavoro qualche migliaio di combattenti difficilmente ricollocabili nella vita civile. Veterani che potrebbero essere allettati dalla paga offerta per combattere in Libia nei ranghi dell’LNA.

Non sembra essere poi così remota l’ipotesi che sui campi di battaglia libici si ritrovino faccia a faccia gli stessi combattenti che si sono duramente affrontati sui fronti siriani.

 

Arrivano i jet russi

Dopo il massiccio intervento turco, la notizia che sembra imprimere maggiore spinta all’internazionalizzazione del conflitto libico è quella diffusasi ieri circa l’arrivo a Bengasi di 6 cacciabombardieri Mig 29 e 2 aerei da interdizione e attacco al suolo Sukhoi Su-24S provenienti dalla base aerea russa di Hmeymim.

L’arrivo dei velivoli russi era stato reso noto dal ministro dell’interno del GNA, Fathi Bashagha e sulla vicenda starebbero già indagando esperti Onu impegnati a segnalare le ormai quotidiane violazioni dell’embargo sulle armi alla Libia.

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Haftar, preannunciando enfaticamente “la più grande campagna aerea della storia libica”, ha implicitamente confermato il 21 maggio la presenza dei jet russi, già trasferiti almeno in parte nella base aerea di al-Jufra (350 chilometri a sud di Misurata e 460 chilometri a sud-ovest di Tripoli) per appoggiare le operazioni intorno a Tripoli.

“Nelle prossime vedrete ore la più vasta campagna aerea nella storia della Libia, per colpire interessi turchi e forze del governo di Tripoli in tutte le città libiche”, ha annunciato il generale Saqr al-Jaroushi, capo dell’Aeronautica dell’LNA.

Ankara ha risposto che riterrà le forze del generale Khalifa Haftar come un “obiettivo legittimo” se attaccheranno gli interessi di turchi in Libia, come ha dichiarato Hami Aksoy, portavoce del ministero degli Esteri.

Il giorno successivo il portavoce dell’LNA, colonnello al-Mismari, ha annunciato che sono stati ripristinati dai tecnici dell’aeronautica e rimessi in attività quattro caccia da combattimento (di tipo non specificato) dopo un lungo periodo di inattività. Gli aerei verranno usati nella battaglia contro il governo di Tripoli e si affiancheranno probabilmente ai velivoli inviati dai russi circa i quali molti aspetti non sono stati chiariti.

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Difficile dire in base agli elementi noti se si tratti di velivoli in forza all’Aeronautica Russa o se abbiano le insegne dell’LNA. Potrebbe infatti trattarsi dei Sukhoi Su-24 già in dotazione all’LNA ed ereditati dalle forze aeree di Gheddafi ma inviati in Russia per essere messi in condizioni di volare a cui si sono aggiunti Mig 29 acquisiti nuovi o di seconda mano in Russia o ceduti dalla Siria dopo che Damasco ha stretto relazioni diplomatiche ufficiali con Haftar.

Roma, 13 gen. (askanews) - Il generale libico Khalifah Belqasim Haftar "ha firmato un accordo" con Mosca per l'installazione di una base militare in Libia. A scriverlo oggi è al Quds al Arabi, quotidiano panarabo di proprietà del Qatar, Paese che sostiene l'ex governo islamista di Salvezza nazionale di Tripoli. Non solo ma la stessa testata, in un editoriale pubblicato oggi sul suo sito on-line, parla di "prossime manovre della marina militare russa" nelle acque del mediterraneo davanti alle coste libiche che avrebbe l'obbiettivo di "testare eventuali reazioni dei Paesi occidentali, troppo preoccupati di non impantanarsi" nel caos del Paese Nordafricano. Mercoledì scorso, il generale Haftar ha visitato l'incrociatore russo Kuznetsov. Il comandante del sedicente esercito nazionale libico è stato accolto a bordo dal Vice Ammiraglio V. N. Sokolov e una volta sul vascello si è collegato in videoconferenza con il Ministro della Difesa della Federazione Russa Sergei Shoigu, come ha fatto sapere in un comunicato il ministero della Difesa russo. (segue)

Mosca ha un accordo di cooperazione militare con l’LNA firmato nel gennaio 2017 dal generale Haftar a bordo della portaerei Admiral Kuznetsov (nella foto a lato) in navigazione nel largo di Tobruk, che potrebbe includere anche i contractors della società militare privata Wagner stimati da alcuni tra i 1.200 e i 1.400 effettivi, numeri che potrebbero rivelarsi sovrastimati.

Il ruolo russo nella fornitura sembra del resto confermato non solo dal fatto che gli aerei provenissero dalla base siriana utilizzata da Mosca (forse utilizzata come scalo intermedio per il trasferimento dei velivoli?) ma dal fatto che Mig 29 e Sukhoi 24 fossero scortati da due caccia Sukhoi Su-35 delle forze aeree russe.

Gli stessi piloti e tecnici destinati a operare con questi velivoli potrebbero essere libici addestrati in Russia oppure contractors russi o ancora siriani, che impiegano da anni questi due tipi di velivoli. In ogni caso la deterrenza espressa dai velivoli russi potrebbe influire sugli sviluppi a breve termine della situazione.

Fonti militari russe citate dall’Agenzia Nova hanno riferito che difficilmente avrebbe dato il via libera ad un dislocamento di velivoli delle forze aeree russe in territorio libico evidenziando come l’aeronautica siriana abbia da tempo in dotazione sia i Mig-29 che gli Su-24 in varie versioni e valutando che tali velivoli sono probabilmente giunti in Libia con personale militare siriano.

 

Una guerra sempre più “internazionale”

Da un lato tutti i protagonisti internazionali della crisi libica si dichiarano a favo-re del cessate il fuoco e della pace salvo poi sostenere le due fazioni con armi e combattenti.

A giorni è attesa la firma di un nuovo accordo di cooperazione militare tra Tripoli e uno Stato finora non precisato, ma che necessariamente sarà in gradi di aiutare militarmente il GNA senza fare troppa “ombra” alla Turchia e ai suoi interessi in Libia.

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Ieri i ministri degli Esteri di Russia e Turchia, Serghiei Lavrov e Mevlut Cavusoglu, hanno ribadito la necessità di un cessate il fuoco immediato e della ripresa “di un processo politico sotto l’egida dell’Onu”.

Difficile però credere che dopo le diverse intese raggiunte in Siria, russi e turchi siano pronti a combattersi oggi in Libia. Più probabile che il reciproco rafforzamento militare possa favorire, dopo la sconfitta dell’LNA in Tripolitania, una sorta di spartizione della Libia tra una Tripolitania a influenza turco-qatarina garantita dalle basi militari turche e una Cirenaica sotto l’influenza russo-egiziana-emiratina.

Un’ipotesi che può apparire lontana dal momento che anche ieri il GNA ha reso noto di non accontentarsi di liberare Tripoli dall0’assedio ma di mirare a conquistare “tutto il territorio libico” a partire dalla cosiddetta “Mezzaluna petrolifera” del Golfo della Sirte indicata come obiettivo a medio termine del GNA.

Il comandante delle forze del GNA, generale Ahmed al Haddad, ha infatti affermato che il prossimo obiettivo è “liberare la regione della Mezzaluna petrolifera con l’assistenza degli alleati turchi”. In una dichiarazione ripresa dalla testata online “Al Ain”, Al Haddad ha aggiunto che “è giunto il momento di riprendere a produrre ed esportare petrolio libico” (dopo che il blocco imposto da Haftar ha già provocato danni all’export di greggio per oltre 4 miliardi di dollari) osservando che “i paesi che hanno sostenuto le forze del GNA avranno la priorità nel beneficiare delle risorse economiche libiche”.

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Minacce a cui l‘LNA ha risposto annunciando che “continuerà la sua battaglia contro l’invasione turca” precisando che ci sono “1.500 soldati turchi attualmente in Libia” e “altri 2.500 sono in arrivo”. Un numero che non include i già citati mercenari siriani ma potrebbe includere i contractors turchi della compagnia privata Sadat, ex militari presenti a Tripoli già da molti anni.

I proclami bellicosi dei protagonisti libici devono però fare i conti con la ormai totale dipendenza di entrambe le formazioni militari dal supporto che ricevono dall’estero. Per questo la crescente influenza militare di Mosca e Ankara potrebbe costituire la migliore garanzia per giungere a un accordo il più possibile stabile che quanto meno “congeli” il conflitto.

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A conferma di quanto un’intesa russo -turca in Libia venga temuta in dalle potenze Occidentali, ieri all’Onu Stati Uniti e Gran Bretagna hanno chiesto alla Russia di smetterla di inviare mercenari in Libia, dopo che un rapporto Onu ha confermato la presenza di combattenti russi e siriani nel paese.

“Siamo particolarmente preoccupati da ulteriori notizie secondo le quali parti esterni continuano a fornire materiali, equipaggiamenti, mercenari”, ha detto l’ambasciatore britannico Jonathan Allen. “Le attività del Wagner Group continuano a esacerbare il conflitto e a prolungare la sofferenza del popolo libico”. Gli ha fatto eco l’ambasciatrice statunitense  Kelly Craft. “Tutte le parti coinvolte nel conflitto in Libia devono immediatamente sospendere le operazioni militari”, ha affermato.

“Devono fermare il trasferimento in corso di equipaggiamento e personale militare verso la Libia, compresi quelli, come menzionato dal Regno Unito, dei mercenari del Wagner Group”.

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L’ambasciatore russo Vasily Nebenzia ha parlato di “speculazioni” e ha attaccato il rapporto Onu  “per la gran parte basato su dati non verificati o chiaramente falsificati con l’obiettivo di screditare la politica russa in Libia.Molti dei dati  in particolare riguardanti cittadini russi menzionati nel rapporto sono semplicemente infondati. Non ci sono soldati russi in servizio in Libia”.

Da tempo Mosca gioca sul fatto che i contractors non sono soldati e on seno neppure pagati dalla Russia ma il fatto che all’ONU gli ambasciatori anglo-americani citino esplicitamente il migliaio di contractors russi e omettano di citare i quasi 10 mila mercenari jihadisti arruolati da Ankara in Siria offre la piena misura del tentativo di riavvicinare la Turchia alle potenze della NATO puntando sul confronto russo-turco in atto in Libia.

Basti pensare che è stato lo stesso ministro turco della Difesa turco, Hulusi Akar, a dichiarare il 20 maggio all’agenzia ufficiale Anadolu che gli equilibri in LIBIA sono “cambiati in modo considerevole dopo che la Turchia ha iniziato a sostenere il governo di Tripoli con la formazione, la cooperazione e l’assistenza in campo militare”.

@GianandreaGaian

Foto: Digital Globe, Libya Observer, Twitter, LNA. GNA, Daily Sabah, Ondus e Ministero Difesa Russo

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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