La crisi ucraina tra venti di guerra, gas e propaganda

 

 

Poco è trapelato circa i contenuti e le eventuali intese emersi nel colloquio tra Vladimir Putin e Joe Biden che certo non sembra aver risolto la crisi ai confini ucraini ma potrebbe averne fermato l’escalation.

Biden ha di nuovo minacciato “sanzioni mai viste” contro Mosca se l’Ucraina venisse aggredita ma sottolineare le rappresaglie economiche contribuisce a escludere quelle militari, definite “non un’opzione” da Biden. Il messaggio, anche per il governo di Kiev, sembra essere chiaro: gli USA non sono disposti a scendere in guerra contro la Russia.

Anzi, Biden sembra aver accettato il problema posto da anni della Russia e relativo alla minaccia alla sua sicurezza rappresentato dall’estensione a est della NATO, dalla presenza di consiglieri militari USA e alleati in Ucraina (che riceverà altri 300 milioni di dollari di aiuti perla sicurezza da Washington) e dalla pretesa di Kiev di essere accolta nell’Alleanza Atlantica. “Sarebbe criminale osservare passivamente gli sviluppi di una possibile adesione di Kiev alla Nato” ha detto Putin, circostanza che vedrebbe le forze dell’Alleanza Atlantica schierate ad appena 500 chilometri da Mosca.

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Lo dimostra l’annuncio della Casa Bianca di possibili “incontri di alto livello” tra gli Stati Uniti, la Russia e almeno quattro alleati della NATO: che tra questi vi siano Francia, Germania e Regno Unito pare certo, auspicabile che sia stata presa in considerazione la presenza dell’Italia, possibile che vi partecipi la Polonia, “alleato di ferro degli USA” sul cosiddetto “East Flank” che con le repubbliche Baltiche condivide le maggiori preoccupazioni per i rischi di un confronto militare con la Federazione Russa.

L’obiettivo che certamente Biden ha raggiunto è di vedere schierati al suo fianco i principali alleati della NATO, alleanza in cerca di riscatti simbolici dopo il disastro afghano.

Sulla posizione britannica) non ci sono mai stati dubbi (Londra ha appena aggiunto un miliardo di sterline ai 2,5 già stanziati per sostenere Kiev) mentre il ministero degli esteri francese ha minacciato “conseguenze strategiche gravissime se la sovranità’ dell’Ucraina non sarà rispettata e a Berlino il neo cancelliere Olaf Scholz ha ribadito che “i confini dell’Ucraina sono inviolabili” minacciando rappresaglie sul gasdotto Nord Stream 2, che raddoppierà’ l’afflusso di gas russo all’Europa.

Peraltro strategico per l’export energetico russo almeno quanto lo è per gli approvvigionamento di gas tedeschi ed europei.

Il primo dicembre Putin aveva chiesto l’avvio di negoziati per definire “garanzie vincolanti e concrete” per fermare l’espansione della Nato a est ed escludere il dispiegamento di armi che minaccino la Russia nelle vicinanze del suo territorio.

 

Pronti all’invasione?

L’impressione è che il gioco delle parti tra russi e americani continui ad avere successo lasciando agli europei il ruolo di mere comparse. Nelle ultime settimane Washington ha rilanciato l’allarme per imminente invasione russa dell’Ucraina con il Washington Post che ha potuto vedere un rapporto dell’intelligence opportunamente declassificato che paventa per gennaio 2022 un attacco russo in grande stile condotto da 100 battaglioni, per metà corazzati e di artiglieria, con 175 mila militari equipaggiati con centinaia di carri armati, artiglieria e mezzi blindati.

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Un allarme che ha raddoppiato la minaccia che solo pochi giorni prima era stata denunciata dal governo ucraino che valutava la presenza di 90 mila militari russi entro 270 chilometri dal confine.

A Washington sembrano essere affezionati a queste operazioni mediatiche tese a denunciare l’aggressività e l’imminente minaccia del cattivo di turno, anche se dopo le “pistole fumanti” irachene nessuno dovrebbe più prenderle troppo sul serio.  Del resto fin dalla rivoluzione (o golpe, a seconda dei punti vista) del “Maidan” del 2014 che portò l’Ucraina fuori dall’orbita russa per avvicinarla a NATO e Ue, gli allarmi lanciati da Kiev, Washington o dall’Alleanza Atlantica per una possibile offensiva russa tornano periodicamente alla ribalta.

Mosca ha tutto l’interesse a mostrare i muscoli per ottenere negoziati che offrano garanzie alla sua sicurezza ma il concentramento di forze militari in un’area compresa tra il confine ucraino e alcune centinaia di chilometri all’interno della Russia non è inconsueto tenuto conto della vicinanza di Mosca e delle grandi esercitazioni invernali che si tengono in questo periodo nel Distretto Occidentale.

Le nuove tensioni sembrano però create ad arte per imporre ulteriori pressioni (e sanzioni) a Mosca e contribuire a scavare un profondo solco tra Russia ed Europa facendo leva proprio sui gasdotti e sulla dipendenza energetica europea dalla Russia.

Fin dalla “rivoluzione del Maidan” del 2014, la questione del gas è sempre stata al centro della crisi in Ucraina e all’epoca il presidente Barack Obama non esitò a chiedere agli europei di cessare le importazioni di gas russo che costituiscono una parte rilevante delle entrate in valuta dell’economia della Federazione Russa.

Non deve stupire che Biden, ex vice di Obama, punti allo stesso obiettivo per consolidare una nuova “Cortina di ferro” che isoli la Russia dall’Europa.

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Più difficile invece comprendere come questa escalation con Mosca possa rientrare negli interessi tedeschi e di un’Europa che deve già fare i conti con una pesante crisi energetica e che dovrebbe avere tutto da guadagnare dalla distensione con Mosca “congelando” il fronte del Donbass e la pretesa del governo filo-americano di Kiev di entrare nella NATO.

L’Alto rappresentante europeo per la politica estera e di difesa della Ue, Josep Borrell, ha dichiarato nei giorni scorsi che In caso di crisi, l’Unione Europea sarà con Kiev. “Lavoriamo per evitare la crisi ma dinanzi ad ogni eventualità, l’Ue sarà saldamente dietro l’Ucraina” ha detto invitando tutti a “riflettere sulle conseguenze”. Frasi che non sembrano contemplare la disponibilità della Ue a inviare truppe a combattere i russi invasori dell’Ucraina.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky ha affermato che l’esercito ucraino è una struttura altamente organizzata ed è in grado di “distruggere qualsiasi piano aggressivo” nemico ma, nonostante da tempo siano affiancate da consiglieri militari statunitensi, canadesi, britannici e di altre nazioni della NATO, le forze armate ucraine verrebbero rapidamente sbaragliate da una massiccia offensiva russa la cui attuazione è però del tutto improbabile.

 

Le opzioni militari russe

Putin è ben consapevole che invadere l’Ucraina è cosa ben diversa dall’inviare un corpo di spedizione con qualche migliaio di militari e qualche decina di aerei ed elicotteri in Siria.

Scatenare una guerra in Europa sarebbe un azzardo sul piano militare ed economico, l’operazione rischierebbe di portare a un confronto con la NATO e avrebbe costi finanziari proibitivi richiedendo forze imponenti per invadere e poi mantenere l’occupazione della ex repubblica sovietica: un conflitto che inoltre bloccherebbe definitivamente l’export di gas russo in Europa.

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Meglio ricordare che la Russia spende per la difesa un settimo degli Stati Uniti e un decimo della NATO anche se questo non esclude che il Cremlino possa valutare, in determinate condizioni critiche, l’opzione bellica in Ucraina.

Come già evidenziato, la prima e la più importante condizione sarebbe l’adesione dell’Ucraina alla NATO o lo schieramento di truppe da combattimento americane e alleate sul suolo ucraino: scenari che costituirebbero una decisa minaccia alla sicurezza della Russia che ha già visto negli timi 20 anni l’Alleanza Atlantica allargarsi ampiamente verso est.

Del resto come reagirebbero gli Stati Uniti se i russi aprissero basi militari in Canada o in Messico? Basti pensare alle reazioni di Washington in occasione della crisi di Cuba del 1962 e successivamente quando bombardieri e navi russe si rischieravano frequentemente in Venezuela.

Un secondo ulteriore scenario che potrebbe innescare il rischio di una offensiva russa è rappresentato da un attacco ucraino che, con l’aiuto della NATO, cercasse di riconquistare il Donbass. La risposta di Mosca sarebbe in questo caso probabilmente su scala limitata, forse con l’impiego di forze “irregolari”, prive di insegne della Federazione Russa come quelle che presero il controllo della Crimea nel 2014.

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Un’operazione che potrebbe porsi l’obiettivo di respingere l’attacco alle province orientali filo-russe o una controffensiva tesa a conquistare Mariupol, sul Mare d’Azov, per conseguire una continuità territoriale tra il Donbass e la Crimea (annessa alla Russia nel 2014 con un referendum contestato dall’Occidente) punendo Kiev con ulteriori sottrazioni territoriali.

Sempre restando nel campo delle opzioni militari, in caso di conflitto con Kiev a più alta intensità, Mosca potrebbe puntare a raggiungere con le sue truppe il fiume Dnepr spezzando di fatto in due l’Ucraina, guadagnando profondità strategica e stabilizzando la crisi su un confine geografico preciso: a est l’Ucraina filo-russa, a ovest quella filo-occidentale.

Uno scenario che vedrebbe nascere quindi “due Ucraine” permettendo a Mosca di recuperare (con l’impiego di un numero non imponente di militari) le province orientali abitate per lo più da cittadini di origine russa (10 milioni di ucraini, un quarto della popolazione, avevano il doppio passaporto nel 2014) che potrebbero ameno in parte accogliere con favore le truppe della Federazione.

Certo una simile operazione non sarebbe indolore: determinerebbe fortissime ripercussioni internazionali e metterebbe a dura prova il consenso interno di Putin, specie se le perdite sul campo di battaglia dovessero risultare elevate.

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Una guerra in Ucraina minerebbe però anche la tenuta della NATO (fresca reduce dalla bruciante umiliazione subita dai talebani in Afghanistan) e della UE, costrette a manifestare concretamente il sostegno all’Ucraina ma senza poter esprimere una reale deterrenza a causa dell’assenza di ogni volontà di inviare proprie truppe a “morire per Kiev”.

L’Ucraina del resto non fa (ancora) parte della NATO e non vi sarebbe alcun obbligo per i suoi membri di entrare in guerra per difenderla. Anche Putin ne è perfettamente consapevole.

@GianandreaGaian

 

Foto: Casa Bianca, Cremlino, Defence Express e Forze Armate Ucraine

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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