La nuova uniforme da combattimento americana OCP in 3D

Lo scorso 31 luglio l’Esercito statunitense ha ufficialmente annunciato la sostituzione, a partire dal 2015, dell’attuale uniforme da combattimento in camouflage digitale UCP (Universal Camouflage Pattern) con un nuovo mimetismo denominato OCP (Operational Camouflage Pattern) o Scorpion W2, sviluppato presso il NSRDEC (U.S. Army Natick Soldier Research Development & Engineering Center).
Va detto che l’attuale uniforme, adottata nel 2004, per la sua colorazione fin troppo innovativa (“mai adatta in nessun luogo”), non è mai stata amata dai militari americani che le hanno sempre preferito altri mimetismi al punto che, fin dal 2010, ai soldati impiegati in Afghanistan, prima alle Forze Speciali e poi diffusamente a tutto il personale, è stato distribuito un modello denominato “Operation Enduring Freedom Camouflage Pattern” o Multicam, di mimetismo abbastanza simile a quello di nuova adozione.

La policromia di quest’ultimo è di concezione, se si può dire così, tradizionale, con prevalenza di marrone, giallo e verde in tonalità chiara.

E’ basata su una colorazione di fondo (cream 524) ed altre sei in sovrapposizione (tan 535, pale green 526, olive 527, dark green 528, brown 529, dark brown 530) che conferiscono una certa omogeneizzazione d’insieme (la corrispondente uniforme italiana in policromia vegetata è invece basata su quattro colori: kaki, verde, marrone e bruno, sviluppati su fasce orizzontali).

Il tessuto è un misto cotone/poplin nylon con caratteristiche wind-resistant, secondo le specifiche tecniche MIL-DTL-44436B fissate dalla Defense Logistic Agency,normalmente previste per i capi militari.
Rispetto alla precedente versione, la nuova uniforme da combattimento (in acronimo ACU, Army Combat Uniform) prevede anche alcune varianti nella foggia, tra cui l’ampliamento di alcune tasche, l’eliminazione delle chiusure con nastro velcro (sostituite con chiusure a zip) ed eliminazione di alcuni rinforzi ritenuti non necessari (gomiti, ginocchia).

In abbinata all’uniforme, come peraltro è per il modello attuale, dovrebbe essere prevista una versione flame-resistant (FRACU) oltre ad una combat-shirt, anch’essa flame-resistant, da indossare sotto il giubbetto anti-proiettile.

Riguardo la produzione ed il confezionamento, un’importante novità potrebbe venire dall’applicazione della tecnologia di stampa 3D.

Secondo Annette LaFleur,(foto a sinistra) responsabile di progetto presso il centro ricerche dell’Esercito NSRDEC, questa possibilità presenterebbe diversi vantaggi, a cominciare dalla funzionalità.  – “Si potrebbero utilizzare insieme filati morbidi e rigidi in un unico disegno, realizzando in questo modo parti di maggior leggerezza ed altre più resistenti e protettive, cosa difficilmente ottenibile con un tessuto normale”- Le uniformi potrebbero inoltre essere addirittura conformate per ciascun soldato realizzando un attagliamento pressoché perfetto, riuscendo forse in questo modo anche a ridurne il peso.

Infine, si potrebbe arrivare a creare addirittura l’uniforme direttamente presso i reparti o nei teatri di operazione, con conseguente contenimento delle relative attività logistiche (immagazzinamento, trasporto, consegna).

Sono comunque ipotesi futuribili e lontane, o è qualcosa di molto più prossimo?  Va detto che il governo USA sostiene attivamente la ricerca in questo settore. Nello scorso mese di ottobre sono stati infatti annunciati nuovi stanziamenti per 300 mln di dollari, in parte destinatati anche al Ministero della Difesa, per lo sviluppo delle nuove tecnologie nel settore manifatturiero. Le Forze Armate USA già da tempo stanno sperimentando  le potenzialità della stampa 3D al punto che, oltre alle uniformi ed ai capi di equipaggiamento in genere, se ne prevedono applicazioni per la produzione di cibo e addirittura di tessuto cutaneo a scopi chirurgici.

Per il cibo il centro pilota NSRDEC (vedi sopra), anziché riferirsi alle apparecchiature di diversa capacità oggi in commercio, intende sviluppare un proprio progetto dedicato in collaborazione con il MIT (Massachusetts Institute of Technology), che si prevede finalizzato tra il 2018 ed il 2019.

Per quanto riguarda invece le uniformi, stante l’analoga esigenza di un progetto dedicato in via esclusiva alla Forza Armata, la tempistica è ancora da definire, e dovrebbe seguire presumibilmente gli stessi sviluppi.

Nel frattempo il centro ricerche dell’Esercito americano (ARL, US Army Research Laboratory)  già considera le ulteriori potenzialità della prossima frontiera tecnologica rappresentata dalla stampa 4D in cui, alle tre dimensioni spaziali lunghezza, larghezza ed altezza, se ne aggiunge una quarta, quella temporale, per cui gli oggetti sono ancora possibili di modificazione dopo la loro produzione in modo pressoché autonomo, in risposta a fattori ambientali quali l’esposizione all’acqua o alla temperatura. “Materiali intelligenti” che possono cambiare le loro proprietà sono già stati sviluppati, si tratta ora di adeguare le innovazioni alle specifiche esigenze militari.

Un abito che cambia colore può certo ottenere un positivo exploit commerciale, ma un’uniforme che assorbe la colorazione dell’ambiente circostante nascondendo completamente un soldato può rappresentare, sul terreno, un vantaggio senza eguali.

Padovano, classe 1954, è Colonnello dell'Esercito in Ausiliaria. Ha iniziato la carriera come sottufficiale paracadutista. Congedatosi, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza ed è rientrato in servizio come Ufficiale del corpo di Commissariato svolgendo incarichi funzionali in varie sedi. Ha frequentato il corso di Logistic Officer presso l'US Army ed in ambito Nato ha partecipato nei Balcani alle missioni Joint Guarantor, Joint Forge e Joint Guardian.

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