Terrorismo islamico: decine di sospetti in Italia

di Lorenzo Attianese e Matteo Guidelli      ANSA

Decine di soggetti a rischio, uomini e donne che vivono, e spesso lavorano, in Italia e che potrebbero trasformarsi in potenziali jihadisti: è un lungo elenco quello che antiterrorismo e intelligence aggiornano costantemente per cercare di evitare attacchi come quelli che hanno sconvolto Parigi.

Tra loro, dicono quelli che da tempo sono sulle loro tracce seguendone i movimenti, anche sul web, ci sono magrebini tra i 25 e i 35 anni, marocchini, algerini e tunisini in Italia da qualche anno, ma anche italiani convertiti all’islam, migranti di seconda generazione, spesso giovanissimi, veterani delle guerre di Bosnia e Afghanistan tornati nel nostro paese negli anni scorsi e che potrebbero ripartire per i fronti della Siria e dell’Iraq, predicatori. Né da parte di questi soggetti, né dalle informative dei servizi esteri, ribadiscono fonti qualificate, arrivano segnali concreti di progettualità in corso o elementi che possano far ritenere che sia in atto la pianificazione di una azione sul nostro territorio.

Ma questo non vuol dire nulla per chi deve fare prevenzione. Perché chi indaga sa bene che ciascuno di loro potrebbe “attivarsi” da un momento all’altro, senza bisogno di un input preciso. Le indagini puntano dunque a tenere sotto costante osservazione i loro movimenti e a capire se siano affiliati ad organizzazioni terroristiche, cercando di mettere in luce i loro rapporti con l’Isis o altre formazioni estremiste e tracciare le rotte dei miliziani che intendono combattere la guerra santa in Europa.

Secondo gli investigatori sarebbero dislocati in maniera sparsa “in varie regioni del Paese” dove è più radicato l’estremismo di matrice islamica: alcuni ambienti a Milano, Bergamo e Brescia, in Piemonte e Veneto, in Toscana e in Emilia Romagna, a Roma e Napoli. L’elenco dei soggetti più a rischio è fluido e viene costantemente aggiornato in base alle informazioni raccolte con le indagini sul territorio, il monitoraggio della rete, le informative provenienti dai servizi alleati e lo scambio di informazioni con le forze di polizia degli altri paesi.

Molti di questi “insospettabili” vivono isolati dal resto delle comunità islamiche di riferimento, che considerano “troppo indulgenti e deboli nei confronti del mondo occidentale”.

Per loro, e per quelli che invece vivono integrati con il resto della comunità, il proselitismo e lo scambio di informazioni avviene tramite la rete. La maggior parte di loro, infatti, si è formata e radicalizzata attingendo alla propaganda dei siti e dei forum jihadisti che vengono costantemente alimentati dall’odio antioccidentale.

Fanno eccezione i reduci delle guerre di una quindicina di anni fa, che hanno una formazione non solo ideologica ma anche militare di un certo spessore. E hanno, in diversi casi, mantenuto i contatti con i reclutatori al di là dell’Adriatico.    Dopo gli attacchi di Parigi, sottolinea chi indaga, l’attività dei presunti terroristi si è inabissata più di prima nel silenzio.

E’ probabile per il clamore mediatico suscitato dagli attentati e dal timore di una stretta dei controlli. Ma il silenzio è qualcosa che preoccupa sempre non poco chi deve fermare i potenziali terroristi prima che seminino il terrore.

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