Cade anche Farah: i talebani stringono la morsa sull’Afghanistan

 

 

Il rullo compressore dell’offensiva talebana sembra inarrestabile e sono ormai 8 su 34 i capoluoghi di provincia afghani caduti in mano agli insorti.

Dopo Zaranj, Sar-e-Pul, Sheberghan, Taqar, Kunduz e Aibak, capoluogo della provincia di Samangan ieri sono cadute anche Farah City, capoluogo dell’omonima provincia sud occidentale e Pol-e Khomri, capoluogo della provincia di Baghlan, a poco più di 150 chilometri da Kabul dove “il nemico ha subito pesanti perdite”, ha scritto un portavoce talebano su Twitter.

A confermare la caduta di Farah alla stampa internazionale è stato un membro dell’amministrazione locale, Shahla Abubar, secondo cui i miliziani hanno preso il palazzo del governatore e le stazioni di polizia. La città, un tempo presidiata come l’intera provincia da forze italiane, è attraversata da due strade che la collegano a nord e a est alla Ring Road, la strada anulare che attraversa tutto il paese e che in quel settore unisce Herat alle grandi città del sud, Laskar Gah e Kandahar, anch’esse ormai assediate da settimane.

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Sotto assedio anche Herat nell’ovest, Kandahar e Laskar Gah nel sud mentre nel nord un attacco talebano a Mazar-i-Sharif è stato respinto e le forze armate afgane hanno ripreso il controllo del distretto di Nahr-i-Shahi, come ha annunciato il governatore della provincia di Balkh, Mohammad Farhad Azimi.

Il capo della polizia del distretto di Nahr-i-Shahi, adiacente al capoluogo di Mazar-i-Sharif, ha confermato che i talebani sono stati respinti dalle forze afgane “con l’aiuto del supporto aereo” senza precisare se si sia trattato di velivoli afghani (nella foto qui sopra)o dei bombardieri B-52 e delle “cannoniere volanti” AC-130 messi a disposizione dagli Stati Uniti per tentare di fermare gli attacchi ai centri urbani.

Col progredire dell’offensiva gli obiettivi talebani sembrano delinearsi.

Sul piano strategico la caduta di alcune città chiave consente di isolare progressivamente Kabul e i centri più grandi lungo la Ring Road (arteria principale del paese) impegnando le forze governative su diversi fronti.

Molti sforzi vengono concentrati nelle province settentrionali e occidentali abitate da etnie hazara, tagike e uzbeke, da sempre ostili ai talebani con l’obiettivo di impedire che in queste aree si costituiscano milizie etniche. Al tempo stesso i talebani hanno assunto ormai da alcune settimane il controllo delle frontiere con l’intento di sigillare il paese e incassare i dazi doganali per le merci in transito con cui finanziare l’offensiva.

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Sul piano tattico invece i capoluoghi di provincia vengono assediati con puntate offensive nei centri urbani tesi a impegnare i reparti governativi logorandoli, riducendone le scorte di munizioni e carburante e coinvolgendo negli scontri i civili per indurre la popolazione a chiedere alle autorità il ritiro dei soldati al fine di risparmiare sofferenze ai civili.

In queste battaglie il punto debole delle truppe di Kabul è insito nell’impossibilità di ricevere rinforzi e rifornimenti (elementi che hanno influito non poco nella caduta degli 8 capoluoghi di provincia) poiché le strade principali non sono più da tempo sicure per i convogli (secondo stime dell’Unione Europea i talebani controllano ora il 65 per cento del territorio) mentre i velivoli da trasporto efficienti sono sempre meno dopo il ritiro dei contractors americani che gestivano la manutenzione di mezzi e velivoli.

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Il Mullah Muhammad Yaqoob, figlio maggiore, poco più che ventenne, del fondatore dei talebani afghani Mullah Omar, in un messaggio audio ha esortato i miliziani a rispettare le case e le proprietà nelle città conquistate, a concentrarsi sulla “linea del fronte e combattere”. I talebani dovrebbero anzi garantire la sicurezza dei residenti, ha detto, aggiungendo che, se il personale dell’esercito nazionale afghano si arrendesse, nessuno dovrebbe subire violenze”.

Finora però si segnalano numerosi casi di saccheggi e di esecuzioni di militari, poliziotti, funzionari governativi presi prigionieri. “Non rimpiango la decisione di ritirare le nostre truppe dall’Afghanistan” ha affermato nonostante la disfatta incombente il presidente americano Joe Biden.

“I leader afghani devono ora mettersi insieme e lottare per sé stessi, per il loro Paese – ha continuato – Washington continuerà’ a fornire supporto aereo, rifornimenti, equipaggiamento e salari per le truppe”.

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Di certo le truppe e buona parte del popolo afghano stanno già rimpiangendo il ritiro di USA e NATO e del resto poco può consolare che Washington (e anche Roma che contribuisce con 120 milioni di euro annui) paghi gli stipendi a kandak (battaglioni) afghani che progressivamente sbandano, si arrendono o vengono sopraffatti dal nemico.

Del resto, al di là delle frasi diplomatiche e di circostanza, a Washington non si fanno molte illusioni circa gli sviluppi futuri come dimostra l’annuncio che il Dipartimento di Stato sta valutando la riduzione del personale dell’ambasciata Usa a Kabul. Decisione legata evidentemente alla valutazione che la caduta di Kabul non è più prevista entro sei mesi, come avevano fatto trapelare fonti del Dipartimento di Stato, ma molto più rapidamente.

Il presidente afgano Ashraf Ghani sembra aver ben compreso di non poter contare sull’aiuto statunitense e sta cercando di convincere i leader politici e tribali a istituire un comando centrale per le milizie popolari che si stanno costituendo in varie regioni per contrastare l’avanzata dei talebani.

Come riferisce l’Agenzia di stampa Nova citando l’afghana ToloNews, dopo l’incontro avvenuto ieri con il capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale, Abdullah Abdullah, e i presidenti dei due rami dell’Assemblea nazionale, ieri Ghani ha avuto colloqui con l’ex vicepresidente Mohammad Karim Khalili, il secondo vicepresidente Mohammad Sarwar Danesh, il consigliere presidenziale e capo del Partito per l’unità islamica del popolo afghano Mohammad Mohaqiq e un membro anziano dell’Hizb-e-Wahdat, Sadiq Mudabir.

Le quattro personalità vantano un’importante influenza politica e tribale nelle province centrali dell’Afghanistan. Nei prossimi giorni sono previsti ulteriori incontri. All’incontro di ieri hanno partecipato anche l’ex vicepresidente Abdul Rashid Dostum, che secondo quanto riferito è stato uno dei personaggi politici ad aver suggerito il piano e che, secondo diverse voci, dovrebbe recarsi nella provincia settentrionale di Balkh dove le Forze armate stanno combattendo per impedire ai talebani di conquistare Mazar-i-Sharif.

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“Stiamo aspettando che il presidente annunci la data per il viaggio, le attrezzature e le forniture del maresciallo Dostum al nord”, ha detto il suo portavoce, Ihsan Nairo. Dostum è stato uno dei più importanti “signori della guerra” afghani e alla testa delle milizie uzbeke ha dato filo da torcere ai talebani collaborando nel 2001 con gli statunitensi nell’ambito dell’Alleanza del Nord che rovesciò il regime degli studenti coranici.

Alcuni politici hanno mostrato il loro sostegno alla decisione di istituire milizie popolari contro i talebani nonostante il rischio rispondano ai “signori della guerra” locali invece che al governo centrale.

@GianandreaGaian 

Foto Esercito Afghano

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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