A volte ritornano: nuove basi USA nelle Filippine

La paura (dei cinesi) fa 90 a Manila e ha indotto il governo a chiamare di nuovo gli statunitensi a presidiare basi militari nell’arcipelago. In concomitanza con la visita di Barack Obama nelle Filippine, Manila e Washington hanno firmato un accordo di cooperazione militare teso a contrastare l’espansionismo di Pechino nel mar Cinese meridionale e in tutta la regione Asia-Pacifico. L’accordo autorizza una maggiore presenza di truppe statunitensi nel Paese nei prossimi 10 anni e garantirà un migliore accesso all’alleato americano a porti, basi militari e aeroporti sul suolo filippino mentre truppe statunitensi addestreranno l’esercito di Manila e forniranno sostegno logistico.

Per il ministro filippino degli Esteri Albert del Rosario si tratta di “una pietra miliare nella storia condivisa di una solida alleanza” fra i due Paesi e di un “innalzamento” di un “ulteriore livello” della cooperazione militare. Un rapporto essenziale “per la pace e la stabilità nella regione Asia-Pacifico”.
Ad acuire il fronte di scontro, la decisione del governo filippino di presentare un’istanza – depositata il 30 marzo scorso – al tribunale delle Nazioni Unite, in cui illustra i propri diritti e definisce “illegale” e “irrazionale” la cosiddetta “lingua di bue” usata da Pechino per marcare il territorio. La denuncia è inserita all’interno di un faldone di oltre 4mila pagine e contenente più di 40 mappe nautiche. Le autorità di Manila si basano sulle direttive tracciate dalla Convenzione Onu sui mari (Unclos), secondo cui la Cina non può oltrepassare le 200 miglia di Zona economica esclusiva (Eez) e interferire nei propri diritti legittimi. Il governo cinese rilancia il principio delle trattative bilaterali per dirimere la questione e ricorda la propria posizione di forza e di predominanza nella regione Asia-Pacifico.

Nel Mar cinese orientale la Cina lotta da tempo col Giappone per la sovranità sulle isole Senkaku/Diaoyu; con le Filippine lotta per le Scarborough Shoal. Nel Mar Cinese meridionale Pechino si vuole arrogare la sovranità delle Spratly e delle isole Paracel, oggetto di rivendicazioni territoriali dei governi di Vietnam, Brunei, Filippine, Malaysia e Taiwan. L’egemonia che Pechino cerca di imporre riveste un carattere strategico per il commercio e lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un’area strategica per il passaggio dei due terzi dei commerci marittimi mondiali. Le isole, quasi disabitate, sono assai ricche di risorse – petrolio e gas naturali – e materie prime. La controversia interessa a vario titolo anche India, Australia e Stati Uniti, con interessi contrapposti e alleanze incrociate che fanno della regione Asia-Pacifico uno dei punti più caldi a livello geopolitico.In ambito militare la Marina filippina ha già annunciato un piano per il potenziamento della base militare navale di Oyster Bay (nella foto a sinistra), situata sulla costa occidentale dell’isola di Palawan. I lavori avranno un costo di 11,5 milioni di dollari e dovrebbero essere conclusi entro il 2016. Ubicata a 550 km da Manila, Oyster Bay dista solamente 160 km dalle Isole Spratly, contese tra Filippine, Cina e gli altri Stati rivieraschi.

L’espansione della base fa parte di un più ampio potenziamento dello strumento militare filippino e, in particolare, di quello navale, spinto dal progressivo inasprirsi delle contese territoriali e dal generale riscaldamento politico e militare dell’intera area. La nuova installazione, oltre ad accogliere parte della rinnovata flotta filippina e alleviare il carico operativo della base di Subic Bay, verrà utilizzata anche dalle forze statunitensi e potrebbe diventare una base di rischieramento per le quattro Littoral Combat Ship destinate a venire basate a Singapore. Washington ha stanziato nel dicembre scorso 40 milioni di dollari in tre anni per potenziare l’assistenza militare alla Marina filippina nell’ambito di un programma di contenimento della minaccia navale cinese che prevede aiuto per 18 milioni di dollari (e 5 pattugliatori) destinati alla Guardia Costiera vietnamita.Paradossalmente fu proprio il governo filippino allp0iniuzio degli anni ’90 a imporre agli Stati Uniti di sgomberare la base aerea di Clark Field ve quella navale di Subic Bay controllate da Washington fin dall’inizio del secolo scorso dopo la guerra contro la Spagna.

Negli ultimi due anni la Marina filippina ha ricevuto dagli Stati Uniti due cutter di seconda mano ex U.S. Coast Guard  da 3.200 tonnellate (classe Hamilton) e schiera ancora un vecchio caccia di scorta della Seconda Guerra mondiale classe Cannon (nella foto a sinistra). A queste unità si aggiungono 3 pattugliatori ex Royal Navy classe Peacock, 8 vecchi dragamine ex Us Navy impiegati come corvette/pattugliatori, una decina di navi da sbarco e due dozzine di motovedette. Nessuna unità navale filippina è dotata di armamento missilistico. Ulteriori discussioni relative a nuove unità navali, sono in corso anche con la Corea del Sud (6 corvette) e il Giappone, mentre rimane per ora sullo sfondo l’interesse di Manila per almeno 2 fregate e un sottomarino circa i quali era trapelato l’anno scorso un interessamento nei confronti delle Maestrale e dei Sauro che la Marina Militare italiana sta radiando. Quest’ultimo programma, che interessa anche Francia, Corea del Sud e India, procede a rilento a causa delle limitate risorse economiche di Manila che cerca nel limite del possibile di migliorare le dotazioni di tutte le forze armate. L’anno scorso le Filippine hanno stanziato 8,2 milioni di dollari per acquistare dall’israeliana Elbit 12 obici carrellati Soltam Athos da 155 mm (gittata massima 41 chilometri) e relative munizioni per ammodernare l’artiglieria dell’esercito.

Foto: AP e Marina Filippina

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