Trump: il nuovo Huntington?

L’improvviso voltafaccia del Presidente Trump a proposito della Corea del Nord potrebbe essere anche dovuto ad una mirabolante mossa di grande strategia, alla Kissinger, della nuova amministrazione di Washington. Una mossa tesa fra l’altro a bloccare il sempre più accentuato riarmo nipponico che è giustificato internazionalmente, dal governo di Tokio, dall’apparente pazziamme di Kim (in realtà, quest’ultimo, una strategia politica molto accorta e astuta).

L’esito finale della manovra in atto, se tutti i tasselli andassero al posto giusto, potrebbe anche essere una Corea riunificata, economicamente robusta, nucleare e missilistica, abitata da 80 milioni di cittadini workholic ad un livello impensabile altrove (un quarto dei quali abituati a condizioni di vita autenticamente spartane e a microsalari irresistibili per ogni multinazionale delocalizzante) e persino filoamericana. Il Sud per tradizione e imitazione socioculturale, il nord per riconoscenza e convenienza. Qualcosa del genere è già avvenuto per il Vietnam, un tempo acerrimo nemico di tutto ciò che era americano e oggi più filo yankee di Donald.

 

Verso una super Corea?

Una Corea del genere – armata fino ai denti, dotata di armamento atomico e senza alcun complesso di colpa- terrebbe sotto scacco le velleità del Sol Levante, mai veramente sopite, oltre a rivoluzionare le graduatorie geopolitiche planetarie.

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Soffermiamoci sul primo punto, poco evidente ma interessante, se si analizzano con cura tutti i parametri della questione. Occorre considerare che la Corea è sempre stata fortemente antipatizzante del Giappone, come e più della Cina, e con maggiore successo. In passato questa avversione si è espressa attraverso conflitti terribili, anche navali. Le acque fra i due nemici hanno per esempio visto alla fine del ‘500 il primo vero modello di corazzata, detta “nave testuggine” (kobukson), impiegata con successo dall’ammiraglio coreano Yi Sun Sin contro le flotte nipponiche.

Più recentemente, nel Novecento, la penisola coreana è rimasta sotto il duro tallone dei soldati del Tenno che l’hanno occupata per mezzo secolo. L’aspra e recente polemica sulle “confort women”, le migliaia di donne coreane non necessariamente prostitute, forzate alla professione più antica del mondo per soddisfare le esigenze sessuali “combat” dei soldati giapponesi, nella seconda guerra mondiale, è l’ultimo capitolo di una faida secolare.

Né la Corea del sud né la sua germana settentrionale, peraltro, sono minimamente affette dalla sindrome pacifista che ha infettato il Giappone dopo il ‘45, courtesy l’occupante americano. Oltre ad aver combattuto un conflitto terribile a metà del secolo scorso, dal quale non sono mai formalmente usciti, entrambe le nazioni sono rimaste sul piede di guerra per quasi settant’anni e dispongono dei dispositivi militari più combat ready esistenti, eccettuate forse le unità di punta russe, americane e israeliane.

 

La rinnovata potenza nipponica

C’è da dire che dietro il paravento del pacifismo eteroimposto, il Giappone è sempre uno dei paesi più assertivi e orgogliosi del mondo, consapevole del proprio valore e convinto di aver tutto sommato subito un torto storico, nelle fasi che hanno seguito la Seconda Guerra Mondiale.

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Il suo popolo non si è mai colpevolizzato, come quello tedesco, per la partecipazione al conflitto, Pearl Harbour incluso. Ha ammesso la sconfitta ma non l’infamia nè tantomeno l’aggressione. Non ha nessuna Shoa da farsi perdonare: le durezze espresse dalle sue armate in Cina e dai responsabili dei campi di concentramento dove venivano detenuti i prigionieri alleati non sono paragonabili ad essa, e hanno come contraltare gli spietati bombardamenti terroristici dell’USAAF sulle città dell’Arcipelago. I sudditi del Tenno sono fermamente convinti, non con poche ragioni, che sono stati costretti alla guerra dalle sanzioni americane della primavera del ‘41, veramente un diktat esiziale.

Non è inverosimile ritenere che prima o poi rialzeranno la testa e sicuramente la demonizzazione della Corea del Nord di questi decenni agevola questo processo. Viene discussa seriamente, nel Paese, l’ipotesi di dotarsi di un armamento nucleare, utilizzando l’immenso stock di plutonio prodotto dalle sue innumerevoli centrali nucleari e le tecnologie di punta in possesso della sua industria.

Le ragioni strategiche sono evidenti e indubitabili: in Asia sono schierate forze nucleari di sei paesi – USA, Russia, Corea del Nord, Cina, India, Pakistan (o sette, se consideriamo Israele)-alcuni dei quali assai pericolanti e pericolosi, e non esiste una organizzazione di sicurezza multilaterale come la Nato in Europa che assicuri e diffonda stabilità, anche nei confronti dei potenziali avversari.

Tuttavia le remore interne, politiche e culturali sono molto forti, anche per l’eredità di Hiroshima a Nagasaki, come anche i sospetti dei paesi asiatici circa le possibili rinnovate aspirazioni egemoniche del Sol Levante, e quindi per ora si tratta solo di discussioni accademiche. Resta il fatto che ove il governo di Tokio decidesse per la Bomba, in pochi mesi essa si tradurrebbe in realtà, probabilmente in modalità tali da stupire il mondo, data la modernità dell’high tech del Paese. Analogo discorso si può far per l’indispensabile corredo missilistico che forzatamente accompagna qualsiasi velleità nucleare.

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Il Giappone non ha mai messo in linea missili balistici strategici, ma ha costruito vettori spaziali di prestazioni equivalenti a quelli americani, russi ed europei, e quindi ha pieno controllo sulle tecnologie più avveniristiche del settore

In attesa di compiere questi passi decisivi, le forze armate nipponiche sono state potenziate dietro la foglia di fico dell’acronimo pacifista che denomina il suo strumento militare e sotto il profilo convenzionale sono le più moderne ed efficienti del continente asiatico. Stanno cadendo ad una ad una le restrizioni all’impiego offensivo dei loro dispositivi militari, velivoli da combattimento in primis, come anche la possibilità di esportare materiale d’armamento.

Il massimo del simbolismo è stato conseguito con l’entrata in linea di 4 portaerei leggere con possibilità di imbarco di F 35B, una delle quali è stata battezzata “Kaga”, come una delle portaerei che attaccarono Pearl Harbour.

 

I negoziati Trump-Kim

Cosa c’entra tutto questo con le recenti iniziative di Trump nei confronti della Corea del Nord? Forse poco o forse molto, incidentalmente o meno.

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Dalla dirigenza americana, e soprattutto dall’intellighenzia strategica che ne determina le mosse, a prescindere dall’inquilino del momento della Casa Bianca, il Giappone è stato sempre visto in modo bivalente: come il più formidabile alleato dello Zio Sam in Asia Pacifico, soprattutto durante la Guerra Fredda, o come il più pericoloso e insidioso rivale, l’unico paese che in un momento, magari per pochi mesi, ha inflitto alle forze armate statunitensi la più devastante sconfitta che abbiano mai subito, mettendo in discussione l’equilibrio di potenza dell’area.

Nonché l’unico attore geopolitico capace di fornire ai numeri asiatici – leggasi “Cina – il valore aggiunto del quale avrebbero bisogno per espellere definitivamente l’egemonia statunitense dalla Mainland asiatica, rovesciando nel contempo le gerarchie geopolitiche del pianeta. Questo senza contare, per inciso,  lo sbilancio tradizionale della bilancia del pagamenti fra i due paesi e l’invasione della  tecnologia e dei prodotti nipponici in Nordamerica.

Si tratta in particolare dell’ipotesi – assai autorevole, peraltro, dato il suo originatore – che Samuel Huntington aveva avanzato nel suo celeberrimo “Clash of civilization”, nel quale si sostiene che la principale fonte di conflitti nel mondo post-Guerra fredda diventeranno le identità culturali e religiose.

Il nuovo Millennio sembra avergli dato parzialmente ragione, almeno per quanto riguarda l’identità islamica versus quella giudeo-cristiana di matrice occidentale. Potrebbe succedere anche in Asia, dove la principale di queste identità si concretizza, secondo l’illustre politologo di Harvard, nel blocco “sinico”, ovvero Cina+ Giappone.

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Se la Cina è esplicitamente identificata come nemico geopolitico degli USA, in particolare da questa amministrazione, con tutti i provvedimenti del caso, sul Giappone nessuno si è sbilanciato. Nulla di meno inverosimile che all’enfant terrible che abita la Casa Bianca, già noto siluratore di consiglieri speciali e, cosa dell’altroieri, segretari di stato (il quale in questo caso si rivelerebbe molto più smart di quanto ritengono i suoi detrattori), Yonhap, sia venuta la tentazione di svelare la nudità del re, twittando quello che molti pensano ma che pochi osano esplicitare.

Ovvero che non sarebbe male se una sdrammatizzazione della penisola coreana, più che auspicabile per i noti motivi, avesse come sottoprodotto incidentale il blocco dei pretesti che stanno portando ad un completo riarmo nipponico nonchè la nascita, nei paraggi, di una grande potenza già nucleare, meno assertiva del Giappone, potenzialmente più vicina agli USA e soggetta alla sua influenza, ed in grado di porsi come vero contrappeso di un alleato molto ambiguo.

Foto: Yonhap, KCNA e Japan Self-Defence Forces.

Ufficiale di Marina in spirito ma in congedo, ha fatto il funzionario Nato e il dirigente presso aziende attive nel settore difesa. Scrive da quasi un quarantennio su argomenti navali, militari, strategici e geopolitici per pubblicazioni specializzate e non. Vive a Roma.

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