In Nagorno-Karabakh vincono azeri e russi

Vladimir Putin sembra avercela fatta a mediare un cessate il fuoco tra le due repubbliche ex sovietiche di Armenia e Azerbaigian impegnate da un mese e mezzo nel sanguinoso conflitto in Nagirno-Karabah. Dopo aver fallito il tentativo di imporre un cessate il fuoco nell’ottobre scorso, Mosca ha ottenuto un successo diplomatico importante che sembra poter porre fine (almeno per ora) a un conflitto che vede i due avversari provati dalle perdite sul campo di battaglia e dai costi economici.

Gli azeri, che avevano scatenato l’offensiva con la pretesa di strappare agli armeni l’intero Nagorno-Karabakh, hanno accettato l’accordo di pace poche ore dopo aver conseguito un successo militare rilevante (ma non definitivo) e al tempo stesso simbolico con la conquista di Shusha.

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La città fu teatro di aspri scontri durante il conflitto degli anni ’90 e dalle sue coline permette di tenere sotto tiro Stepankert, il capoluogo della regione che gli armeni chiamano Artsakh situato a quota molto più bassa. La sua caduta suggella la conquista azera di un’ampia porzione territoriale sul fronte meridionale pari a quasi al 15/ 20 per cento del territorio della regione contesa.

Per gli armeni la pace ha il sapore amaro della sconfitta bruciante  e dopo la caduta di Shusha il presidente armeno Armen Sarkissian ha licenziato il direttore ad interim del Servizio di sicurezza nazionale (Nss), Mikayel Hambardzumyan con un comunicato ripreso in Italia dall’Agenzia Nova in cui si precisa che il suo vice Armen Abazyan prenderà il suo posto.

Hambardzumyan era stato nominato direttore ad interim l’8 ottobre scorso dopo le dimissioni del suo predecessore, Argishti Kyaramyan, con ogni probabilità considerato responsabile di non aver rilevato con la sua agenzia di intelligence i preparativi armeni per la grande offensiva scatenata due settimane prima.

L’accordo sul cessate il fuoco raggiunto dal presidente azero Ilham Aliyev e dal primo ministro armeno Nikol Pashinyan sotto l’egida de presidente russo “creerà le condizioni necessarie per una soluzione definitiva, a lungo termine e su base equa della crisi ne Nagorno-Karabah”, ha dichiarato Putin annunciando l’invio di circa 2mila militari russi lungo la ziona smilitarizzata che separa i due eserciti.

 

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Quattordici aerei militari Ida trasporto l-76 con a bordo militari russi che opereranno come forza d’interposizione sono già partiti per la regione, ha reso noto oggi il ministero della Difesa a Mosca. Gli aerei sono decollati dalla base di Ulyanovsk-Vostochny.

La missione russa prevede di schierare 1.960 militari, per lo più della 15esima brigata motorizzata del Distretto Militare Centrale, con 90 mezzi blindati per il trasporto truppe, 380 veicoli e altri equipaggiamenti.

In base all’accordo, entrato in vigore la notte di lunedì, gli azeri manterranno il controllo di Shusha e gli armeni cederanno anche il controllo del distretto di Agadam entro il 20 di questo mese e dei distretti di Kalbajar e di Lachin entro il 15 di novembre e il primo dicembre: si tratta di 3 dei 7 distretti azeri situati tra il territorio armeno e il Nagorno Karabakh controllati dall’Armenia dopo la guerra conclusa nel 1994.

Il nuovo corridoio largo 5 chilometri, collegherà i territori armeni del Nagorno Karabakh all’Armenia attraverso il distretto di Lachin senza passare da Shusha, rimarrà sotto il controllo dei militari russi che hanno un mandato di cinque anni rinnovabile per altri cinque.

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La missione della forza d’interposizione russa avrà il comando vicino a Stepanakert, non lontano dalle postazioni azere a Shusha, ma dovrebbe disporre anche di una base in territorio azero.

In base all’intesa i profughi azeri costretti a lasciare la regione durante la guerra conclusa nel 1994 potranno fare ritorno alle loro case; iniziativa che evidentemente provocherà nuovi profughi armeni tra i 100 mila che hanno lasciato le loro case nei territori già occupati e tra coloro che se ne andranno dai distretti destinati a tornare sotto il controllo azero.

Putin ha detto che le due parti sono già impegnate nello scambio di prigionieri di guerra e dei corpi delle vittime, e che i rifugiati rientreranno nella regione sotto la supervisione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.  La dichiarazione congiunta è stata accolta da festeggiamenti a Baku, dove il presidente Aliyev ha detto che l’accordo rappresenta “l’effettiva capitolazione dell’Armenia”.

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Al contrario, nella capitale armena Erevan, manifestanti hanno protestato contro l’annuncio del cessate il fuoco, e sfondato un cordone delle forze dell’ordine facendo irruzione nell’edificio principale del governo, riporta la Tass.

In un post su Facebook, Pashinyan ha descritto la decisione di firmare l’accordo come ”molto dura” e ”incredibilmente delicata a livello personale e per tutto il nostro popolo”. Ho preso la decisione di firmare in seguito a una analisi approfondita della situazione militare e delle persone che sono maggiormente al corrente dello stato delle cose”.

Arayik Harutyunyan, leader armeno del Nagorno-Karabakh, considera inevitabile l’accordo. “Dopo aver tenuto conto della difficile situazione e della necessità di evitare ulteriori vittime e la totale perdita del Nagorno-Karabakh, ho dato il mio consenso a porre fine alla guerra”, ha scritto su Facebook. “Se gli scontri fossero proseguiti, avremmo perso l’intero Artsakh entro pochi giorni e avremmo avuto più vittime”.

Di fatto si tratta dell’ammissione che gli armeni non erano più in grado di reggere sui fronti bellici e che l’unica alternativa a questo “accordo capestro” per la causa armena sarebbe stata una sconfitta totale.

Gli armeni affermano che nel conflitto sono morti circa 1.200 soldati, oltre a molti civili ma lamentano anche elevate perdite di mezzi e armamenti in buona parte colpiti dai droni turchi e israeliani impiegati dagli azeri.  Baku non comunica le perdite militari ma sostiene che i bombardamenti ameni hanno ucciso circa 80 civili.

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L’accordo che concede ampi vantaggi territoriali agli azeri, rischia di porre le basi per una successiva riconquista dell’intero Nagorno-Karabakh (che ora sarà collegato con l’Armenia solo dal corridoio di Lachin) ma pone gli azeri in condizione di minacciare tutto il territorio armeno.

Per questa ragione l’accordo di pace garantito dai russi potrebbe gettare le basi per nuovi conflitti scatenati da una prossima offensiva a tenaglia azera sul Nagorno-Karabakh o su una controffensiva armena tesa a riprendere il controllo dei territori perduti.

Se il primo scenario è militarmente più fattibile, considerato il vantaggio strategico acquisito dagli azeri che hanno di fatto circondato i distretti della regione contesa ancora in mano agli armeni, il secondo non sarà attuabile prima di un lungo, costoso e massiccio riarmo delle forze armene, decimate dagli attacchi azeri sostenuti dai turchi.

Non a caso il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha definito una ”importante conquista” l’accordo sul cessate il fuoco aggiungendo che l’Azerbaigian ha ottenuto “una conquista importante sul campo e al tavolo dei negoziati. ‘Continueremo a essere una nazione con i nostri fratelli e sorelle dell’Azerbaigian”, ha aggiunto.

Ankara, che ha avuto un ruolo chiave nel successo azero, sembra ora puntare ad aumentare presenza e influenza militare in quell’area. Secondo Aliyev, la Turchia verrà coinvolta nell’attuazione dell’accordo ma da Mosca è stato precisato che l’accordo di cessate il fuoco non prevede la presenza di truppe turche nel territorio del Nagorno-Karabakh, come ha dichiarato il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, precisando però che potrebbe essere creato con un accordo a parte un centro di monitoraggio del cessate il fuoco con la partecipazione turca.

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Centro che sorgerebbe però in territorio azero. “Non una singola parola viene detta” sui soldati turchi “nella dichiarazione pubblicata. Le parti non hanno concordato questo. La presenza di militari turchi nel Karabakh non è stata coordinata”, ha affermato Peskov.

Come in Libia e prima ancora sui fronti settentrionali siriani del Rojava (Kurdistan siriano) e della provincia di Idlib, russi e turchi sono anche nel conflitto caucasico i protagonisti degli accordi per il cessate e il fuoco e il pattugliamento delle aree smilitarizzate.

Se nel caso del Nagorno- Karabakh i russi hanno avuto buon gioco fin dall’inizio a tagliare fuori Ankara dal processo negoziale non è detto che Baku non faccia “entrare dalla finestra” i turchi che Mosca era riuscita a tenere “fuori dalla porta”   Anche perché Baku dovrà pagare il debito contratto con la Turchia, vera artefice della vittoria bellica, e non è detto che bastino le forniture  di petrolio a saldarlo.

Proprio mentre si metteva a punto il cessate il fuoco, un missile antiaereo spalleggiabile (MAMPADS) lanciato dal territorio azero della provincia del Nakhicevan ha abbattuto per errore un elicottero da attacco russo Mi-24 (Mosca schiera circa 2mila militari con aerei da caccia, elicotteri e mezzi terrestri in due basi in Armenia) uccidendo due uomini di equipaggio e ferendone gravemente un altro. Baku ha ammesso l’’errore scusandosi con Mosca e dicendosi pronta “a pagare un adeguato risarcimento”.

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“L’elicottero stava volando al buio, a bassa quota e al di fuori dalla zona di rilevamento del radar della difesa aerea. Sino a quel momento non sono stati visti elicotteri dell’Aeronautica russa in quell’area specifica” recita un comunicato del ministero degli esteri azero. “Dati questi fattori e alla luce della situazione di tensione nella regione e della maggiore prontezza al combattimento, l’Azerbaigian si scusa con la parte russa in relazione a questo tragico incidente, che è stato un evento accidentale e non era diretto contro Mosca”.

@GianandreaGaian

Immagini: BBC, TASS, Ministero Difesa Armeno e Ministero Difesa Azero

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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