Una forza navale occidentale nel Mar Rosso per contrastare gli attacchi Houthi ai mercantili

 

Finora il rischio che la “guerra di Gaza” potesse scatenare un conflitto più ampio in grado di infiammare il Medio Oriente è stato scongiurato ma quanto sta accadendo nell’area dello Stretto di Bab el Mandeb e nel Mar Rosso potrebbe costituire una miccia altrettanto pericolosa

Le milizie scite yemenite Houthi dello Yemen, sostenuti dall’Iran e che dispongono di forze militari ben strutturate, hanno minacciato il 16 dicembre di continuare ad attaccare le navi mercantili in transito nello stretto ritenute in qualche modo collegate a Israele a sostegno della causa palestinese e finché non cesseranno le operazioni israeliane nella Striscia di Gaza.

Gli Houthi “non abbandoneranno la causa palestinese a prescindere da qualsiasi minaccia americana, israeliana o occidentale”, ha detto Ali al-Qahoum, dell’ufficio politico degli Houthi, alla tv al-Mayadeen. Al-Qahoum ha minacciato “conseguenze disastrose” in caso di “azioni ostili contro lo Yemen” e ha sostenuto che esista un “impegno” degli Houthi a tutela “della navigazione marittima internazionale nel rispetto del diritto internazionale”.

Nelle ultime due settimane due cacciatorpediniere statunitensi (USS Carney e USS Manson), una fregata francese (la FEMM Languedoc) e un cacciatorpediniere della Royal Navy britannica (HMS Diamond) – le cui foto che illustrano questo articolo – hanno intercettato con propri missili droni diretti a colpire navi mercantili in transito mentre gli Houthi hanno già cercato di colpire senza successo il porto israeliano di Eilat impiegando missili balistici e da crociera di concezione iraniana ma probabilmente assemblati nello Yemen.

Israele ha fatto sapere che in assenza di iniziative militari occidentali contro le milizie Houthi saranno le Forze di Difesa Israeliana (IDF) a occuparsene. Il presidente Houthi, Mehdi al Mashat, ha dichiarato il 5 dicembre che il movimento continuerà a prendere di mira Israele finché non verrà posto fine agli scontri nella Striscia di Gaza e in precedenza Mashart aveva detto che le pressioni degli Stati Uniti non avrebbero cambiato le sue politiche nei confronti del conflitto Hamas-Israele.

Il governo yemenita degli Houthi ha rivendicato il 15 dicembre l’attacco contro le navi cargo MSC Alanya e MSC Palatium dirette in Israele nei pressi dello Stretto di Bab al Mandeb. Lo stesso giorno la compagnia di navigazione danese Maersk ha sospeso la navigazione nel Mar Rosso dopo che era stata attaccata anche la portacontainer Maersk Gibilterra.

Qualche ora prima un funzionario del Pentagono aveva riferito che un’altra nave cargo, la Al Jasrah battente bandiera della Liberia e gestita dal trasportatore tedesco Hapag-Lloyd, era stata colpita da un proiettile lanciato dai ribelli yemeniti nel Mar Rosso e aveva preso fuoco; Hapag-Lloyd aveva riferito che nessun membro dell’equipaggio era rimasto ferito. Nel caso del primo attacco non è chiaro se fosse stato coinvolto un drone o un missile. Anche la MSC Palatium III ha preso fuoco dopo l’attacco.

Nelle ultime ore l’UKMTO, l’agenzia britannica per la sicurezza marittima, ha segnalato in uno dei suoi report “un incidente” nei pressi del porto yemenita di Mokha. “Le autorità stanno indagando – si legge nel bollettino – Le navi sono invitate a transitare con cautela e riferire ogni attività sospetta”.

Del resto l’impatto economico degli attacchi al traffico marittimo non ha tardato a manifestarsi: oggi anche la compagnia di logistica Orient Overseas Container Line (Oocl), con sede a Hong Kong, ha annunciato che fermerà il transito delle proprie portacontainer attraverso il Mar Rosso dopo che almeno 5 tra le principali compagnie di navigazione hanno annunciato lo stop al transito che costringe le navi a circumnavigare l’Africa con costi e tempi dilatati.

Il Presidente dell’Autorità del Canale di Suez, il tenente generale egiziano Osama Rabie, ha rivelato che 55 navi sono state dirottate attorno al Capo di Buona Speranza, viaggio di due settimane più lungo di quello attraverso lo stretto di Bab al-Mandab e il canale di Suez.

Conseguenze anche sui mercati energetici con rialzi nelle ultime ore delle quotazioni del greggio compresi tra lo 0,20 e lo 0,75 per cento oltre i 77 dollari al barile per il Brent.

Il 14 dicembre gli Stati Uniti hanno ammonito gli Houthi sottolineando la necessità di fermare i loro attacchi alle navi nel Mar Rosso e contro Israele, attacchi definiti “inaccettabili” e dal 16 dicembre hanno cominciato a diffondersi voci di un possibile blitz militare statunitense contro gli Houthi in territorio yemenita teso a distruggere le postazioni di lancio di missili e droni.

Fonti dell’Amministrazione USA citate dal sito d’intelligence statunitense Semafor hanno riferito che il Pentagono sta valutando se colpire direttamente obiettivi militari del gruppo Houthi il cui obiettivo è colpire il commercio marittimo globale, indebolire il commercio con Israele e aumentare i costi del sostegno a Israele per Stati Uniti e alleati.

“Tutte le opzioni sono sul tavolo” ha riferito il 17 dicembre un funzionario del dipartimento di Stato americano, citato dal quotidiano “The National”, sottolineando come “questi attacchi stiano coinvolgendo direttamente una decina di Paesi ed equipaggi e navi di tutto il mondo”. Fonti del Pentagono hanno confermato il dispiegamento del Gruppo navale guidato dalla portaerei Dwight D. Eisenhower, spostata dal Golfo Persico al Golfo di Aden, davanti alle coste yemenite-

Washington punterebbe a costituire una forza navale multinazionale composta da marine NATO e arabe (anche quella italiana secondo indiscrezioni di stampa non smentite) per scortare i mercantili e difenderli da droni e missili lanciati dallo Yemen. Una forza la cui presenza potrebbe non risultare gradita alle nazioni che si affacciano sul Mar Rosso e anche per questo gli Stati Uniti punterebbero a coinvolgere anche la Marina Egiziana che già aveva partecipato negli anni scorsi alle operazioni della coalizione araba contro gli Houthi nel conflitto yemenita.

Secondo le anticipazioni del quotidiano The Guardian e del sito War Zone, gli Stati Uniti intendono varare una forza di protezione marittima che coinvolgerà anche gli stati arabi. L’iniziativa, denominata Operazione Prosperity, dovrebbe essere annunciata dal Segretario alla Difesa, Lloyd Austin, in visita questa settimana in Medio Oriente. Proprio come la Task Force 153 già operante nel Golfo Persico con base presso il quartier generale della 5° Flotta della US Navy a Manama (Bahrein), la nuova forza di protezione multinazionale sarà più ampia, progettata per fornire rassicurazione alle compagnie di navigazione commerciale che gli attacchi Houthi saranno respinti.

Alcuni funzionari ritengono sia certo il coinvolgimento nell’Operazione Prosperity di Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Oman, Egitto e Bahrein. Il Consigliere per la Sicurezza nazionale della casa Bianca, Jake Sullivan, ha incontrato il 15 dicembre il suo omologo emiratino per discutere l’adesione della nazione araba alla flotta multinazionale che avrebbe già avuto il pieno appoggio da Gran Bretagna e Francia, che già schierano navi nell’area, come pure dall’Italia – secondo quanto riferisce Il Sole 24 Ore.

Roma avrebbe dato il via libera riservandosi di definire in seguito il coinvolgimento della nostra Marina che potrebbe inviare una fregata del tipo FREMM, unità recentemente distintesi in esercitazioni proprio nell’intercettazione di missili balistici e da crociera con i missili da difesa aerea MBDA Aster impiegati nei giorni scorsi anche dal cacciatorpediniere britannico Diamond contro i droni Houthi.

Al di là dei temi legati alla sicurezza marittima resta da comprendere, in termini strategici e geopolitici, quale peso reale abbia oggi l’influenza dell’Iran sugli Houthi, aspetto rilevante per valutare se un futuro accordo sulla Striscia di Gaza che risultasse accettabile anche per l’Iran possa far cessare o meno gli attacchi ai mercantili.

Inoltre è evidente che una flotta internazionale posta a protezione del traffico mercantile avrebbe un impatto tutto sommato limitato e certo non paragonabile a quello di un attacco statunitense in territorio yemenita che inevitabilmente riaccenderebbe le tensioni tra Teheran e Washington con possibili riflessi anche sulla sicurezza del Golfo Persico e dello Stretto di Hormuz. Conseguenze oggi non accettabili dalle monarchie sunnite del Golfo.

Infine, nell’aderire all’Operazione Prosperity va valutato che un attacco statunitense alle forze Houthi nello Yemen potrebbe coinvolgere direttamente l’Iran nel conflitto e determinerebbe inevitabilmente il rischio di rappresaglie contro le unità navali che compongono la flotta multinazionale.

Foto: Marine Nationale, Royal Navy e US Navy

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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