L’equilibrio del terrore: la dissuasione nucleare dalla Guerra Fredda a oggi

 

La dissuasione nucleare rappresenta uno dei paradossi più straordinari e inquietanti della moderna politica internazionale. Questa strategia di sicurezza, che ha origine nel devastato contesto della Seconda Guerra Mondiale, si è evoluta fino a diventare il cardine delle relazioni internazionali durante la Guerra Fredda. L’idea alla base è sorprendentemente semplice ma estremamente pericolosa: possedere un arsenale di armi così potente da poter distruggere completamente il nemico, il che dovrebbe scoraggiare entrambe le parti dal scatenare un primo attacco per paura della distruzione reciproca.

Il concetto di dissuasione nucleare è emerso come diretta conseguenza dell’introduzione delle armi nucleari nella guerra moderna, in particolare dopo il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Questi eventi non solo hanno segnato la fine della Seconda Guerra Mondiale, ma hanno anche inaugurato una nuova era nella strategia militare. Il potere devastante di queste armi ha immediatamente catalizzato una corsa agli armamenti nucleari, soprattutto tra le superpotenze dell’epoca, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

L’equilibrio del terrore si basa su una logica di deterrenza che, pur sembrando contraddittoria, è strategicamente valida. Si tratta di un equilibrio precario in cui la sicurezza di una nazione è garantita non dalla promessa di pace, ma dalla minaccia di guerra totale. Se un attacco nucleare garantisse una risposta nucleare altrettanto devastante, nessuna delle parti avrebbe un vantaggio chiaro, e l’idea di un attacco preventivo diventerebbe meno allettante.

Questo tipo di strategia, definita ‘Mutual Assured Destruction’ (MAD, ovvero distruzione reciproca assicurata), ha plasmato non solo le politiche di sicurezza delle superpotenze durante la Guerra Fredda, ma ha anche influenzato profondamente la natura delle alleanze internazionali e delle trattative diplomatiche. Nel mondo post-bellico, dove il rischio di un conflitto globale coinvolgente armi nucleari era una realtà palpabile, la dissuasione nucleare ha offerto una forma bizzarra e pericolosa di stabilità.

Nonostante la sua efficacia nel prevenire conflitti su larga scala tra le superpotenze, la dissuasione nucleare ha anche sollevato intense discussioni etiche e morali. L’idea che la sicurezza possa dipendere dalla capacità di annientare intere popolazioni solleva questioni profonde su giustizia, umanità e la vera natura della ‘sicurezza’ in un mondo nuclearizzato. Questi dilemmi continuano a permeare il dibattito sulla non proliferazione e il controllo degli armamenti nucleari nell’era moderna.

La dissuasione nucleare tuttavia non può prevenire i conflitti convenzionali sul suolo europeo a meno che non vi sia la paura di un’escalation nucleare. In questo breve articolo si esploreranno vari aspetti della dissuasione nucleare e il suo impatto sulla sicurezza globale. La discussione inizierà con l’introduzione delle armi nucleari nel contesto della Seconda Guerra Mondiale, analizzando come la capacità di infliggere distruzione reciproca abbia influenzato le politiche internazionali durante e dopo la Guerra Fredda.

Verranno esplorate le origini della dissuasione nucleare, partendo dalla supremazia nucleare americana nel periodo post-bellico, quando gli USA erano l’unica potenza nucleare, fino al raggiungimento dell’equilibrio con l’Unione Sovietica, che terminò questa supremazia con il test del primo dispositivo nucleare nel 1949.

Successivamente, si analizzerà l’evoluzione delle strategie di dissuasione, inclusa la transizione dalla dottrina della Rappresaglia Massiccia alla Risposta Flessibile durante l’amministrazione Kennedy, che mirava a fornire agli Stati Uniti un ampio spettro di opzioni militari per rispondere alle minacce internazionali. L’articolo esaminerà anche le sfide attuali alla sicurezza europea, sottolineando come la riduzione dell’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza europea e il ritiro dal Trattato INF abbiano modificato la percezione della dissuasione nucleare.

Si discuterà dell’importanza dell’articolo 5 del trattato NATO e della necessità per l’Europa di rafforzare le proprie capacità di difesa e dissuasione in un contesto geopolitico in evoluzione. L’ultima parte del testo proporrà alcune riflessioni sul futuro della dissuasione nucleare e sull’importanza della diplomazia e della cooperazione internazionale per assicurare una sicurezza globale duratura. Gli argomenti trattati mirano a offrire una comprensione più approfondita di come la dissuasione nucleare possa continuare a influenzare la politica internazionale.

 

Le origini: dalla supremazia americana alla parità sovietica

Le origini della dissuasione nucleare possono essere tracciate nei giorni immediatamente successivi al termine della Seconda Guerra Mondiale, periodo in cui gli Stati Uniti emersero come l’unica superpotenza dotata di armi nucleari. Questo monopolio atomico, seppur di breve durata, fornì agli Stati Uniti un vantaggio strategico senza precedenti, consolidando la loro posizione di leadership globale nel nascente ordine mondiale post-bellico. Il potere di dissuasione americano era fondato sulla dottrina della Rappresaglia Massiccia, che prevedeva una risposta nucleare su larga scala a qualsiasi attacco significativo da parte sovietica.

Questa politica, concepita per fungere da deterrente assoluto, risultava particolarmente efficace in Europa, dove l’Unione Sovietica disponeva di un esercito vasto e potente. La minaccia implicita di conseguenze apocalittiche per chiunque osasse sfidare gli Stati Uniti costituiva un deterrente formidabile.

Il periodo iniziale di supremazia nucleare americana non durò a lungo. L’Unione Sovietica, determinata a non restare indietro nella corsa agli armamenti nucleari, mise in campo ingenti risorse per sviluppare e testare la propria bomba atomica. Nel 1949, la detonazione del primo dispositivo nucleare sovietico, nota come “First Lightning”, segnò la fine del monopolio nucleare americano e l’inizio di una nuova era di parità nucleare. Questo evento fu un campanello d’allarme per gli Stati Uniti, indicando che la Rappresaglia Massiccia non era più una strategia infallibile e che la distruzione reciproca assicurata (MAD) era diventata una realtà.

Con l’arrivo della parità nucleare, la dinamica del potere globale si trasformò radicalmente. Ogni superpotenza ora possedeva il potenziale per distruggere l’altra, e di conseguenza, il mondo intero. Questa nuova realtà obbligava gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica a calcolare attentamente i rischi di qualsiasi confronto diretto, poiché un conflitto nucleare su larga scala avrebbe potuto significare l’annientamento di entrambi.

La corsa agli armamenti che ne seguì intensificò ulteriormente la tensione globale. Entrambe le nazioni accumularono arsenali immensi, costituiti da migliaia di armi nucleari pronte all’uso, consolidando così una paura perpetua di un attacco sorpresa che potesse scatenare una guerra nucleare totale. La credibilità della Rappresaglia Massiccia come strumento di dissuasione iniziò a vacillare sotto il peso di questa nuova realtà, spingendo gli Stati Uniti a considerare approcci alternativi per mantenere la loro sicurezza e quella dei loro alleati. Questo contesto di parità forzata e di mutuo sospetto tra le due superpotenze definì le strategie militari e la diplomazia internazionale per decenni a venire, plasmando un mondo in cui la paura di un olocausto nucleare era sempre presente.

 

La Risposta Flessibile: adattamento e deterrenza

Nel contesto di una parità nucleare sempre più consolidata tra le superpotenze, gli Stati Uniti si trovarono di fronte alla necessità di rivedere e adattare la loro strategia di dissuasione. Il concetto di Rappresaglia Massiccia, basato sulla minaccia di una devastante risposta nucleare a qualsiasi attacco, cominciò a sembrare troppo rigido e potenzialmente pericoloso in un mondo dove un errore di calcolo poteva portare alla distruzione reciproca. In risposta a queste nuove sfide, durante l’amministrazione Kennedy fu sviluppata la strategia della “Risposta Flessibile”.

La strategia della Risposta Flessibile mirava a fornire agli Stati Uniti un ampio spettro di opzioni di risposta a minacce internazionali, riducendo la dipendenza da una risposta nucleare automatica “In the nuclear age, flexibility depends on the ability to meet the whole spectrum of possible challenges and not only the most absolute one” (Kissinger, 2019, p.18). Questo nuovo approccio permetteva una graduazione degli interventi militari, dalla dimostrazione di forza convenzionale, all’escalation controllata, fino all’uso di armi nucleari tattiche e, come ultima risorsa, strategiche. L’obiettivo era quello di adattare la risposta militare all’intensità e alla natura della minaccia, aumentando così la credibilità della dissuasione mantenendo al contempo una maggiore stabilità internazionale.

Per garantire la credibilità della dissuasione a tutti i livelli, era essenziale dimostrare non solo la capacità, ma anche la volontà di utilizzare forze convenzionali in modo efficace. Ciò preveniva la percezione di una debolezza convenzionale che avrebbe potuto incoraggiare l’Unione Sovietica a intraprendere azioni militari limitate, ritenendo improbabile una risposta nucleare immediata da parte degli Stati Uniti. Allo stesso modo, era cruciale mantenere aggiornato e affidabile l’arsenale nucleare tattico. Un arsenale percepito come obsoleto o inaffidabile avrebbe potuto erodere la dissuasione su quel livello, minando la sicurezza complessiva.

La credibilità di questa strategia era essenziale soprattutto per noi europei, perché sia la guerra convenzionale che quella nucleare tattica si sarebbero combattute sul nostro territorio. Il mantenimento di forze convenzionali al livello del Patto di Varsavia era essenziale per dissuadere quest’ultimo da un eventuale attacco convenzionale ed evitare una ‘escalation nucleare’ seppure a livello tattico (tenendo in conto che la guerra nucleare tattica si sarebbe combattuta in Europa).

Questa strategia richiedeva un impegno significativo in termini di investimenti in difesa e tecnologia militare, nonché un’attenta valutazione delle capacità militari degli avversari e dei potenziali scenari di conflitto. Il principio fondamentale era quello di evitare l’escalation involontaria, gestendo i conflitti a livelli inferiori per prevenire una guerra nucleare. In questo modo, la Risposta Flessibile mirava a navigare con prudenza nella delicata linea tra provocazione e passività, cercando di preservare la pace mentre si manteneva una postura di forte deterrenza.

 

Un approccio multidimensionale: capacità militari, volontà politica e impegno diplomatico

La credibilità della dissuasione nucleare si basa su vari fattori critici. In primo luogo, è essenziale disporre di una difesa strutturata su tre livelli: convenzionale, nucleare tattico e nucleare strategico. Ogni livello rafforza il successivo, e una mancanza in uno qualsiasi di questi ambiti può minare l’efficacia generale della dissuasione. In secondo luogo, la volontà di utilizzare tali mezzi, se necessario, deve essere dimostrata senza ambiguità. Una comunicazione chiara e coerente delle politiche nucleari, unitamente alla dimostrazione di una ferma determinazione a proteggere gli interessi nazionali, è fondamentale per mantenere una postura di deterrenza efficace.

In terzo luogo, è indispensabile mantenere un arsenale nucleare moderno e affidabile. Un arsenale obsoleto o inaffidabile può indebolire significativamente la capacità di deterrenza di una nazione. Inoltre, una robusta forza convenzionale può dissuadere potenziali aggressori, limitando la necessità di ricorrere immediatamente all’arma nucleare. Infine, sviluppare e mantenere capacità nucleari tattiche aumenta la flessibilità e la credibilità della risposta di deterrenza, offrendo soluzioni intermedie tra il convenzionale e lo strategico.

Nonostante l’importanza di questi elementi, è cruciale riconoscere che l’obiettivo della dissuasione nucleare è prevenire il conflitto, non prepararsi ad esso. La diplomazia, la riduzione delle tensioni e il controllo degli armamenti sono strumenti essenziali per costruire un ambiente di sicurezza più stabile e per ridurre la dipendenza dalla dissuasione nucleare. In conclusione, la credibilità della dissuasione nucleare dipende dall’equilibrio tra capacità militare, determinazione politica e impegno diplomatico, richiedendo un’attenta valutazione e un approccio oculato per garantire la sicurezza globale e prevenire la guerra nucleare.

 

Comunicazione e volontà politica: I pilastri della credibilità

Nel delicato equilibrio della dissuasione nucleare, la comunicazione efficace e la volontà politica non sono solo complementi delle capacità militari, ma pilastri centrali che sostengono l’intera architettura della strategia di sicurezza. Questi elementi sono essenziali per assicurare che la postura di deterrenza sia compresa, credibile e, quindi, efficace nel prevenire conflitti.

La chiarezza nella comunicazione delle politiche nucleari è fondamentale. Governi e leader devono trasmettere in modo inequivocabile le proprie intenzioni e le condizioni sotto le quali si considererebbe l’uso della forza nucleare. Questo messaggio deve essere coerente e riflettere una comprensione chiara degli obiettivi strategici nazionali. Qualsiasi ambiguità in questi messaggi può essere pericolosamente interpretata come un segno di indecisione o debolezza, potenzialmente invitando avversari a testare i limiti di tale deterrenza. In questo contesto, la trasparenza diventa un deterrente in sé, scoraggiando malintesi o calcoli errati che potrebbero portare a escalation indesiderate.

Allo stesso tempo, la volontà politica di attuare le minacce di risposta nucleare, se provocati, è un altro componente critico. Questa volontà deve essere percepita come ferma dagli avversari. Non si tratta solo di possedere le capacità di risposta, ma anche di mostrare la determinazione di usarle in risposta a specifiche minacce. La credibilità di questa volontà si manifesta attraverso dichiarazioni pubbliche, esercitazioni militari e la partecipazione a trattati internazionali, tra le altre azioni.

La storica massima romana “Se vuoi la pace, preparati per la guerra” assume una risonanza particolare in questo contesto. Nell’era nucleare, questa frase sottolinea non solo la necessità di mantenere e modernizzare le capacità militari, ma anche di gestire le percezioni internazionali di forza e determinazione. La dissuasione nucleare, sebbene sia una strategia imperfetta e carica di rischi morali ed etici, rimane un meccanismo fondamentale per evitare conflitti su scala massiccia. L’equilibrio tra mostrare la forza e promuovere la diplomazia incarna il paradosso continuo di mantenere la pace in un mondo potenzialmente alla soglia di un conflitto catastrofico.

 

Sicurezza in bilico: La nuova geopolitica e la sfida della dissuasione in Europa

Le attuali dinamiche geopolitiche pongono sfide significative alla tradizionale strategia di dissuasione nucleare e alla sicurezza internazionale. Di fronte alla crescente ascesa della Cina come potenza economica e militare, gli Stati Uniti stanno ripensando le loro priorità in politica estera, con effetti tangibili sulla percezione e sulla realtà della sicurezza in Europa.

Negli ultimi decenni, molti paesi europei hanno goduto di quello che viene definito il ‘dividendo della pace’, un periodo di stabilità relativa e di riduzione delle spese militari. Con il termine della Guerra Fredda e il calo della percezione di minacce esterne immediate, molte nazioni europee hanno scelto di investire in settori come il welfare e l’innovazione tecnologica, trascurando il potenziamento delle proprie capacità militari, sia convenzionali che nucleari.

Tuttavia, questa tendenza ha portato a un’erosione progressiva della capacità di dissuasione dell’Europa. Senza un adeguato investimento in capacità militari e una chiara strategia di dissuasione, l’Europa rischia di apparire meno credibile come forza deterrente sul palcoscenico mondiale. Tale percezione di vulnerabilità potrebbe invitare aggressioni da parte di attori statali e non statali che vedono un’opportunità in un’Europa meno armata e politicamente frammentata.

La diminuzione dell’attenzione statunitense verso la sicurezza europea, orientata ora più verso la regione Indo-Pacifico e la rivalità con la Cina, complica ulteriormente il panorama. Se gli Stati Uniti percepiscono che le loro priorità strategiche sono meglio servite altrove, gli alleati europei potrebbero trovarsi in una posizione in cui è necessario considerare un incremento delle proprie capacità di difesa o la ricerca di nuove alleanze regionali.

In questo contesto, è fondamentale che l’Europa e i suoi alleati riconsiderino e rafforzino le proprie politiche di sicurezza. Potrebbe essere necessario un rinnovato impegno verso il potenziamento delle capacità militari, sia convenzionali che nucleari, e verso la formazione di un fronte unito che possa presentarsi come un deterrente credibile agli occhi dei potenziali aggressori. Allo stesso tempo, la diplomazia e la cooperazione internazionale rimangono strumenti indispensabili per gestire le tensioni e prevenire conflitti, soprattutto in un’epoca caratterizzata da crescente multipolarità e interdipendenza globale,

 

Ridefinire la sicurezza: Implicazioni della ritirata dal trattato INF e dell’isolazionismo USA sulla deterrenza europea

La ritirata degli Stati Uniti e della Russia dal Trattato sulle Forze Nucleari a Raggio Intermedio (INF), unitamente alle dichiarazioni di alcune figure politiche americane sulla possibile non partecipazione degli Stati Uniti in un conflitto europeo, solleva questioni significative riguardo la stabilità e la dissuasione in Europa. Questi sviluppi potrebbero avere diverse conseguenze, sia dirette che indirette, sulla sicurezza europea:

  1. Erosione della credibilità della deterrenza americana: La ritirata dall’INF e le dichiarazioni sulla non partecipazione in conflitti europei potrebbero essere percepite come segnali di un impegno ridotto degli Stati Uniti verso la sicurezza europea, indebolendo così la credibilità della deterrenza offerta dalla presenza militare e dalle garanzie di sicurezza americane in Europa.
  2. Risveglio di vecchie minacce e nuove strategie: Con la fine del trattato INF, emerge la possibilità che sia gli Stati Uniti che la Russia possano dispiegare nuovi missili a raggio intermedio in aree geograficamente più vicine ai loro potenziali avversari, incrementando la percezione di minaccia e la tensione regionale. L’Europa potrebbe trovarsi al centro di una nuova corsa agli armamenti o essere costretta a rispondere con misure simili.
  3. Incentivo a una maggiore autonomia difensiva Europea: Le incertezze relative al coinvolgimento degli Stati Uniti dovrebbero spingere l’Europa verso una maggiore autonomia difensiva. Questo potrebbe includere il rafforzamento della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) dell’Unione Europea e, forse, una riconsiderazione della dottrina nucleare all’interno della NATO o tra stati membri con capacità nucleari.
  4. Rischi di “Escalation”: La presenza di nuovi sistemi d’arma e l’assenza di un trattato che imponga limiti potrebbero aumentare il rischio di incidenti e conflitti. La ridotta finestra di reazione dovuta alla vicinanza geografica di potenziali nuovi sistemi missilistici aumenta il pericolo di “escalation” involontaria.
  5. Pressioni politiche internazionali e interne: Le affermazioni sull’isolazionismo americano potrebbero rafforzare movimenti politici europei che spingono per un’identità di difesa più indipendente, potenzialmente alterando il panorama politico interno dei paesi europei e le dinamiche all’interno della NATO.

Inoltre, l’inferiorità della Russia in termini di armamenti convenzionali ad alta tecnologia crea uno svantaggio che potrebbe aumentare il livello di minaccia all’uso di armi nucleari tattiche: “Predominant Western analysis has paid insufficient attention to how improved conventional capabilities have affected Russian strategy for using nuclear weapons to influence conventional regional conflicts. In the early 2000s, Russian conventional capabilities were so inferior, compared to NATO’s military capabilities, that Russia deemed it necessary to threaten the early and limited use of nuclear weapons in the face of conventional threats” (Ven Bruusgaard, 2021, p. 4).

L’attuale scenario di sicurezza europea invoca una riflessione profonda sulla capacità di dissuasione e difesa del continente. Nel contesto della dissuasione nucleare, la situazione appare complessa: da un lato, gli Stati Uniti, pur essendo una superpotenza nucleare, potrebbero non intervenire direttamente in un conflitto nucleare tattico in Europa, il che indebolisce potenzialmente l’effetto dissuasivo tradizionale. D’altro canto, la Francia, sebbene sia l’unica potenza nucleare europea con capacità autonome, non possiede un arsenale comparabile a quello della Russia, il che solleva dubbi sulla sua efficacia nel deterrenza nucleare strategica contro una superpotenza nucleare come la Russia.

Occorre ricordare che l’articolo 5 del trattato della NATO, stabilisce che un attacco armato contro uno o più membri in Europa o Nord America sarà considerato un attacco contro tutti. Di conseguenza, i membri della NATO sono tenuti ad assistere la nazione o le nazioni attaccate, adottando le azioni che ritengono necessarie, incluso l’uso della forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell’area dell’Atlantico del Nord. Tuttavia, è cruciale sottolineare che mentre l’articolo 5 prevede un meccanismo collettivo di risposta, non garantisce l’intervento automatico; la decisione di come rispondere a un attacco è lasciata alla discrezione di ciascun membro. Questo implica una dipendenza da un sistema di sicurezza collettiva che non solo richiede solidarietà tra gli stati membri, ma anche una risposta coordinata e tempestiva nel contesto di una crisi. Solidarietà che non deve in nessun modo venir messa in discussione pena la perdita dell’effetto dissuasivo dell’Alleanza.

In sintesi, queste evoluzioni evidenziano la necessità per l’Europa di ripensare e forse ristrutturare le proprie strategie di sicurezza e dissuasione, considerando la possibilità di un impegno americano meno garantito in futuro. Questo scenario richiede un approccio bilanciato che consideri sia il rafforzamento delle capacità militari sia il mantenimento e l’espansione di iniziative diplomatiche per garantire una sicurezza a lungo termine.

 

Conclusioni: un equilibrio precario per la sicurezza globale

La dissuasione nucleare continua a essere un aspetto cruciale della sicurezza internazionale, fungendo da deterrente contro l’uso di armi nucleari in un contesto globale carico di tensioni e incertezze. Nonostante la sua natura paradossale, che si basa sulla minaccia di distruzione totale per mantenere la pace, questa strategia rimane un pilastro fondamentale nella prevenzione di conflitti nucleari devastanti.

Tuttavia, la dissuasione nucleare presenta una serie di contraddizioni e sfide che non possono essere ignorate. Si fonda su un equilibrio precario e fragile, a rischio di un errore di calcolo o di interpretazione che potrebbe avere conseguenze catastrofiche. La storia della Guerra Fredda ha dimostrato come la mera esistenza di armi nucleari possa generare una tensione costante e una corsa agli armamenti che, in assenza di un controllo efficace, potrebbe diventare insostenibile.

Una profonda comprensione della storia, dei principi e delle sfide della dissuasione nucleare è essenziale per chiunque sia coinvolto nella gestione della politica internazionale contemporanea. È necessario un impegno continuo verso la diplomazia e la cooperazione internazionale, non solo per gestire le esistenti capacità nucleari, ma anche per prevenire la proliferazione di nuovi attori statali o non statali che potrebbero non seguire gli stessi principi di cautela e responsabilità.

Inoltre, l’importanza di trattati internazionali come il Trattato di Non Proliferazione (NPT) e gli sforzi di disarmo non può essere sottovalutata. Questi strumenti sono vitali per creare un ambiente in cui la fiducia reciproca possa essere costruita e mantenuta, e dove le tensioni possano essere mitigate attraverso negoziati e accordi bilaterali o multilaterali.

Concludendo, mentre la dissuasione nucleare ha svolto un ruolo indiscutibile nel mantenere un certo livello di stabilità globale, il futuro della sicurezza internazionale dipenderà sempre più dalla capacità dei leader mondiali di superare le contraddizioni intrinseche di questa strategia. Solo attraverso un rinnovato impegno verso la diplomazia, il dialogo e la cooperazione internazionale sarà possibile garantire un futuro più sicuro e pacifico per tutte le nazioni del mondo.

 

 

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Roberto GraviliVedi tutti gli articoli

Con oltre 40 anni di esperienza nel settore della difesa e dei diritti umani, ha partecipato a numerose missioni di peacekeeping e ha lavorato con diverse organizzazioni internazionali. Ha conseguito un Dottorato in Diritti Umani, Democrazia e Giustizia Internazionale presso l'Università di Valencia, un Master in Strategia presso l'Università di Milano, una Laurea in Relazioni Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Trieste, oltre a una Laurea in Scienze Strategiche presso l'Università di Torino. Attualmente è Direttore di Geopolitica e Geostrategia dell'Instituto Europeo ECOFIN de Liderazgo (IEEL), collaboratore del Gruppo di Geostrategia per la Pace, la Sicurezza e la Difesa (GPS+D) dell'Università di Valencia e Senior Adviser in Geopolitica e Geostrategia presso Santiago Consultores Capital Humano.

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