Crimea, negoziati ed equivoci

 

Politica, media e osservatori internazionali hanno dedicato negli ultimi giorni molte analisi e commenti alla supposta disponibilità a trattare con Mosca sul destino della Crimea espressa dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Una supposta apertura interpretata da alcuni come lo spiraglio per l’avvio di un negoziato mentre in realtà le cose dette da Zelensky e il contesto delle sue affermazioni non sembra siano stati correttamente valutati e si basino su uno scenario avulso dall’attuale situazione.

Il presidente ucraino in una intervista all’emittente 1+1 avrebbe aperto uno spiraglio alla via diplomatica per risolvere la contesa sulla Crimea, occupata da Mosca subito dopo il golpe del Maidan del 2014 e poi ri-annessa alla Federazione Russa con un referendum non riconosciuto da gran parte della comunità internazionale.

“Ci saranno meno vittime se ci troveremo ai confini amministrativi della Crimea. Credo che così sarà possibile spingere politicamente per la smilitarizzazione” della penisola – ha detto Zelensky – Credo che sia possibile arrivare politicamente alla smilitarizzazione della Russia sul territorio della Crimea ucraina”. Zelensky ha poi aggiunto che non si tratta di un cedimento, ma solo del riconoscimento che la via diplomatica “credo sarebbe meglio” di quella delle armi.

Il concetto espresso da Zelensky in realtà non sembra aprire nessuno spiraglio al dialogo con Mosca, almeno in questa fase. Le valutazioni del presidente ucraino preludono infatti a una sconfitta militare russa che porti le truppe di Kiev a raggiungere i confini della penisola di Crimea. Ciò significa che la controffensiva ucraina in atto da tre mesi dovrebbe permettere di riconquistare interamente le regioni di Kherson e Zaporizhia consentendo così di raggiungere i confini della Crimea.

Un simile trionfo militare sulle truppe russe sembra però al momento del tutto immaginario. Zelensky sembra voler dipingere alla propria opinione pubblica e agli alleati in Occidente uno scenario in cui i russi, sconfitti sul campo di battaglia, potrebbero accettare di lasciare la Crimea priva di difesa militari ritirando tutte le truppe dalla penisola abitata da russi e che è stata parte della Russia fino a quando venne ceduta all’Ucraina all’interno dell’Unione Sovietica.

Per rendere più credibile la sua affermazione, Zelensky ha aggiunto che l’Ucraina non attaccherà la Russia sul proprio territorio perché “questo ci inimicherebbe i nostri alleati e qualche partner potrebbe staccarsi”. Un chiaro riferimento alle riserve poste da tutti i paesi membri della NATO a consentire che proprie armi possano venire impiegate dagli ucraini per colpire obiettivi in territorio russo, attaccato però con armi di produzione ucraina anche se in molti casi grazie al supporto informativo anglo-americano.

Sul piano politico l’ipotesi che Mosca possa smilitarizzare la Crimea, sul cui territorio si trovano ampie basi aeree, terrestri, navali, il comando della Flotta del Mar Nero e ampi depositi di armi e munizioni è totalmente fantasiosa così come non è credibile che i russi possano evacuare le truppe dalla Crimea fidandosi del fatto che gli ucraini, schierati alle porte della penisola, non la riconquistino. Lo ammette implicitamente anche il consigliere presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak, che il 30 agosto ha precisato il senso delle parole del presidente.

“Mosca continua a illudersi di avere le risorse per tenersi una parte dei territori occupati, occorre che subisca sconfitte tattiche significative sulla linea del fronte. Solo questo, oltre all’intensificazione dei conflitti nell’entourage di Putin, costringerà i russi ad una valutazione più realistica della situazione. Ne consegue che in questo momento ogni negoziato è fuori questione”.

“Il nostro presidente – ha spiegato Podolyak al Corriere della Sera – ha detto molto esplicitamente che solo l’arrivo delle nostre forze armate ai confini amministrativi della Crimea e la parallela distruzione di ogni arma che permetta alla Russia di controllarla spingerà ciò che resta della Nomenklatura di Putin a scegliere: perdere tutto o lasciare la Crimea in tempi brevi. Noi certamente preferiamo il loro ritiro volontario a battaglie su larga scala. Ma non sono ancora a questo punto, credono tutt’ora che negoziare sia stupido”.

Non sembrano quindi esserci dubbi che lo scenario negoziale favoleggiato da Zelensky sia attualmente improponibile, in assenza di una palese e totale sconfitta militare russa sul campo di battaglia, e cozzi oggi con una realtà oggi diametralmente opposta. Gli ucraini continuano a perdere decine di migliaia di uomini (ospedali sovraccarichi di feriti vengono segnalati in tutte le retrovie del fronte lungo quasi mille chilometri) in assalti che finora non hanno infranto le tre barriere di fortificazioni della Linea Surovikin nella regione di Zaporizhia.

Le truppe di Kiev continuano ad accanirsi e a dissanguarsi attaccando villaggi ormai rasi al suolo lungo la linea degli avamposti che in tre mesi sono stati più volte espugnati e perduti mentre i successi conseguiti negli ultimi giorni sul fronte di Rabotino gettando nella mischia le ultime riserve appaiono al momento marginali e non tali da giustificare i toni trionfalistici della propaganda di Kiev, come di consueto assimilata “senza se senza ma” da molti media occidentali.

Più a nord, nell’eterna battaglia intorno a Bakhmut, nelle ultime ore ucraini e russi alternano attacchi e contrattacchi per il controllo di alcune alture che gli ucraini per molte settimane hanno cercato di conquistare attorno alla città. Ancora più a nord lungo il confine tra e regioni di Lugansk e Kharkiv, i russi avanzano con continuità puntando sul centro stradale e ferroviario di Kupyansk. Benché gli ucraini abbiamo ritirato due brigate dall’offensiva a sud per rinforzare le difese della città strategica i russi continuano ad avanzare.

In questo contesto in cui Kiev sacrifica così tanti soldati è più che comprensibile qualche segno di insofferenza per i malumori e le critiche espressi in Occidente per i mancati successi della controffensiva da chi non sembra disposto a mandare i propri figli a combattere e morire al fianco dei soldati di Kiev nelle trincee di Bakhmut o nella piana di Zaporizhia.

Il 31 agosto, alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue a Toledo, in Spagna Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha infatti sottolineato che “criticare il ritmo lento della controffensiva equivale a sputare in faccia al soldato ucraino che sacrifica la sua vita ogni giorno, avanzando e liberando un chilometro di territorio ucraino dopo l’altro. Vorrei raccomandare a tutti i critici di stare zitti e venire in Ucraina e provare a liberare un centimetro quadrato da soli”.

L’andamento della guerra sembra quindi indicare più le gravi difficoltà ucraine che l’imminente tracollo della Russia, unica opzione che potrebbe forse obbligare Mosca a negoziare il ritiro dalla Crimea. Del resto, intervenendo oggi in video collegamento al Forum Ambrosetti di Cernobbio, Zelensky ha sgombrato il campo da ogni equivoco affermando che “senza la Crimea, senza il Donbass e senza i territori occupati non ci potrà essere una pace sostenibile in Ucraina e quindi neppure nell’area europea”.

Frase che potrebbe suonare anche un po’ minacciosa nei confronti degli alleati europei, quasi a voler dire che se l’Ucraina non vince non ci sarà pace in Europa.

L’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza Dimitri Medvedev ha nei giorni scorsi messo in guardia contro la probabile autorizzazione occidentale all’Ucraina a impiegare armi fornite dai paesi membri della NATO per attaccare obiettivi nella penisola di Crimea, la cui annessione alla Russia non è riconosciuta in Occidente e quindi considerata tecnicamente fuori dal territorio della Federazione Russa e parte dei territori ucraini occupati.

Medvedev, sul suo canale Telegram ha ventilato la possibilità che questo scenario costituisca un casus belli che offra a Mosca “l’opportunità di agire nell’ambito dello jus ad bellum (che specifica le legittime ragioni di uno Stato per intraprendere una guerra) contro i paesi della NATO. E’ triste perché questo avvicina l’Apocalisse” ha concluso Medvedev evocando ancora una volta il rischio di uno scontro nucleare.

Affermazioni a cui Medvedev cvi ha abituato da tempo ma che fanno comprendere che Mosca non è disposta a negoziare la cessione della Crimea e inducono a chiedersi se la Russia sia disposta a negoziare in questa fase della guerra in cui sembra ritenersi in vantaggio.

Alla fine di marzo del 2022 gli anglo-americani imposero a ucraini e alleati la continuazione della guerra che avrebbe dovuto logorare la Russia, compromettendo così il buon esito dell’accordo di pace mediato dalla Turchia e che aveva già determinato il ritiro dei russi dal nord dell’Ucraina e dai dintorni di Kiev.

Oggi che sul piano militare il maggior logoramento lo patiscono gli ucraini e sul piano economico gli europei (mentre il logoramento politico sembra interessare anche gli Stati Uniti alle prese con una durissima campagna elettorale), Mosca potrebbe non avere alcun interesse a negoziare.  Di fronte alla debolezza di Kiev, con un’Europa sull’orlo del tracollo economico e un’America sempre più distratta dai suoi gravi problemi interni, Mosca potrebbe essere tentata di scommettere sulla sconfitta degli ucraini sui campi di battaglia e su un passo indietro dei suoi alleati.

@GianandreaGaian

Immagini: Ministero Difesa Ucraino, ISW, RIA-Novosti e Ministero Difesa Russo

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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