"Stress da missione" per quasi un terzo dei militari oltremare

Adnkronos – Ansia e stress per i militari in missione: uno studio fa luce sul ‘disagio psicologico da operazioni’, un problema che a livello globale interessa circa il 27% del personale con le stellette inviato all’estero. La ricerca, condotta da un gruppo internazionale coordinato dal generale Giuseppe Caforio, autore di un approfondimento sul periodico ‘Informazioni della Difesa’, ha esaminato l’aspetto della partecipazione dei soldati a operazioni all’estero in uno scenario da ‘guerra asimmetrica’, vale a dire quella forma conflittuale in cui una parte strutturalmente più debole adotta forme di lotta non convenzionali per poter competere con la parte più forte ed organizzata. La ricerca prende in considerazione tre diversi aspetti di disagio psicologico conseguenti alla partecipazione a queste missioni: lo stress dovuto alle operazioni in se’ -operazioni che, per molti, hanno comportato il coinvolgimento in conflitto a fuoco – il disagio per i lunghi periodi di lontananza dalla famiglia, le difficoltà a reinserirsi nella vita quotidiana in patria al ritorno dalla missione. L’analisi è’ stata effettuata su un campione internazionale di 542 militari per ricavarne un dato medio valido per individuare le reazioni ‘dell’idealtipo’ di soldato inviato in missione.

Il rischio di attacco da parte di guerriglieri mischiati tra la popolazione civile, l’effettiva attuazione di imboscate in cui per molti militari si è’ verificata una sorta di ‘battesimo del fuoco’, l’insidia degli Ied (gli ordigni esplosivi improvvisati), il lancio dei razzi e i colpi di mortaio sugli accampamenti, le effettive perdite subite sono considerati fattori ed eventi indubbiamente idonei a produrre situazioni di ansia in chi li vive. Nel campione esaminato dalla ricerca, quasi tre militari su dieci dichiarano di avere sperimentato momenti di ansia e di stress durante la missione. In particolare su 512 intervistati, 273 (51%) hanno dichiarato di non avere avuto problemi, 118 (22%) non hanno dato risposta alla domanda, 94 (17%) hanno dichiarato “uno stress normale che si poteva fronteggiare”, 55 (10%) uno stress elevato. I fattori principali di stress durante le operazioni sono risultati l’incertezza della situazione per “una minaccia permanente non si sapeva da dove”, la effettiva sperimentazione di attacchi, imboscate e, il ferimento o la morte di propri commilitoni. Ma, in operazioni di questo tipo, si creano anche altri fattori di ansia, quali la preoccupazione assolvere il proprio compito o la difficoltà di recuperare il proprio equilibrio mentale dopo un’azione di combattimento.

Nel fenomeno preso in esame dalla ricerca, molto incide la separazione dalla famiglia. Anche se su questo aspetto il 45% degli intervistati riferisce di non avere avuto particolari problemi, il 16% dichiara di avere avuto qualche problema conseguente alla separazione, ma non di particolare gravità’ e il 22% problemi di una certa consistenza: il 17% non ha risposto. Chi ha partecipato a un maggior numero di missioni ha avuto meno problemi di carattere familiare: il 4% di coloro che hanno effettuato piu’ di sei missioni dichiara di non avere avuto nessun problema per la separazione dalla famiglia; quasi 20 punti percentuali in più rispetto alla media del campione. La maggioranza (il 40%) del campione dichiara di non aver avuto problemi al rientro dalle missioni o di averli superati in pochi giorni. Il 22% degli intervistati dichiara di aver avuto problemi di riadattamento. Notevole il numero di mancate risposte (36%).

Foto: truppe italiane in Afghanistan (PIO RCW)

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