Dal Congresso via libera ai fondi per gli alleati (che resteranno per lo più negli USA)

 

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, firmerà immediatamente il pacchetto da 95 miliardi di dollari destinati all’assistenza militare a Ucraina, Israele e Taiwan, approvato poche ore or sono anche dal Senato che ha permesso il superamento di uno stallo che si protraeva dallo scorso ottobre e che ha visto la maggioranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti opporsi allo stanziamento di 61 miliardi di dollari per il sostegno militare all’Ucraina, accusando la Casa Bianca di anteporre la sicurezza di Paesi stranieri alle priorità di sicurezza nazionale, a cominciare dal contrasto all’immigrazione illegale al confine con il Messico.

Dopo mesi di pressioni da parte del presidente Biden, dell’omologo ucraino Volodymyr Zelensky e degli altri leader del Congresso, il presidente repubblicano della Camera Mike Johnson ha ceduto (con il sostegno del candidato alla Casa Bianca Donald Trump) la scorsa settimana, calendarizzando il voto su una versione del disegno di legge che consentirà agli Usa di convertire i futuri aiuti all’Ucraina in prestiti garantiti dai proventi dei fondi sovrani congelati alla Russia.

La nuova versione del pacchetto da 95 miliardi di dollari era stata approvato dalla Camera sabato scorso e prontamente inviata al Senato, che ha dato il proprio via libera ieri con 79 voti favorevoli a 18 contrari. Il provvedimento (che include l’obbligo per la società cinese ByteDance di cedere il controllo del social media TikTok a una società americana e nuove sanzioni all’Iran) prevede lo stanziamento di 61 miliardi per l’assistenza all’Ucraina, 8 per gli alleati nell’Indo-Pacifico e 26 per gli aiuti militari a Israele e l’assistenza dei civili nella Striscia di Gaza (9 miliardi).

Dei 61 miliardi per l’Ucraina (a questo link il relativo provvedimento legislativo del Congresso) 23,2 finanzieranno la ricostituzione delle scorte di armi e munizioni delle forze armate degli Stati Uniti donate a Kiev, 11,3 miliardi finanzieranno le operazioni del Comando USA in Europa a sostegno dell’Ucraina, 13,.8 l’acquisto di armi e munizioni e servizi addestrativi statunitensi per Kiev: altri fondi sosterranno le attività in Ucraina di diverse agenzie federali USA e solo 7,8 miliardi di dollari verranno elargiti direttamente al governo ucraino.

Dei 26,4 miliardi di dollari per l’Israel Security Supplemental (a questo link il relativo provvedimento legislativo), 4 miliardi finanzieranno la produzione di munizioni per i sistemi di difesa aerea Iron Dome e David’s Sling, 1,2 miliardi il sistema laser di difesa aerea Iron Beam, 3,5 le forniture di armi e munizioni statunitensi in ambito Foreign Military Sales a Israele, 4,4 miliardi vengono stanziati per ricostituire le scorte di armi e munizioni delle forze armate degli Stati Uniti donate a Israele, un miliardo per potenziare la produzione e lo sviluppo di artiglieria e munizioni critiche e 9 miliardi sostengono in aiuti umanitari per la popolazione palestinese

Degli 8,1 miliardi di dollari per le “Supplemental appropriations for assistance for the Indo-Pacific region” (a questo link il relativo provvedimento legislativo), 3,3 finanziano lo sviluppo di infrastrutture sottomarine, compresi gli investimenti nella costruzione di bacini di carenaggio, 2 miliardi finanziano forniture militari in ambito Foreign Military Sales a Taiwan e altri alleati della regione, 1,9 coprono i costi per ricostituire le scorte americane di armi e munizioni forniti a Taiwan e ai partner regionali, 542 milioni verranno spesi per rafforzare le capacità militari statunitensi nella regione e 133 milioni per potenziare la produzione e lo sviluppo di artiglieria e munizioni critiche.

Appare evidente quindi che la gran parte della somma stanziata per gli alleati (oltre 70 miliardi su 95) resterà negli Stati Uniti in termini di commesse militari per le forze armate americane, di prodotti militari “made in USA” forniti agli alleati e di finanziamento delle attività militari o infrastrutturali americane nelle aree di crisi europea, mediorientale e asiatica.

Non sorprende quindi che il portavoce del Pentagono, maggior generale Pat Ryder nei giorni scorsi  abbia spiegato in un briefing che “ la richiesta di finanziamento fornirà aiuti essenziali ai nostri partner in Ucraina, Israele e nell’Indo-Pacifico e fornirebbe quasi 60 miliardi di dollari al Dipartimento della Difesa, di cui circa 50 miliardi di dollari fluirebbero attraverso la base industriale della difesa nazionale creando posti di lavoro americani in oltre 30 stati”.

Questo “dettaglio” aiuta anche a comprendere il cambio di rotta del Partito Repubblicano che ha ottenuto che i fondi versati agli alleati non costituiscano doni ma bensì prestiti mentre lo stanziamento pubblico inonda con decine di miliardi di commessa pubblica l’industria della Difesa (grande finanziatrice di campagne elettorali di entrambe i partiti) determinando un impatto economico e occupazionale negli USA che ha un peso crescente per tutti i partiti politici con l’avvicinarsi delle elezioni di novembre.

 

Nuovi aiuti militari anche da Londra

In concomitanza con il voto al Senato statunitense anche il Regno Unito ha annunciato che fornirà ulteriori aiuti militari per 500 milioni di sterline tra cui 1.600 missili inclusi diversi Storm Shadow, 4 milioni di munizioni per armi leggere, 400 veicoli (78 autocarri, 162 blindati e 160 veicoli protetti Husky radiati nel 2022 dal British Army che li impiegò in Afghanistan) e 60 barche.

Il premier britannico Rishi Sunak ha annunciato che il bilancio della Difesa aumenterà dal 2,32 per cento del PIL al 2,5 per cento entro il 2030. “Ci troviamo nel mondo più pericoloso dalla fine della guerra fredda e a un punto di svolta della sicurezza in Europa.

Il bilancio quindi aumenterà gradualmente a 87 miliardi di sterline entro sei anni, nel maggior rafforzamento della nostra difesa nazionale in una generazione. Una delle lezioni cruciali della guerra in Ucraina è che abbiamo bisogno di riserve più importanti di munizioni e che l’industria sia in grado di rifornirle più velocemente”, ha affermato Sunak dopo aver anticipato lo stanziamento di dieci miliardi di sterline per i prossimi dieci anni per il sostegno al comparto industriale.

 

Valutazioni

Diversi analisti ritengono ci vorrà del tempo prima che Kiev possa percepire i benefici del nuovo pacchetto di aiuti.  Il Wall Street Journal considera che le nuove forniture americane potrebbero aiutare Kiev a frenare l’avanzata russa (che si sviluppa ormai su tutti i fronti mettendo in gravi difficoltà le forze ucraine) ma ritiene improbabile che gli aiuti statunitensi cambino radicalmente la situazione dell’Ucraina a causa delle gravi perdite subite dalle forze di Kiev e dalla carenza ormai cronica di truppe addestrate, armi e munizioni.

Il Pentagono è pronto a inviare in tempi brevissimi un iniziale pacchetto di aiuti militari all’Ucraina del valore di un miliardo di dollari che include munizioni per artiglieria, missili da difesa aerea e veicoli corazzati. I funzionari statunitensi hanno affermato che alcune armi saranno consegnate molto rapidamente sul campo di battaglia (equipaggiamenti probabilmente già stoccati in Europa) ma potrebbe volerci più tempo per l’arrivo di altri armamenti.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto di aver avuto da Biden l’assicurazione che tra le armi che verranno consegnate a Kiev figurano i tanto richiesti missili balistici ATACMS, con una gittata fino a 300 chilometri che verranno consegnati probabilmente col vincolo di non impiegarli contro il territorio russo esclusa la Crimea.

Dopo oltre due anni di proclami sugli aiuti occidentali che avrebbero dovuto fare miracoli è difficile non mostrare scetticismo circa l’impatto delle nuove forniture di USA e alleati specie tenendo conto dei tempi di consegna e addestramento del personale ucraino, della superiorità numerica russa crescente in termini di truppe ed equipaggiamenti e soprattutto alla luce del crollo del morale degli ucraini confermato anche dalle iniziative per arruolare combattenti tra una popolazione stanca della guerra e sempre più restia a combattere.

Lo conferma anche l’iniziativa annunciata dal ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba per riportare in Ucraina i cittadini maschi residenti all’estero o fuggiti oltre confini all’inizio della guerra per arruolarli.

“Il fatto di soggiornare all’estero non esonera il cittadino dai suoi doveri verso la patria”, ha dichiarato Dmytro Kuleba, il quale non ha però specificato la natura di tali misure, limitandosi a dire che il ministero “fornirà presto chiarimenti” sulle nuove procedure da seguire per “l’accesso ai servizi consolari”.

L’impressione è che le nuove forniture militari puntino a sostenere le forze ucraine probabilmente non in vista di una vittoria di Kiev di cui tutti parlano (Ursula von der Leyen ha ripetuto anche oggi che “l’Ucraina deve vincere”) ma a cui nessuno sembra credere davvero, ma per perseguire due distinti obiettivi, uno politico a breve termine e l’altro militare a medio/lungo termine .

Il primo è impedire il crollo dell’Ucraina prima delle elezioni europee di giugno e di quelle statunitensi in novembre: la sconfitta di Kiev potrebbe avere ripercussioni sulla credibilità (in molti casi già traballante) di governi e leader dell’Occidente.

Negli Stati Uniti Biden ha già al suo “attivo” la ritirata caotica da Kabul dell’agosto 2021 (nata dall’accordo con i talebani siglato dall’amministrazione Trump), mentre in Europa fin troppi presidenti, premier, ministri e leader di partito avevano predetto il disastro economico e militare della Russia a causa delle nostre sanzioni.

Il secondo obiettivo è continuare a “logorare la Russia”, cavallo di battaglia con il quale gli anglo-americani fecero saltare nel marzo 2022 l’accordo di pace raggiunto da russi e ucraini con la mediazione turca, come ammesso anche dai collaboratori di Zelensky e di cui ha riferito recentemente anche Foreign Policy.

L’illustrazione più chiara delle aspettative riposte nei nuovi aiuti militari all’Ucraina l’ha fornita ieri detto il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg incontrando il premier britannico Sunak in Polonia.

“Credo che dobbiamo ricordare che avere un vicino russo ha un costo ed è un costo garantire che l’Ucraina prevalga. Non possiamo sfuggire a questo costo. Dobbiamo capire che l’alternativa più costosa é permettere a Putin di vincere in Ucraina. Perché a quel punto vivremo in un mondo molto più pericoloso e dovremo investire molto di più nella nostra difesa rispetto al sostegno che ora forniamo all’Ucraina”, ha aggiunto.

“Si può solo investire ora nella sicurezza dell’Ucraina. E’ un bene per loro ed è un bene per noi. E questo riduce di fatto il costo complessivo della gestione del vicino russo. Se permettiamo a Putin di vincere, il costo aumenterà, non diminuirà. In secondo luogo, bisogna ricordare che anche se ora tutti noi stiamo fornendo un sostegno significativo senza precedenti, l’Ucraina è solo una frazione dei nostri bilanci della difesa, meno dello 0,2 per cento del nostro Pil. Fornendo sostegno all’Ucraina li aiutiamo a distruggere le capacità di combattimento russe che potenzialmente potrebbero essere utilizzate contro di noi. Sostenere l’Ucraina non è carità, è un investimento nella nostra sicurezza, e l’alternativa è più costosa”, ha concluso.

Dichiarazioni che possono apparire ciniche ma che risultano in linea con la posizione dell’Alleanza Atlantica dettata dagli anglo-americani. Del resto l’anno scorso fu proprio Stoltenberg ad affermare, rispondendo a un giornalista che chiedeva informazioni circa la buona performance dei soldati ucraini, che “è dal 2014 che li addestriamo a combattere i russi”.

@GianandreaGaian

Foto: US DoD e NATO

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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