Zelensky fa i conti con l’Occidente stanco della guerra

 

Bilancio non proprio esaltante per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo viaggio oltreoceano. La Casa Bianca ha confermato l’afflusso di nuovi aiuti militari (presto anche i missili balistici tattici ATACMS) ma, in ormai piena campagna elettorale per le elezioni presidenziali del novembre 2024, i repubblicani non intendono approvare nuovi finanziamenti per Kiev (in agenda vi sono 24 miliardi di dollari) prima che l’amministrazione Biden indichi con precisione gli obiettivi degli Statio Uniti in questa guerra.

A conferma del mutato atteggiamento riscontrato dalla causa ucraina a Washington, a Zelensky è stato negato un intervento al Congresso. “Se non riceviamo gli aiuti perderemo la guerra” ha detto Zelensky ai circa 70 senatori incontrati assieme al leader della maggioranza democratica, Chuck Schumer, e quello della minoranza repubblicana, Mitch McConnell, in risposta alla lettera che 23 deputati e 6 senatori repubblicani hanno scritto a Biden criticando la strategia della Casa Bianca sulla guerra perché “poco chiara” e lamentando l’impegno a tempo indeterminato verso Kiev.

“Il popolo americano merita di sapere dove sono andati i loro soldi. Come sta andando la controffensiva? Gli ucraini sono più vicini alla vittoria di quanto lo fossero 6 mesi fa? Quale è la nostra strategia e quale è l’exit plan del presidente? Che cosa l’amministrazione definisce come vittoria”, si legge nella lettera firmata, tra gli altri, dai senatori J.D. Vance, Tommy Tuberville e Rand Paul. Secondo i firmatari sarebbe “un’assurda rinuncia alla responsabilità del Congresso”, continuare ad accogliere le richieste di aiuto a Kiev della Casa Bianca senza porre queste domande: “per queste ragioni, e certamente fino a quando non riceveremo risposta a queste ed altre domande, ci opponiamo a altre spese per la guerra in Ucraina.”

Il nuovo pacchetto di aiuti militari da 325 milioni (altri 650 milioni in tre anni li ha promessi il Canada che intende fornire 50 veicoli blindati) e la promessa di inviare presto a Kiev anche un piccolo numero di missili balistici tattici ATACMS (secondo alcune fonti 30 missili con testata cluster) compensa solo parzialmente il sempre più evidente raffreddamento dei rapporti tra l’Ucraina e i suoi alleati anche se Biden ha dichiarato che “insieme con i nostri partner e alleati, gli americani sono determinati a fare il possibile per assicurare che il mondo stia con voi”.

Di parere opposto sembra essere uno dei più importanti candidati repubblicani alla Casa Bianca, il governatore della Florida Ron DeSantis, che ieri si è detto contrario all’adesione dell’Ucraina alla NATO, affermando di non ritenere che sia nell’interesse della sicurezza americana. “Non credo che l’adesione alla NATO sia nel nostro interesse”, ha affermato DeSantis nel podcast del Glenn Beck Program. “Tutto ciò che farebbe sarebbe aggiungere altri obblighi a noi, quindi se si aggiungono altri obblighi, quali sono i benefici che otteniamo in cambio?”.

Anche l’intervento di Zelensky all’Assemblea Generale dell’ONU non ha sortito l’effetto auspicato di favorire l’isolamento di Mosca né di avvicinare l’ipotesui di un negoziato poiché si è limitato semplicemente a ribadire che la guerra cesserà quando i russi si ritireranno da tutti i territori ucraini, Crimea inclusa.

Anzi, proprio le parole del presidente ucraino all’ONU hanno stimolato nuove dure reazioni in Europa. Berlino ha seccamente respinto la proposta di riforma delle Nazioni Unite avanzate da Zelensky che prevede di togliere alla Russia il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza. Il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock in un talk show del primo canale pubblico ARD ha detto di comprendere il popolo ucraino, ma anche che “non è il caso di appoggiare tutto ciò che esce dal governo dell’Ucraina”.

Ma nel clima di progressiva e reciproca sfiducia tra Ucraina ed Occidente emerso a partire dal vertice NATO di Vilnius del luglio scorso, l’ultimo atto, eclatante e potenzialmente dirompente, lo ha compiuto la Polonia. La nazione europea forse più ostile alla Russia ha posto il blocco all’importazione di grano ucraino come hanno fatto anche Ungheria e Slovacchia (con quest’ultima vi sono trattative per raggiungere un compromesso) provocando la dura reazione di Volodymyr Zelensky che in un intervento all’Assemblea Generale dell’Onu ha accusato alcune nazioni dell’Ue che “si limitano a proporre solidarietà, sostenendo indirettamente la Russia”.

Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki (nella foto sotto col presidente polacco Andrzej Duda) , ha ricordato il 20 settembre che il suo Paese è stato “il primo ad aprire le porte all’Ucraina” fornendo aiuti umanitari e militari. “Voglio avvertire le autorità ucraine che se il conflitto andrà avanti, aggiungeremo altri prodotti al divieto di importazione”, ha detto, citato dall’agenzia di stampa Pap. Morawiecki ha aggiunto di essere disposto ad aiutare l’Ucraina, ma “non al prezzo di destabilizzare il mercato polacco”.

La crisi nei rapporti bilaterali è precipitata in poche ore. Il premier Morawiecki ha annunciato inoltre che “non trasferiremo più’ armi all’Ucraina perché noi stessi ora ci stiamo armando con le armi più’ moderne. Se non vuoi difenderti, devi avere qualcosa con cui difenderti”, ha spiegato il premier polacco.

Varsavia ha fornito gran parte dei suoi arsenali di armi, aerei, elicotteri e munizioni di origine sovietica all’Ucraina aggiungendovi anche armi moderne come i semoventi d’artiglieria Krab e assicurando la manutenzione di veicoli militari di costruzione tedesca (come i carri Leopard 2 e i semoventi d’artiglieria Pzh-2000) sul suo territorio. Un’iniziativa precisata meglio ieri dal portavoce del governo polacco, Piotr Muller.  “La Polonia sta dando seguito solo alle forniture di munizioni e armamenti precedentemente concordate, comprese quelle derivanti da contratti firmati con l’Ucraina”.

La clamorosa svolta di Varsavia potrebbe forse avere un impatto anche sulle forniture a Kiev provenienti da altre nazioni considerato che tutti gli aiuti militari confluiscono nella base aerea polacca di Reszow prima di passare il confine ucraino. La crescente aggressività verbale del governo ucraino rischia del resto di esacerbare i rapporti tra Kiev e molti suoi alleati. La Polonia non ha mai nascosto l’interesse a esercitare un’influenza diretta sulla regione occidentale ucraina di Leopoli, che un tempo apparteneva a Varsavia e l’alleanza tra il governo nazionalista polacco e quello “banderista” ucraino è sempre apparso più che altro strumentale all’interesse comune di contrastare la Russia.

Un’alleanza che a Varsavia risulta inevitabilmente indigesta, tenuto conto che l’Ucraina celebra come padre della patria Stepan Bandera, alleato del Terzo Reich che si macchiò dello sterminio di decine di migliaia di ebrei e polacchi. A mettere forse la pietra tombale sui rapporti tra Polonia e Ucraina ha provveduto il presidente polacco Andrzej Duda che il 20 settembre ha annullato l’incontro con Zelensky all’ONU definendo l’Ucraina un uomo che sta annegando.

“Chiunque abbia mai partecipato al salvataggio di un uomo che annega sa che è incredibilmente pericoloso, che può trascinarti negli abissi. È un po’ come la situazione tra Polonia e Ucraina. Dobbiamo agire in modo tale da proteggerci dal rischio di subire danni da un uomo che sta annegando. Dobbiamo tutelare i nostri interessi e lo faremo in modo efficace e deciso”, ha affermato.

Duda ha poi cercato di correggere il tiro sulle forniture di armi a Kiev affermando che il premier Morawiecki era stato frainteso ma anche altre nazioni della regione mitteleuropea potrebbero mutare presto atteggiamento nei confronti di Kiev. A Praga nei giorni scorsi ampie manifestazioni hanno criticato il sostegno militare a Kiev e le conseguenze drammatiche sull’economia e i rifornimenti energetici determinati dalle sanzioni a Mosca. In Slovacchia il leader socialdemocratico Robert Fico sembra favorito nelle elezioni del 30 settembre e potrebbe tornare per la terza volta alla guida del governo di Bratislava con un programma che prevede di fermare le forniture di armi all’Ucraina e le sanzioni alla Russia chiedendo a USA e UE di premere su Kiev per un accordo che concluda il conflitto dichiarandosi contrario all’accesso dell’Ucraina nella NATO.

La stessa posizione mantenuta finora dall’Ungheria di Viktor Orban che continua ad acquistare energia (incluse centrali nucleari) dalla Russia. La crescente diffidenza nei confronti del governo ucraino è destinata probabilmente a rafforzarsi in Occidente ed era già apparsa evidente dopo le recenti dichiarazioni del consigliere presidenziale Mihailo Podolyak. (nella foto sotto).

Il consigliere ha prima definito il documento finale del G20 un testo che “accontenta i mostri, flirta con i maniaci e incoraggia la Russia” mentre nei giorni precedenti aveva accusato le Nazioni Unite di essere filorusse poiché negoziano con i russi un nuovo accordo sul grano che tenga conto anche celle condizioni poste da Mosca. Indimenticabile poi il commento sulla mediazione del Vaticano: «Non ha senso parlare di un mediatore chiamato Papa se lui assume una posizione filo-russa abbastanza ovvia a tutti», ha affermato Podolyak all’emittente Ucraina 24.

Il presidente Zelensky, evidentemente innervosito dal pessimo andamento della guerra e dai rischi di uno smarcamento dell’Occidente, è arrivato a minacciare gli alleati occidentali, in modo neppure velato, in un’intervista rilasciata all’Economist incentrata sul rischio di un minore aiuto militare dall’Europa, determinato da elezioni, equilibri politici interni e insuccesso militare di Kiev.

Scrive The Econoimist: Zelenskyj, ex attore televisivo con un acuto senso del suo pubblico, ha notato un cambiamento di umore in alcuni dei suoi partner. “Ho questa intuizione, leggere, sentire e vedere i loro occhi [quando dicono] ‘saremo sempre con voi’. Ma vedo che lui o lei non sono qui, non con noi”.

Se gli aiuti occidentali venissero meno Zelensky prevede che l’opinione pubblica in Occidente criticherà duramente i propri governi.  “Le persone non perdoneranno [i loro leader] se perderanno l’Ucraina”.

In coda all’intervista il presidente ucraino ha paventato addirittura che i governi europei debbano fare i conti con i rifugiati ucraini. Ridurre gli aiuti all’Ucraina non farà altro che prolungare la guerra, sostiene Zelenskyj. E creerebbe rischi per l’Occidente nel proprio cortile. Non c’è modo di prevedere come reagirebbero i milioni di rifugiati ucraini nei paesi europei all’abbandono del loro paese. Gli ucraini in generale si sono “comportati bene” e sono “molto grati” a coloro che li hanno accolti. Non dimenticheranno quella generosità. Ma non sarebbe una “bella storia” per l’Europa se dovesse “mettere queste persone in un angolo” – si legge nell’intervista.

Minacce e sintomi di nervosismo nei leader ucraini determinati dalle altissime perdite in battaglie, corruzione dilagante e disastro economico e sociale. Basti osservare come Zelensky sia stato costretto a fare piazza pulita nel ministero della Difesa rimuovendo prima i capi di tutti i centri di arruolamento regionale (che vendevano le esenzioni dal richiamo alle armi) poi il ministro Oleksij Reznikov (che avrebbe accumulato una fortuna in Gran Bretagna) e infine tutti i 6 viceministri: Vitaly Deinega, Andriy Shevchenko, Denis Sharapov, Rostyslav Zamlynsky, Volodymyr Gavrylov e la più nota Hanna Maljar, protagonista di innumerevoli gaffes commentando le operazioni militari.

Persino le Forze Territoriali hanno deciso di licenziare il portavoce in lingua inglese, il sergente Sarah Ashton-Cirillo, transgender statunitense, personaggio grottesco e quasi involontariamente comico, spesso protagonista di proclami truci inneggianti recentemente anche all’eliminazione dei reporter di guerra russi.

A Kiev sono preoccupati anche dalla consapevolezza che tutti in Occidente stanno cercando una via d’uscita dal conflitto, come confermano anche i serrati due giorni di colloqui a Malta tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan lo scorso fine settimana. Certo si è parlato anche di economia e crisi di Taiwan, preparando il summit di novembre tra Joe Biden e Xi Jinping ma anche la guerra in Ucraina è stata al centro dei colloqui definiti da entrambe le parti “schietti, sostanziali e costruttivi”.

Non è forse un caso che da tempo i media statunitensi non risparmino critiche al governo ucraino al punto che a Kiev anche il New York Times è stato definito “agente del Cremlino” dopo aver reso noto che la strage di 16 persone uccise in un mercato affollato di Kostiantynivka, nella regione del Donetsk, è stata provocata da un missile antiaereo ucraino caduto sul centro abitato. Il New York Times ha poi accusato le autorità ucraine di aver impedito ai giornalisti di “accedere ai detriti del missile e all’area dell’impatto nelle fasi immediatamente successive all’attacco” anche se i reporter sarebbero comunque riusciti a raccogliere in un secondo momento i resti del missile la cui esplosione suscitò la condanna di tutto l’Occidente e avvenuta (forse non casualmente) mentre a Kiev era in visita il segretario di Stato americano Antony Blinken.

“L’Ufficio del Presidente è molto arrabbiato con i giornalisti occidentali ed è pronto a inasprire le regole per i media stranieri in Ucraina”, riporta l’emittente ucraina TV Resident senza ricordare che ormai le leggi ucraine sulla stampa sono tra le più rigide al mondo e, dopo aver imbavagliato i media nazionali, puntano da tempo a legare le mani anche quelli internazionali.

Le autorità ucraine ritengono che le pubblicazioni occidentali stiano “elaborando narrazioni del Cremlino” screditando sia la controffensiva in atto sia il governo ucraino. Qualcosa sta evidentemente cambiando nella narrazione mediatica, almeno nel mondo anglo-sassone. Se un anno or sono Amnesty International venne pesantemente censurata per aver accusato le truppe ucraine di farsi scudo dei civili in Donbass, oggi i media statunitensi (meno quelli europei o italiani) non lesinano analisi critiche nei confronti di Kiev.

Negli Stati Uniti un rapporto del Pentagono ha reso nota il 16 settembre la scomparsa di armi e munizioni inviate in Ucraina. Rischio non nuovo già evidenziato da rapporti di polizie europee e Interpol e da alcuni media d’oltreoceano e che su queste pagine evidenziammo già nel marzo 2022.

Il cambio di rotta nei confronti del regime di Kiev resta per ora sotto traccia in Europa Occidentale che finora ha brillato per la completa assenza di iniziative politiche o diplomatiche tese a risolvere il conflitto. Se n’è accorto anche Romano Prodi: “Nella guerra in Ucraina non c’è stata una mediazione europea, non c’è un momento di autonomia europea. L’idea che l’Europa non abbia una forza mediatrice, che si lascia quel poco di mediazione alla Turchia, è una umiliazione impressionante” ha detto Prodi. Che sia anche lui “putiniano”?

@GianandreaGaian

Foto: Presidenza Ucraina, Governo Ucraino e Governo Polacco

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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