Il difficile equilibrio della Germania tra Gazprom, NATO e i tank per l’Ucraina

 

 

Il 6 settembre il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha respinto la richiesta del primo ministro ucraino Denys Shmyhal di invio di armi pesanti aggiuntive a Kiev negando quindi la fornitura di ulteriori semoventi d’artiglieria da 155mm PzH 200 e soprattutto la consegna di carri armati Leopard 2 su cui contava Kiev.

Shmyhal aveva discusso il giorno prima con Scholz la possibile consegna di una nuova gamma di veicoli corazzati, come aveva evidenziato l’agenzia Ucraina Ukrinform.

“Innanzitutto – aveva detto il premier ucraino – dobbiamo aumentare i tipi di armi pesanti che sono già state consegnate o saranno consegnate nel prossimo futuro: i lanciarazzi campali MARS-2, cannoni semoventi Panzerhaubitze 2000, sistemi di difesa aerea (IRIS-T – NdR) e cannoni antiaerei (i Rheinmetall GDF da 35 mm imbarcati sui semoventi Gepard di cui 15 esemplari sono stati consegnati alle forze di Kiev e altri 10 verranno consegnati appena possibile – NdR). Allo stesso tempo, abbiamo anche parlato di possibili consegne di nuovi prodotti, in particolare di carri armati tedeschi”.

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Come ha riferito il giornale tedesco Die Welt, in aprile la società Krauss-Maffei Wegmann (KMW) aveva offerto 100 nuovi tank Leopard 2A7 con un contratto da 1,55 miliardi di euro che includeva ricambi, addestramento e supporto logistico con consegne previste a partire da un anno e mezzo dalla firma.

Circa le forniture di mezzi surplus delle forze armate di Berlino, il 30 agosto il ministro della Difesa Christine Lambrecht, ha ammesso di non vedere molte possibilità di inviare altre armi in Ucraina direttamente dalle riserve dell’Esercito tedesco. “Devo ammettere che (…) stiamo raggiungendo i limiti di ciò che possiamo consegnare da parte della Bundeswehr”, ha detto il ministro.

“Le forze armate tedesche hanno bisogno di mantenere il possesso di tutti i mezzi e armamenti disponibili per garantire la difesa nazionale e dell’alleanza”, ha detto Lambrecht.

Questo non significa che Berlino non intenda più fornire armi a Kiev ma che le esigenze ucraine potranno venire soddisfatte con ordini e contratti assegnati all’industria della Difesa, modalità che comporta però tempi di consegna misurabili in alcuni anni e che evidentemente il governo federale non intende applicare ai carri armati Leopard 2 A7.

La decisione tedesca di non procedere a nuove consegne di mezzi pesanti sembra quindi dipendere almeno in parte dalle resistenze delle forze armate a cedere esemplari dei mezzi in dotazione ai reparti e di cui, nell’attuale situazione di guerra e di tensioni tra Occidente e Russia, potrebbe risultare in futuro necessario disporre.

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Il rifiuto a fornire i Leopard 2A7 di nuova produzione lascia però spazio anche all’ipotesi che Berlino non voglia ulteriormente esacerbare i rapporti già molto tesi con Mosca. Specie dopo le dichiarazioni rilasciate il 4 settembre dal vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev.

“Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz dice che la Russia non è più un fornitore di energia affidabile: in primo luogo, la Germania è un Paese ostile, in secondo luogo ha imposto delle sanzioni all’intera economia russa e fornisce delle armi letali all’Ucraina. In altre parole, una guerra ibrida alla Russia e si comporta come un nemico della Russia” ha dichiarato Medvedev.

Il tema di un possibile allargamento del conflitto all’Europa entra sempre più spesso nel dibattito politico in diverse nazioni e una nuova escalation potrebbe determinarsi dopo che l’offensiva vittoriosa degli ucraini tra Kharkiv e Izyum sembra abbia goduto di un ampio supporto di alcuni stati membri della NATO.

L’8 settembre il viceministro della Difesa polacco, Marcin Ociepa, intervistato dal quotidiano Dziennik Gazeta Prawna ripresa in Italia da Agenzia Nova ha dichiarato che “c’è un serio rischio di guerra con la Russia, con la quale ci misureremo in un periodo che va da 3 a 10 anni e a questo scopo, nel quadro del Fondo per il sostegno delle forze armate, verranno spesi tra i 30 e i 40 miliardi di zloty (tra i 6,3 e gli 8,4 miliardi di euro). “Tutto dipende da come si concluderà la guerra in Ucraina ma reputiamo che la Russia avrà bisogno di questo tempo per ricostruire il suo potenziale militare”.

 

Il peso (e il prezzo) del gas russo

Più delle minacce di Medvedev, potrebbero essere gli acquisti di gas russo a influenzare le decisioni della Germania. Come ha evidenziato il Corriere della Sera in questi mesi di emergenza sui prezzi la Germania sta pagando il gas russo molto meno rispetto al resto d’Europa. Per esempio, in giugno scorso le forniture tedesche da parte di Gazprom avevano un costo unitario pari ad appena poco più di un terzo di quello che sostengono per lo stesso prodotto sia il resto dell’Unione Europea, in media, che l’Italia”.

Un dato che emerge confrontando la banca dati tedesca di Destatis con quella Eurostat. Inoltre, “la forbice fra i prezzi praticati dai russi alla Germania e agli altri Paesi si apre da quando partono gli aumenti delle quotazioni di mercato, poi cresce sempre di più all’impennarsi di queste ultime. In sostanza gli accordi di lungo termine di fornitura di Gazprom alla Germania sembrano diversi, più stabili”. Una disparità di trattamento evidente.

L’articolo del Corriere valuta “più probabile che i contratti tedeschi godano di un trattamento speciale da Mosca nel contesto degli accordi sui gasdotti Nord Stream 1 e 2 e della vendita a Gazprom nel 2015 del maggiore centro di stoccaggio di Germania”.

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Ieri un articolo sul sito de Il Giornale rilevava che “dopo l’invasione dell’Ucraina la Germania non si è ritirata unilateralmente dagli accordi-quadro di fornitura di gas da Mosca né ha visto la Russia fare altrettanto. Certo, la Russia sta usando l’energia come arma, a luglio ha ridotto di due terzi le forniture gasiere via Nord Stream e spesso usa le chiusure della conduttura baltica come arma, ma la Germania non è vittima di un’offensiva di prezzo”.

L’articolo aggiunge anche il peso di un effetto geopolitico e, al contempo, psicologico: la Russia non ha convenienza a vendere a prezzi maggiorati a Berlino, perché proprio il mantenimento di questa quota residua di dipendenza può essere, in inverno, la più grande delle armi di ricatto verso la Germania.

Oggi il ministro dell’Energia russo, Nikolai Shulginov, ha definito “impossibile” vendere gas o petrolio ai paesi che stabiliscono tetti sui prezzi delle materie prime. “Sicuramente, non venderemo rimettendoci o sotto costo”, ha dichiarato Shulginov nel corso di un’intervista televisiva. “Non accetteremo questo tipo di comportamento nei nostri confronti”.  Vladimir Putin il 7 settembre aveva avvertito che la Russia si considererà esentata dall’obbligo di rispettare i contratti nel caso di decisioni politiche in contrasto con gli obblighi della controparte.

In questo contesto si comprende perché Berlino sia poco propensa all’imposizione di un tetto al prezzo del gas così come non sembra avere nessun interesse a consegnare agli ucraini moderne armi pesanti che di certo irriterebbero Mosca accentuando il rischio di rappresaglie russe sulle forniture di gas.

Del resto le entrate della Russia provenienti dalle esportazioni di energia fossile nei primi sei mesi di guerra hanno superato di gran lunga i costi della guerra secondo un rapporto del Centro finlandese per la ricerca sull’energia e l’aria pulita che calcola le esportazioni di petrolio, gas e carbone dal 24 febbraio al 24 agosto e basato su dati di trasporto marittimo e gasdotti.

La Russia sta incassando entrate senza precedenti grazie all’aumento dei prezzi, osservano gli autori dello studio. Durante i primi sei mesi di guerra, si legge, la Russia ha guadagnato 158 miliardi di euro dalle esportazioni di combustibili fossili e “la Ue ne ha importato il 54%, per un valore di circa 85 miliardi di euro.

Le esportazioni di combustibili fossili hanno contribuito con circa 43 miliardi di euro al bilancio federale russo dall’inizio dell’invasione, e hanno quindi concorso, emerge dalle conclusioni, a finanziare la guerra in Ucraina.

 

Le forniture militari europee a Kiev

La questione delle armi pesanti che gli europei possono ancora fornire a Kiev investe del resto non solo la Germania ma ormai tutti i membri della NATO che hanno esaurito il surplus di mezzi in servizio o nei magazzini cedibili senza “disarmare” i propri reparti.

Valutazioni che riguardano anche le nazioni dell’Est Europa che ancora allineavano o mantenevano in riserva carri armati, veicoli da combattimento e artiglierie di tipo russo/sovietico e che sono già stati in gran parte trasferiti in Ucraina.

Il 3 settembre il ministro della Difesa della Lettonia, Artis Pabriks, aveva criticato il governo tedesco per l’insufficiente assistenza militare offerta all’Ucraina. “Rischio di turbare il Scholz o qualcun altro in Germania ma dal punto di vista lettone, condivisa da Ucraina, Polonia e dagli altri Stati Baltici (Lituania ed Estonia, il desiderio è che un Paese come la Germania offra all’Ucraina un sostegno proporzionalmente uguale a quello che stiamo offrendo noi”, ha detto Pabriks al quotidiano britannico The Times. Il ministro lettone, definendo il contributo di Berlino inadeguato, ha detto senza mezzi termini che l’assistenza militare tedesca all’Ucraina dovrebbe essere aumentata di dieci volte fino a 15 miliardi di euro.

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Dichiarazioni rilasciate paradossalmente il giorno precedente all’arrivo dei primi 100 soldati tedeschi, con 40 mezzi, in Lituania come parte degli sforzi della Nato per rafforzare il Fianco Est e nello specifico la sicurezza dei tre paesi Baltici.

Trasferiti via nave attraverso il Mar Baltico, i militari tedeschi costituiscono l’avanguardia di una brigata di combattimento da 3.000 a 5.000 soldati schierati in Lituania incrementando il livello del precedente Battlegroup multinazionale di 1.600 militari, sempre a guida tedesca. Un processo di rafforzamento in fase di attuazione in tutti i paesi NATO di “prima linea” rispetto al conflitto in atto in Ucraina.

Dopo essere arrivato al porto della città di Klaipeda, il contingente ha raggiunto la base militare lituana di Rukla. Anche se la maggior parte delle forze tedesche assegnate alla brigata resterà in stand-by in Germania, il generale di brigata tedesco Christian Nawrat ha parlato di “un chiaro segnale di solidarietà nei confronti della Lituania” mentre il generale di brigata lituano Arturas Radvilas ha affermato che istituendo la brigata, la Germania è stata la prima a compiere “un passo concreto così importante” nella regione baltica. La Lituania confina con l’enclave russa di Kaliningrad nel Mar Baltico e con la Bielorussia, alleata della Russia.

 

“Scambio circolare” e spese militari 

Come ha ricordato l’agenzia di stampa Nova, nel supporto agli alleati della NATO, la Germania continua inoltre a sostenere il cosiddetto “scambio circolare”, cioè le forniture di mezzi pesanti agli alleati dell’Europa Orientale che hanno ceduto i loro mezzi corazzati di concezione russo/sovietica all’Ucraina.

Il 2 settembre Germania e la Repubblica Ceca hanno perfezionato i dettagli tecnici e giuridici della donazione di 15 carri armati Leopard Leopard 2 A4 (nella foto sotto) alle forze armate ceche. In maggio il ministro della Difesa ceco, Jana Cernochova, aveva preannunciato tale fornitura aggiungendo che avrebbero preso il via le trattative per l’acquisto da parte ceca di oltre 50 Leopard 2A7+, la versione più aggiornata del panzer tedesco.

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Per restare in tema di paradossi ieri il settimanale “Die Zeit” ha evidenziato il taglio che subirà nel 2023 il bilancio della Difesa tedesco, che prevede una spesa di 50,3 miliardi di euro contro i 50,4 dell’anno in corso.

Un taglio minimo, anche se in termini reali occorre aggiungervi l’elevato tasso d’inflazione, più che altro simbolica considerato che Berlino ha stanziato nei mesi scorsi un fondo pluriennale aggiuntivo di 100 miliardi di euro, approvato da governo e parlamento, che coprirà buona parte dei nuovi programmi di acquisizione previsti dalle forze armate.

Semmai la reale portata delle spese militari, in Germania come negli altri stati europei, potrà venir valutata in termini reali solo nei prossimi mesi, quando l’attesa crisi energetica si abbatterà sulle economie europee provocando danni gravissimi secondo le previsioni (anche quelle più ottimistiche) che potrebbero richiedere di convogliare verso il welfare molte risorse oggi previste in altri capitoli di spesa, inclusa la Difesa.

Forse anche per questo il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock nel corso dell’intervento al Bundestag nel dibattito sulla Legge di Bilancio 2023 ha invitato l’8 settembre a non contrapporre il supporto all’Ucraina alla situazione in cui la Germania si trova a causa della crisi dell’energia e al sostegno del governo alla cittadinanza in questa emergenza.

@GianandreaGaian

Foto KMW e Governo Tedesco

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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