Hamas minaccia anche l’Italia

 

“L’Italia è parte nell’aggressione contro il nostro popolo, dal momento che purtroppo ha scelto la destra, la parte destra della storia. E’ un errore gravissimo che trasforma l’Italia in una delle parti nell’aggressione contro il nostro popolo. Israele non agisce da solo ma per conto di Germania, Gran Bretagna, Usa, Francia, purtroppo anche dell’Italia che ha inviato alcune truppe nel Mediterraneo.

Possiamo soltanto dire che la comunità internazionale ha la stessa responsabilità di Israele in tutte le stragi commesse contro il nostro popolo”.

Le affermazioni Basem Naim, capo delle relazioni internazionali di Hamas intervistato da Agorà (RaiTre) il 31 ottobre non hanno probabilmente ottenuto l’attenzione che avrebbero invece meritato in termini di sicurezza nazionale. Certo la notizia ha avuto un rilievo mediatico temporaneo e all’esponente di Hamas ha risposto lo stesso giorno il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

“Noi aggressori dei Palestinesi? E’ falso. Noi stiamo aiutando il popolo palestinese visto il materiale che sta arrivando e stiamo insistendo con Israele perché sia risparmiato il popolo palestinese. Noi siamo contro Hamas che é un’organizzazione terroristica e criminale”, ha replicato Tajani in un punto stampa al termine della prima riunione del Comitato di cooperazione frontaliera italo-francese che si è svolta a Torino. “Hamas ha preso casa per casa neonati, anziani e giovani compiendo azioni inenarrabili. Noi siamo con il popolo palestinese ma diciamo anche che Israele ha diritto ad esistere. Non diremo mai che siamo amici di Hamas”, ha concluso il titolare della Farnesina.

In termini politici e mediatici si può evidenziare il fatto che l’esponente di “un’organizzazione terroristica e criminale” venga intervistato con ampio risalto dalla TV pubblica che nel recente passato ha censurato, anche per “decreto della Ue” i media russi e prima ancora i video dello Stato Islamico per non offrire spazi alla loro propaganda.

Se è impossibile non riconoscere ad Hamas dignità di movimento politico, assicurata anche dai suoi sponsor e dalle tante nazioni arabe e islamiche schieratesi al suo fianco (per non parlare delle tante nel mondo schieratesi contro Israele) in questa guerra, è innegabile che le dichiarazioni di Naim costituiscono una minaccia neppure tanto velata all’Italia e all’Occidente.

Più che costituire oggetto di dibattito sulla postura di Roma nel conflitto nella Striscia di Gaza, che sta determinando l’ormai consueta quanto deprecabile polarizzazione tra i “tifosi delle due squadre” ignorando gli interessi nazionali in gioco, le accuse di Naim vanno collocate in una precisa strategia di comunicazione tesa ad allargare le responsabilità della risposta israeliana agli attacchi del 7 ottobre all’intero Occidente, presentato come complice e persino mandante dello Stato ebraico.

Una strategia comunicativa che accomuna i leader di Hamas, movimento sunnita legato ideologicamente alla Fratellanza Musulmana, con quelli del movimento scita libanese Hezbollah ma che soprattutto individua “ebrei e crociati” come nemico da combattere, elemento già presente e fondante nella costituzione di al-Qaeda.

Il 3 novembre Hassan Nasrallah, leader del Partito di Dio, ha detto che gli Stati Uniti sono “pienamente responsabili della guerra nella Striscia di Gaza e Israele è solo uno strumento per condurla”.

In un simile contesto di forti tensioni e contestazioni politico-sociali determinate dal conflitto israelo-palestinese l’abbinamento nelle responsabilità per conflitto e vittime civili di Israele e Occidente (Stati Uniti e alleati europei) rappresenta una diretta minaccia alla nostra sicurezza poiché potrebbe legittimare azioni di tipo economico/energetico o terroristico.

Quando Naim afferma che ”Israele non agisce da solo ma per conto di Germania, Gran Bretagna, Usa, Francia, purtroppo anche dell’Italia” legittima indirettamente attacchi e rappresaglie nei confronti delle nazioni europee che ha citato tra coloro che “hanno  la stessa responsabilità di Israele in tutte le stragi commesse contro il popolo palestinese”.

Appare evidente che mettere sullo stesso piano nella lista dei nemici del popolo palestinese Israele, Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti significa incoraggiare e legittimare ogni azione, dal boicottaggio energetico, già accennato da qualcuno in Nord Africa e Medio Oriente, ad azioni terroristiche più meno organizzate o “spontanee” da parte dei tanti estremisti, jihadisti e potenziali attentatori presenti in Europa e America.

Del resto in diverse città occidentali (persino a Sidney in Australia) in molti erano scesi in piazza per celebrare l’attacco di Hamas Israele il 7 ottobre e poi il venerdì successivo per il “Jihad Day” indetto da Hamas e poi per protestare contro la dura risposta di Israele nell’attacco alla Striscia di Gaza.

Con il risultato che in diverse nazioni europee le manifestazioni si sono tenute anche se non autorizzate, viene “scoraggiata” l’esibizione di bandiere palestinesi mentre associazioni che hanno sostenuto l’iniziativa di Hamas sono state poste fuori legge. Come la tedesca Samidoun che aveva festeggiato in strada a Berlino l’attacco contro Israele con militanti che distribuivano dolci arabi ai passanti «per celebrare la vittoria della resistenza», come aveva scritto su Instagram la stessa organizzazione.

Del resto Israele e l’Occidente hanno contribuito a ingigantire il “mito” di Hamas, paragonato allo Stato Islamico così come quanto accaduto il 7 ottobre è stato abbinato ai fatti dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Paralleli forzati con ISIS e al-Qaeda determinati dal vecchio vizio autoreferenziale dell’Occidente di non tenere conto delle percezioni presso società e opinioni pubbliche diverse dalle nostre.

Enfatizzando colpe e i crimini del movimento palestinese per i fatti del 7 ottobre non ci si è forse resi conto che ciò che in Occidente definiamo nefandezze e atrocità presso ampie fasce dell’opinione pubblica araba e islamica sono gesta eroiche e gloriose da celebrare e soprattutto emulare. Per rendersene conto sarebbe sufficiente aver consapevolezza dei sentimenti delle masse islamiche che abbiamo accolto in Europa e che in gran misura mostrarono comprensione o apprezzamento per le gesta degli uomini di Osama bin Laden e Abu Bakr al-Baghdadi.

Abbiamo forse già dimenticato le tante e diversificate manifestazioni di giubilo per la distruzione delle Torri Gemelle a New York o per i tanti atti di terrorismo in un’Europa che fin dagli anni ’90 ha a che fare col l’eversione islamica organizzata e strutturata?

Presso molti ambienti islamici il parallelo con organizzazioni jihadiste quali Islamic State e al-Qaeda galvanizza e ingigantisce il ruolo e le gesta di Hamas, attribuendogli un peso specifico non più localizzato nella causa palestinese anti-sionista ma inserito in un più ampio disegno del “Jihad globale”.

Un contesto perfetto per creare terreno fertile per una nuova ondata terroristica in Europa in cui Hamas potrebbe rappresentare il nuovo “brand” del jihad (dopo il GIA algerino negli anni ’90, al Qaeda e ISIS nei due decenni successivi) e la causa palestinese il pretesto perfetto per catalizzare un consenso diffuso.

@GianandreaGaian

Foto IDF

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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