Quale futuro per la missione navale italiana in Sinai?

Il semestrale decreto di proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di Polizia approvato lo scorso 10 febbraio  come di consueto offre  uno spaccato molto interessante sulla qualità e dimensione dell’impegno italiano nel mantenimento della stabilità internazionale.

A scorrere il nutrito elenco si ritrovano  missioni oramai “storiche” come quella KFOR in Kosovo,  UNIFIL in Libano, RSM-Nato in Afghanistan e Nato-Active Endeavour in Mediterraneo che tanto hanno contribuito ad accrescere il prestigio italiano in campo internazionale.

Tra le tante missioni non si rinviene però quella del contingente navale italiano ( 78 militari imbarcati su  3 pattugliatori della Marina Militare) della Multinetional Force and Observers (MFO) che dal 1982 è dislocata a Sharm el Sheik per assicurare, secondo il diritto internazionale,  il libero transito nello Stretto di Tiran che collega il Golfo di Aqaba al Mar Rosso.

La mancata citazione di questa missione – indicata di sfuggita nel precedente decreto  109/2014, ai fini penalistici, come “missione   multinazionale   denominata Multinational Force and Observers in Egitto (MFO)”-  si traduce di fatto in un suo oscuramento agli occhi dell’opinione pubblica.

La lacuna  si spiega forse con il fatto che l’attività del contingente navale della MFO ha acquisito carattere consolidato, oltre a non necessitare di stanziamenti ad hoc.  Negli atti parlamentari viene detto infatti che “La partecipazione italiana è finanziata dall’MFO (esclusi naturalmente gli stipendi dei militari), senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato.

Sulla base di uno scambio di lettere del 2007, la partecipazione è di durata indefinita, salvo denuncia unilaterale con un anno di preavviso.”

Se così è, possiamo esser certi che non c’è all’orizzonte alcuna ipotesi di ritiro del contingente italiano. Perchè d’altronde riconfigurare un impiego di forze italiane  in uno scacchiere così rilevante come quello della Penisola del Sinai, proprio ora che i nostri rapporti politici con Israele e l’Egitto sono così stretti ed amichevoli ?

Per alchimie interforze ? Per risparmiare l’erogazione delle indennità di missione all’estero secondo la L. 642/1961 o per disporre di personale da impiegare in altri incarichi ?  Per verificare l’assurdità di questa ipotesi  basti considerare che cosa è la MFO e che funzione continua a svolgere per garantire l’assetto degli  Accordi di Pace di Camp David del 1977.

La MFO è un’organizzazione internazionale (creata per porre rimedio  al veto della Russia al coinvolgimento delle NU) che svolge attività di peace-keeping nella penisola del Sinai garantendo le intese raggiunte, tra Israele ed Egitto e sotto l’egida degli Stati Uniti, con il  Trattato di Pace del 1979 discendente dagli Accordi di Camp David.

L’Italia è il quarto Paese contributore della MFO (la cui sede è a Roma), in termini di personale.   La Marina Militare  fornisce il proprio supporto, con tre Pattugliatori classe “Esploratore” che costituiscono la Coastal Patrol Unit della MFO, sulla base di uno specifico accordo mediante scambio di note più volte rinovato dopo la prima ratifica con legge 29 dicembre 1982, n. 967 .

L’Annesso II a tale Accordo stabilisce in particolare quanto segue:

“Il Governo italiano fornira’ alla MFO  un  Contingente  navale  che avra’ una  responsabilita’  primaria  nell’effettuare  pattugliamenti navali nello Stretto di Tiran e nelle sue vicinanze, come parte della missione  della  MFO  per  assicurare  la  liberta’  di   navigazione attraverso tale Stretto, conformemente all’articolo V del Trattato di Pace. Tale compito sara’  svolto  effettuando  pattugliamenti  navali intermittenti attraverso tale  via  d’acqua  internazionale  e  nelle immediate vicinanze, osservando e riferendo palesi interferenze nella navigazione”.

Questo semplice testo spiega meglio di qualsiasi altro l’essenza della missione svolta in modo impeccabile dalla nostra Marina a beneficio di Egitto ed Israele per garantire il libero transito internazionale nello Stretto di Tiran e per consentire  ad Israele i collegamenti marittimi con il proprio porto di Eilat, posto alla sommità del Golfo di Aqaba.

Direttamente Interessati sono anche la Giordania, il cui porto di Aqaba è contiguo ad Eilat,  e l’Arabia Saudita quale Paese rivierasco dello Stretto sul versante orientale. In aggiunta le Unità italiane cooperano con l’Egitto per le attività di ricerca e soccorso nelle acque di giurisdizione

Le attività del contingente navale italiano sono apprezzabili da vari punti di vista, ma esse esemplificano in modo perfetto la nozione di peace-keeping navale, un compito che le Marine di tutto il mondo possono svolgere grazie alla loro attitudine ad operare in modo imparziale, nell’interesse della Comunità internazionale, in contesti marittimi caratterizzati da instabilità e dispute.

La MFO conta su di esse per svolgere i compiti che le sono stati affidati da Stati Uniti, Egitto ed Israele. Un loro affidamento ad Unità di altri Paesi, è in teoria possibile anche perchè molti sarebbero gli aspiranti a subentrare; ciò altererebbe tuttavia il rapporto fiduciario instauratosi con gli anni tra l’Italia, la MFO e gli altri attori regionali interessati.

Lunga vita dunque alle Unità navali italiane che operano da più di trent’anni all’imboccatura del Golfo di Aqaba! Il loro impiego è stato possibile grazie alla fiducia acquisita dall’Italia nell’area mediorentale  in anni lontani. Un credito  mantenutosi intatto sino ad oggi quando le relazioni del nostro Paese con Egitto ed Israele sono ancor più forti e vitali.

Foto: Marina Militare


E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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