UE E USA “NEMICI” COMUNI PER RUSSIA E TURCHIA

da Il Mattino del 10 agosto

Le divergenze tra Mosca e Ankara restano definite, soprattutto rispetto al conflitto siriano, ma le due ore di faccia a faccia tra Recep Tayyp Erdogan e Vladimir Putin a San Pietroburgo hanno probabilmente aperto una nuova era non solo per le relazioni bilaterali ma anche per la collocazione strategica della Turchia.

Solo pochi mesi or sono russi e turchi sembravano sull’orlo della guerra in seguito all’abbattimento di un bombardiere Sukhoi Su-24 lungo il confine siriano, ma l’espressione “mio caro amico” rivolta ieri da Erdogan a Putin la dice lunga su come sia cambiato rapidamente lo scenario.

Dopo il fallito golpe militare Erdogan ha pragmaticamente dovuto ammettere di non avere più amici in Occidente: a differenza di Mosca, americani ed europei hanno infatti atteso la vittoria dei lealisti per condannare blandamente il tentativo di colpo di Stato militare.

Anche la brutalità ostentata delle rappresaglie effettuate da Erdogan nelle settimane successive, con migliaia di arresti, 60 mila dipendente pubblici rimossi e l’ostentato ripristino della pena di morte “se il popolo lo vorrà”, indicano chiaramente la volontà turca di provocare l’Europa mostrando un disprezzo nei suoi confronti che potrebbe presto tradursi i nuove ondate migratorie sulla ritta balcanica.

L’opportunità di offrire un appiglio a una Turchia in crisi con i suoi storici alleati è stata colta con scaltrezza da Putin, che ha parecchi sassolini da togliersi dalle scarpe nei rapporti con gli USA e la Ue tra minacce militari e sanzioni economiche.

Per Mosca inserire la Turchia in un nuovo asse di alleanza che include anche l’Iran significherebbe strapparla al suo tradizionale ruolo di baluardo dell’Occidente tra il Mediterraneo Orientale, il Mar Nero e il Medio Oriente. Sul piano militare la Turchia del post golpe è già oggi fuori dalla NATO non solo per la piega che ha preso la già debole democrazia turca ma anche perchè non c’è più alcun fiducia da parte dei turchi nei confronti degli alleati.

La “defezione” turca inoltre esporrebbe ulteriormente la Grecia, già alle corde sul piano economico grazie alle “cure” imposte da Bruxelles e Fondo monetario internazionale, “invasa” da migranti e profughi e da tempo corteggiata da Mosca.

Anche se non dovesse esserci a breve termine un’uscita formale di Ankara dall’Alleanza Atlantica l’affidabilità turca pare comunque compromessa con tutte le potenziali conseguenze per la sicurezza e l’intelligence NATO e la base statunitense di Incirlik nei cui bunker sono conservate 50 bombe nucleari B-61-11.

“Io e il mio caro amico signor presidente abbiamo una posizione comune, la volontà di mostrare al resto del mondo che agiremo come Paesi amici” ha detto ieri Erdogan nella prima visita all’estero dopo il tentato golpe. Un dettaglio che rafforza le voci su una soffiata dell’intelligence russo che avrebbe intercettato le comunicazioni dei golpisti e avvertito Erdogan.

La circostanza è stata naturalmente smentita da Ankara ma che i rapporti russo-turchi abbiano oggi anche una inaspettata valenza militare è stato confermato dallo stesso Erdogan che ha precisato l’intenzione “promuovere la cooperazione nel settore dell’industria della difesa”.

Un aspetto strategico di grande rilevanza e che preoccupa la Nato, considerato che Ankara si è sempre rivolta in Occidente per le acquisizioni di armi e sta portando avanti un ambizioso programma autarchico che dovrebbe rendere l’industria della difesa nazionale autonoma dalle importazioni entro il 2023.

Washington guarda inoltre con preoccupazione al diktat di Ankara che chiede la consegna di Fetullah Gulen (nella foto sotto), considerato l’ispiratore e il regista del fallito golpe di metà luglio, altrimenti “sacrificheranno le relazioni on la Turchia” come ha detto il ministro della Giustizia Bekir Bozdag.

Non meno strategico il peso del rinnovo del progetto Turkish Stream, il gasdotto che porterà energia russa in Turchia (e probabilmente anche in Grecia) bloccato dopo l’abbattimento del Sukhoi.

“Sin dall’inizio abbiamo considerato il Turkish Stream non un’alternativa al South Stream (che doveva portare il gas russo direttamente in Europa passando dalla Bulgaria, progetto cancellato dopo le sanzioni Ue – ndr), ma un’opportunità per espandere la nostra cooperazione nell’area del gas da fornire all’Europa e alla Turchia”, ha dichiarato Putin precisando che la ripresa delle relazioni con Ankara sarà graduale nel “difficile lavoro per rianimare la cooperazione economica”.

Il summit è stato volutamente improntato, da ambo le parti, a mostrare al mondo un’intesa bilaterale con il duplice obiettivo di irritare Usa e Ue e rassicurare quanti in Russia guardano con diffidenza ad Erdogan.

Anche per questa ragione al tema più scottante che divide Ankara e Mosca, il conflitto siriano, è stata dedicata una riunione separata con i due presidenti, i ministri degli Esteri, Serghei Lavrov e Mevlut Cavusoglu e i capi dei servizi d’intelligence.

Mosca ha posto in rinnovo parlamentare la missione militare in Siria il cui dispiegamento sembra essere perenne e non temporaneo, come chiesto da Damasco.

Ankara continua a sostenere i ribelli islamisti dell’Esercito della Conquista che crollerebbero senza i rifornimenti arabi e turchi che affluiscono dal confine turco.

Persino la posizione comune tra Mosca e Ankara di “voler combattere il terrorismo” assume sfumature diverse considerato per Erdogan i “terroristi” sono anche i curdi e le forze di Damasco mentre per Putin lo sono tutti i gruppi jihadisti inclusi quelli sostenuti dalla Turchia.

Nonostante divergenze che appaiono insormontabili russi e turchi sono oggi i veri arbitri di quel conflitto: senza di loro nessuna intesa reggerebbe mentre un accordo bilaterale sulla crisi siriana spiazzerebbe le monarchie arabe del Golfo che guardano con sospetto l’avvicinamento di Erdogan all’asse con Russia e Iran: una svolta che rivoluzionerebbe gli equilibri strategici del Medio Oriente.

@GianandreaGaian

Foto: AP, Askanews, US DoD, Anadolu, Sputnik

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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