Difesa: meglio “fare sistema”

(aggiornato il 22 settembre ore 9,30)

La decisione di tagliare il numero di cacciabombardieri F-35 destinati ad Aeronautica e Aviazione Navale, confermata a inizio settembre dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta (M5S) in un’intervista al Corriere della Sera, solleva qualche perplessità legata anche al contesto in cui la notizia è stata resa nota.

“Posso anticipare che stiamo lavorando verso una riduzione, coerentemente con quanto avevamo detto” ha dichiarato il ministro senza precisare quanti dei 90 velivoli previsti (sui 131 inizialmente in programma) verranno decurtati né se i tagli riguarderanno i 60 in versione A convenzionale o anche i 30 in versione B a decollo corto e atterraggio verticale.

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Al di là del suo valore operativo, Analisi Difesa ha sempre sostenuto che l’aereo di Lockheed Martin non costituisce un buon affare per l’Italia: ha costi ancora indefiniti ma incompatibili con il risicato bilancio difesa, ci pone in sudditanza tecnologica nei confronti degli Usa proprio mentre si fa un gran parlare di difesa europea e comporta ricadute tecnologiche e occupazionali risibili per l’industria.

I problemi ancora da risolvere e i costi fuori controllo inducono anche Londra e pure il Pentagono a valutare tagli alle flotte di F-35 ma annunciare ora la riduzione dei velivoli italiani potrebbe costituire un autogol per le aspettative della nostra industria sul mercato americano.

Grazie anche agli ottimi rapporti bilaterali sanciti dagli incontri tra Donald Trump e Giuseppe Conte, l’Italia ha forse qualche possibilità che l’addestratore T-346 di Leonardo si imponga nella gara TX della US Air Force o che le fregate Fremm di Fincantieri vengano scelte dall’Us Navy, o che l’Usaf scelga elicotteri SAR italiani.

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L’esito della gara per l’addestratore verrà reso noto entro fine settembre, quindi la dichiarazione del ministro Trenta rischia di fare un regalo a Lockheed Martin e Boeing, rivali di Leonardo nel programma TX, che potranno far valere il peso decrescente di Roma come acquirente di prodotti militari statunitensi. Un tema caro a Trump che punta sull’export militare per riequilibrare i rapporti commerciali tra gli Usa e molti Stati alleati.

D’altra parte l’eventuale esclusione dei prodotti “made in Italy” da queste commesse giustificherebbe la decisone italiana di tagliare (anche in modo più che consistente) la commessa degli F-35, in base al principio di reciprocità che oppone al “buy american“ di Washington un sano “buy italian” di Roma.

Annunciato ora, il taglio degli F-35 tricolore rischia invece di pregiudicare i prodotti italiani in un mercato già ostico come quello Usa.

M-346 FA in volo

Non è chiaro se gli F-35 a cui rinunceremo verranno sostituiti da velivoli di produzione nazionale, come i caccia leggeri M-346FA (ideali per rimpiazzare gli AMX impiegati in Iraq e Afghanistan) o l’ultima versione del Typhoon, di cui siano produttori all’interno del consorzio europeo Eurofighter: acquisti che favorirebbero l’export.

Il programma del M5S prometteva di tagliare i fondi per “gli armamenti offensivi” per investirli in non meglio precisati “strumenti innovativi”, forse riferiti non solo alla cyber difesa.

Il ministro Trenta, citata da Formiche.net, ha detto di voler “salvaguardare quella ‘competenza sovrana’ della quale il Paese deve essere autonomamente dotato, e affermare il principio per cui la progettazione, lo sviluppo e la produzione delle tecnologie pertinenti a quella competenza dovranno essere mantenute sul territorio nazionale, sia per la sicurezza della catena di approvvigionamento sia per sostenere la crescita nel Sistema Paese”.

Il comparto Difesa e Sicurezza impone a politica, forze armate e industria di “fare sistema”. Sinergie necessarie a garantire prestigio, influenza nazionale e successo del “made in Italy” che però nei fatti a volte sembrano latitare.

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Il ministro Trenta ha appena annunciato attraverso i social media, di aver chiesto chiarimenti alla Farnesina circa l’export di ordigni prodotti in Italia per le forze aeree saudite che li impiegano anche nel conflitto yemenita.

Un tema già più volte emerso negli ultimi anni e a cui anche il precedente governo ha risposto negando, con comunicati della Farnesina, ogni violazione della Legge 185, ricordando che Riad è membro della Coalizione anti-Isis e non è soggetta a sanzioni Onu e sottolineando che i nostri principali alleati nella NATO forniscono armamenti alla monarchia araba in misura ben maggiore dell’Italia.

“Fino ad ora, erroneamente – sottolinea Trenta – si era attribuita la paternità della questione al ministero della Difesa, mentre la competenza è del ministero degli Affari Esteri (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento-Uama), al quale venerdì scorso ho inviato una richiesta di chiarimenti, sottolineando – laddove si configurasse una violazione della legge 185 del 1990 – di interrompere subito l’export e far decadere immediatamente i contratti in essere. Contratti firmati e portati avanti dal precedente governo. Sono sempre stata convinta, ed oggi ancora di più, che fermare le guerre è importante, anche per fermare i flussi migratori” ha aggiunto il ministro.

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Difficile però credere che anche un ipotetico stop alla fornitura delle bombe prodotte da RWM (Gruppo Rheinmetall) nello stabilimento sardo di Domusnovas possa cambiare le sorti del conflitto yemenita o addirittura interromperlo  consiserando anche l’ampio numero di Stati che forniscono armi e ordigni a Riad: l’unico impatto certo e immediato di una simile decisione si avvertirebbe sull’azienda italiana e sui relativi posti di lavoro.

Non a caso la risposta del sottosegretario agli Esteri, Guglielmo Picchi (Lega), che ha anche la delega per l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama), è stata netta.

Picchi, ripreso dal sito Formiche.net, ha sottolineato che “il processo autorizzativo italiano per l’export di materiali difesa con l’Arabia Saudita è rigoroso e coinvolge pienamente il ministero della Difesa. Se cambia l’indirizzo politico, il governo sia consapevole di ogni conseguenza negativa occupazionale e commerciale. Chi vuole nuove norme su export di materiali di armamento presenti proposte in parlamento e non chatti sui social. Altrimenti è abbaiare alla luna”.

Del resto un’analisi bilanciata di quella guerra imporrebbe di tenere conto anche dei missili balistici lanciati dai ribelli Houthi (sostenuti dall’Iran) contro il territorio saudita e della valutazione che le vittime tra la popolazione sono una triste prerogativa di tutti i conflitti, specie quelli civili e anti-insurrezionali.

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Un altro recente esempio di disallineamento nella Difesa italiana viene dal Belgio, dove l’americano F-35 è in gara con il francese Rafale e il Typhoon costruito anche dall’Italia per sostituire i vecchi F-16.

All’air show che si è tenuto in questi giorni a Kleine Brogel, l’Aeronautica Italiana ha partecipato con un F-35, una scelta pubblicizzata da Lockheed Martin e celebrata dall’ambasciatore Usa a Bruxelles, Ronald J. Gidwitz, (stranamente non se ne trova traccia però tra le news sul sito dell’Aeronautica) ma a dir poco imbarazzante nei confronti dell’industria italiana, peraltro di Stato, che il Typhoon lo produce e lo esporta.

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Certo, eventuali F-35 belgi verrebbero assemblati probabilmente in Italia, alla FACO di Cameri (Novara) ma si tratterebbe di un business non paragonabile al ritorno che l’industria italiana avrebbe dall’acquisto di Typhoon da parte di Bruxelles.

Né certo all’Aeronautica mancavano i Typhoon (ne bastava uno) da affiancare, sulla pista di Kleine Brogel, al velivolo dello stesso tipo inviato dai britannici.

Anche Londra ha acquistato gli F-35 ma in Belgio il ministero della Difesa, la Royal Air Force e l’industria hanno “fatto sistema” sostenendo e promuovendo il prodotto nazionale, non quello americano.

@GianandreaGaian

Foto: Lockheed Martin, ANSA, Analisi Difesa, Flightline e Difesa.it

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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