La crisi del Mar Rosso e la protezione degli interessi italiani

 

La situazione di crisi del Mar Rosso, indotta dai sequestri e dagli attacchi ai mercantili in transito da parte della milizia yemenita filo iraniana degli Houthi, va sempre più aggravandosi. Quelli che all’inizio erano lanci diretti contro obiettivi israeliani o sauditi, ora hanno ad oggetto tutto il traffico marittimo nell’area meridionale del Mar Rosso, compreso quello riconducibile ad interessi italiani come accaduto al mercantile “Palatium III” della Ignazio Messina ed alla “MSC Alanya”  Il nostro Paese, con 2000 transiti  di mercantili di bandiera o gestiti da operatori marittimi italiani, è tra i primi ad utilizzare la via d’acqua che congiunge, attraverso il Canale di Suez e lo Stretto di Bab el Mandeb, il Mediterraneo con il Corno d’Africa, il Golfo di Aden ed i quadranti del Golfo Persico e dell’Oceano Indiano. Esso è dunque parte di quel Mediterraneo Allargato che costituisce a tutti gli effetti la principale area geopolitica di interesse italiano. Naturale quindi che l’Italia guardi con preoccupazione alla crisi in atto e pensi di inviare in area una propria Unità navale nell’ambito di un costituendo dispositivo multinazionale di una coalition of willings a guida statunitense.

 

Mar Rosso, international waterways

Il Mar Rosso è, dal punto di vista delle comunicazioni marittime, una international waterways che è fondamentale per il commercio mondiale il cui 10% vi transita  E’ interamente coperto dalle ZEE di Egitto, Arabia Saudita, Sudan, Eritrea, Gibuti, Yemen. Ne fanno parte i golfi di Suez e di Aqaba (su cui si affacciano, oltre all’Egitto ed all’Arabia, Giordania ed Israele; l’accesso a quest’ultimo è attraverso lo stretto di Tiran), la sua lunghezza,  di circa 1.000 miglia; la larghezza, nella parte di massima ampiezza prospiciente l’Eritrea, è di 190 miglia.

L’area settentrionale del Mar Rosso (Fonte RM)

 

Nonostante il Mar Rosso ri­vesta tale indubbia funzione internazionale, è emerso in anni recenti l’orientamento dei Paesi rivieraschi a gestire in via diretta ed esclusiva la sicurezza del bacino. La prova si è avuta quando nel 2009, con la Riyadh Declaration, tutti i paesi rivieraschi, con l’esclusione della sola Israele, pianificarono di costituire una Forza marittima regionale per il contrasto alla pirateria.

Eguale contrarietà fu manifestata dagli stessi Paesi nel 2012 quando la parte prossima allo Stretto di Bab el Mandeb – ove da sempre sono attivi traffici illeciti, anche di armi, tra Yemen ed Eritrea- fu inserita nell’area a rischio pirateria (HRA) del Corno d’Africa. Proprio per non irritare i Paesi della regione, si dice che della Coalizione a guida statunitense potrebbe far parte l’Egitto. L’Iran -com’è noto alleata degli Houthi – ha invece prefigurato, per la costituenda Forza navale, l’insorgere di “extraordinary problems”.

Mar Rosso ed aree adiacenti (Fonte EIA)

 

Choke point   Stretto Bab el Mandeb

Lo Stretto di Bab el Mandeb, avente un’ampiezza massima di 18 miglia. nella parte centrale, che è coperta integralmente dalle acque territoriali di Yemen e Gibuti, è qualificabile, dal punto di vista giuridico, in relazione alla sua importanza per la navigazione, come uno stretto internazionale. Sulla base dell’art. 37 della Convenzione del Diritto del mare del 1982, in esso vige quindi il regime del «passaggio in transito» (libertà di navigazione e sorvolo non sospendibile, con possibilità, per i sommergibili, di navigare in immersione).

Grande è la importanza geopolitica di questo stretto a ragione considerato un choke point: un suo blocco determinerebbe l’interruzione dei collegamenti marittimi tra l’Europa e l’Oriente e la marginalizzazione del Mediterraneo costringendo – come già avvenuto durante il blocco di Suez del 1967 durato otto anni o durante la recente crisi della pirateria somala-   a percorrere la più lunga rotta del Capo di Buona Speranza.

Non va dimenticato peraltro che già nel 1972 un cacciatorpediniere francese fu bombardato dall’isola yemenita di Perim (posta al centro dello Stretto) e che nel 1971 la petroliera liberiana “Coral Sea”, noleggiata da Israele per trasportare petrolio da Eilat, fu colpita da due missili. Tutti fatti che si stanno nuovamente verificando.

In questo quadro – che negli ultimi cinquant’anni non ha subito cambiamenti significativi – gli Stati Uniti hanno stipulato nel 1975 un Memorandum of Agreement con Israele nel quale si afferma con chiarezza l’impegno statunitense nella difesa della libertà di transito nello Stretto nei seguenti termini: «In accordo con il principio della libertà di navigazione in alto mare e di libero e non impedito passaggio attraverso ed al di sopra degli stretti che collegano le acque internazionali, il Governo degli Stati Uniti considera lo Stretto di Bab el Mandeb e lo Stretto di Gibilterra come vie d’acqua internazionali. Esso sosterrà il diritto di Israele al libero e non impedito passaggio attraverso tali stretti. Allo stesso modo il Governo degli Stati Uniti riconosce il diritto di Israele alla libertà di sorvolo sul Mar Rosso e su tali Stretti e appoggerà per via diplomatica l’esercizio dello stesso diritto».

 

Lo Stretto di Bab el Mandeb (Fonte: US LIS, 112)

 

 Protezione interessi italiani

La presenza italiana nel Mar Rosso risale, com’è noto, agli albori dell’Unità d’Italia con l’acquisizione della baia eritrea di Assab. Benchè non partecipe della costruzione del Canale di Suez, il nostro Paese è anche tra le Parti della Convenzione di Costantinopoli del 1888 che ne regola la libertà di passaggio. In anni recenti l’Italia si è impegnata a garantire la pace e la sicurezza dell’area partecipando nel 1984 alla Forza multinazionale per lo sminamento del Golfo di Suez, costituita a seguito di un atto terroristico di origine libica.

Sin dal 1982 un contingente navale italiano (composto da tre motovedette) opera inoltre nello Stretto di Tiran, nell’ambito della MFO, a protezione della libertà di passaggio lungo le rotte che fanno capo al porto israeliano di Eilat. Nel 2005, all’insorgere della minaccia della pirateria, dopo l’attacco ai nostri mercantili “Cielo di Milano” e “Jolly Marrone”, la Marina Militare fu la prima, tra le Marine occidentali, ad inviare nell’area del Golfo di Aden una propria unità navale per la protezione del naviglio di bandiera.

Ora, di fronte all’aggravarsi della situazione del Mar Rosso, si ripresenta una simile esigenza. La partecipazione italiana ad una Forza multinazionale, ove approvata dal Governo, avrebbe anche questo fine, oltre che rispondere a logiche di politica internazionale connesse al ruolo che il nostro Paese deve svolgere quale membro della UE, della NATO e del G7.

In ogni caso va considerato che tra i compiti d’istituto della nostra Marina, ai sensi dell’art. 111 del COM, vi è proprio « la vigilanza a tutela degli interessi nazionali e delle vie di comunicazione marittime al di la’ del limite esterno del mare territoriale e l’esercizio delle funzioni di polizia dell’alto mare demandate alle navi da guerra negli spazi marittimi (…) ivi compreso il contrasto alla pirateria».

Foto Royal Navy

 

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E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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