Il 2021 ha rilanciato l’immigrazione illegale su vasta scala in Italia

 

 

Il 2021 ha visto l’Italia tornare ad essere il paradiso dei traffici illeciti di esseri umani con un numero di sbarchi di immigrati clandestini senza precedenti tra tutti i paesi europei dopo il 2017, con oltre  67 mila immigrati illegali giunti in Italia dal mare nel 2021: circa 16 mila i tunisini seguiti da oltre 8 mila egiziani e quasi 8 mila bengalesi più quasi 4mila iraniani e altrettanti ivoriani, circa 2.500 siriani e altrettanti marocchini, guineani, eritrei e quasi 16 mila clandestini appartenenti a nazionalità diverse o sconosciute.

Record senza precedenti negli ultimi anni anche per i cosiddetti “minori non accompagnati” (cioè coloro che si dichiarano minori al momento dello sbarco) quest’anno saliti a 9.478, più del doppio dello scorso anno e quasi 6 volte in più rispetto al 2019.

I dati complessivi del Viminale riportavano al mattino del 31 dicembre che dall’inizio dell’anno sono sbarcati dal mare in Italia 67.040 clandestini (cifra che non considera quelli entrati dal confine sloveno nè i 440 sbarcati ieri dalla Sea Watch 3 a Pozzallo), il doppio del 2020 34.134) e ben sei volte di più del 2019 (11.471), anno in cui fino a inizio settembre il ministero dell’Interno venne guidato da Matteo Salvini.

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Negli ultimi giorni dell’anno gli sbarchi si sono moltiplicati: in quasi 500 sono arrivati il 26 dicembre a Crotone dalla rotta turca cresciuta quest’anno del 200 per cento rispetto al 2020 mentre quella libica è aumentata del 300 per cento. Cinque gli sbarchi nel crotonese nel giro di 24 ore con l’arrivo di quasi 800 clandestini.

In un centinaio sono arrivati a Lampedusa il giorno di Natale, provenienti da Bangladesh, Eritrea, Pakistan e Gambia mentre è attraccata a Trapani la nave della Ong norvegese Ocean Viking con a bordo altri 114 migranti illegali e a Pozzallo (Ragusa) è arrivata la nave Ong Sea Eye 4 con 214 clandestini. Altri 560 sono stati fatti sbarcare a Ragusa dalla neve Geo Barents (nella foto sopra) di Medici Senza Frontiere e 440 a Pozzallo, il 31 dicembre, dalla Sea Watch 3.

 

L’impatto del “caso Rackete”

Salvare vite in mare è’ “un dovere”, un obbligo sancito “dal diritto nazionale e internazionale del mare”. Per questo Carola Rackete non ha commesso alcun reato entrando in porto a Lampedusa con i naufraghi soccorsi in mare dalla Sea-Watch 3, nave della Ong tedesca di cui la Rackete era comandante.

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Queste le valutazioni con cui è stato archiviato anche il procedimento penale nei confronti della capitana tedesca, accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di aver violato l’articolo 1099 del codice di navigazione perché non obbedì all’ordine di non entrare nelle acque territoriali italiane, emesso ai sensi del Decreto Sicurezza Bis varato dal ministero dell’Interno guidato da Matteo Salvini.

Carola Rackete “ha agito nell’adempimento del dovere di salvataggio”, spiega il gip di Agrigento Micaela Raimondo dopo che nel 2020 la Cassazione aveva sancito l’illegittimità dell’arresto dell’esponente della Ong tedesca mentre lo scorso maggio un primo provvedimento di archiviazione fece cadere le accuse di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra. Di fatto il 22 dicembre si sono chiuse tutte le indagini penali nei confronti dei membri della Sea-Watch che all’epoca speronò una motovedetta della Guardia di Finanza per entrare in porto a Lampedusa e sbarcarvi i clandestini a bordo.

La richiesta di archiviazione della procura della Repubblica di Agrigento, le cui motivazioni sono state integralmente accolte dal gip nel decreto di archiviazione, riconosce la correttezza della condotta della comandante nell’individuazione del place of safety più vicino e stabilisce che la Libia non può’ essere considerata, ai fini dello sbarco, un luogo sicuro. Fu quindi l’adempimento di un dovere giuridico, quello di portare in salvo le 42 persone soccorse da Sea-Watch 3, a dettare la scelta di Carola Rackete di entrare in acque territoriali italiane e attraccare al porto di Lampedusa il 29 giugno 2019.

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Le motivazioni dell’archiviazione si soffermano anche sull’applicazione del Decreto Sicurezza Bis, sottoscritto dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che presupponeva la violazione, da parte dell’ex comandante di Sea-Watch 3, delle norme nazionali e internazionali. In realtà, si legge nel decreto di archiviazione, “Rackete ha agito nell’adempimento del dovere di salvataggio previsto dal diritto nazionale ed internazionale del mare”.

Il decreto di archiviazione sembra dunque contestare l’applicabilità del Decreto Sicurezza Bis nel salvataggio dei migranti.

Accogliendo le motivazioni espresse dal pubblico ministero nella richiesta di archiviazione, dunque, il giudice ritiene che non esistessero elementi sufficienti a far ritenere che il passaggio di Sea-Watch 3 potesse definirsi “non inoffensivo”, dal momento che la “non inoffensività del passaggio” non può essere desunta “dal solo presupposto che i naufraghi fossero tutti stranieri senza documento”.

Peraltro il giudice sottolinea che Carola Rackete “ha agito nell’adempimento del dovere perché non si poteva considerare luogo sicuro il porto di Tripoli”. Il giudice cita un rapporto dell’Alto commissario per le Nazioni unite che ha sottolineato “che migliaia di richiedenti asilo, rifugiati e migranti in Libia versano in condizione di detenzione arbitraria e sono sottoposti a torture”. Quanto all’averli condotti in Italia, nonostante il divieto, il gip aggiunge: “La condotta risulta scriminata dalla causa di giustificazione”.

 

Le conseguenze

L’impatto delle decisioni dei giudici di Agrigento è analizzabile sotto diversi punti di vista ma risulta in ogni caso devastante per la credibilità e sovranità dell’Italia.  Innanzitutto persegue un evidente obiettivo politico puntando a demolire pubblicamente i Decreti Sicurezza di Salvini, già abrogati dal governo Conte 2 ed unica iniziativa assunta dall’Italia per fermare i flussi migratori clandestini e contrastarne gli artefici, trafficanti e Ong.

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Inoltre la sentenza sembra indicare che chiunque voglia portare in Italia immigrati clandestini è giustificato a speronare mezzi dello Stato e mettere a repentaglio la vita di militari italiani, mortificando così il lavoro e il ruolo di chi veste l’uniforme.

Inoltre la decisione dei giudici contesta il diritto internazionale negando la Libia come porto sicuro nonostante l’area marittima di competenza di Tripoli per la ricerca e soccorso sua riconosciuta a livello internazionale così come il governo libico ad interim mentre a Tripoli sono presenti le agenzie delle Nazioni Unite OIM e UNHCR che si occupano degli immigrati illegali.

Inevitabili le conseguenze di questa decisione giudiziaria che sottolinea il ruolo supino di Roma di fronte all’assalto alle sue coste e si aggiunge a un contesto politico in cui l’attuale governo nulla sta facendo per ostacolare i flussi migratori illegali nonostante le continue richieste in tal senso provenienti dalla maggioranza (Lega) e dall’opposizione di Fratelli d’Italia.

“Invasioni” che orai tutti gli analisti strategici considerano forme di “guerra ibrida” che non sono del resto una novità se consideriamo che ne scrisse già nel 2010, con abbondanza di dettagli storici, Kelly Greenhill nell’opera “Armi di migrazione di massa”.

 

Le valutazioni

Non a caso il leader della Lega ha dichiarato il 24 dicembre “che in periodo di Covid e di super Green Pass ci siano 70mila sbarchi clandestini senza regole e controlli non è rispettoso nei confronti degli italiani che stanno facendo dei sacrifici”.

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Mentre Fratelli d’Italia sottolinea la fallimentare gestione del Viminale da parte del ministro Luciana Lamorgese, il sottosegretario allo stesso ministero Nicola Molteni (Lega) amplia le valutazioni sull’allarme per l’immigrazione senza limiti ricordando che ai clandestini si aggiungono i 70 mila ingressi regolari previsti dal nuovo decreto flussi e che le ridistribuzioni in Europa sono fallite.

In un’intervista su La Verità di ieri, Molteni   ha sottolineato gli aspetti salienti della drammatica situazione migratoria.

«La tragica conta di morti e dispersi in mare è arrivata a quota 1.500, il dato più alto degli ultimi anni. Le Ong sono tornate a farla da padrone

nel Mediterraneo. I tunisini, che sono in testa nella classifica degli sbarchi sulle nostre coste, non scappano da guerre o da persecuzioni. E i rimpatri sono solo 3.500, meno dell’anno scorso e la metà rispetto a quelli del 2019. Un’altra stagione come questa davvero non possiamo permettercela – evidenzia Molteni.  “L’unica soluzione è la difesa delle frontiere esterne. Non possiamo attendere che le istituzioni comunitarie decidano con i loro tempi di affrontare il problema migratorio.

In periodo di Covid chiediamo agli italiani sacrifici e limitazioni e non possiamo consentire che l’immigrazione non gestita si scarichi sui territori provocando tensioni sociali. È un fenomeno che impatta con la percezione della sicurezza e, d’altra parte, su ogni tre detenuti uno è straniero».

@GianandreaGaian

 

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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