L’accordo nel nord della Siria che fa vincere tutti (o quasi)

Gli spiragli per una soluzione rapida della crisi siriana che emergono dopo l’intesa raggiunta tra il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e il vice presidente statunitense Mike Pence sono ancora tutti da confermare nei fatti ma  hanno registrato subito il risultato di spiazzare l’Unione Europea che ieri sera condannava “l’azione militare unilaterale della Turchia nella Siriano orientale” ed esortava nuovamente Ankara a ritirare le sue forze e a rispettare il diritto internazionale umanitario”.

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L’intesa raggiunta da turchi e statunitensi ha coinvolto anche i curdi siriani (e probabilmente anche russi e governo di Damasco) e ha portato all’ immediata entrata in vigore una tregua di 5 giorni lungo tutto il tratto di confine turco-siriano tra Tal Abyad e Ras al-Ayn interessato finora dall’attacco turco

L’accordo prevede il ritiro delle Unità di difesa popolare curde (YPG) milizie curde dal confine con la Turchia e dalla cosiddetta fascia di sicurezza profondo una trentina di chilometri in territorio siriano. Una volta concluso il ripiegamento dei combattenti curdi (cominciato subito dopo la firma dell’accordo) le truppe di Ankara verranno rimpatriate. Ankara ha fatto sapere di aver raggiunto il proprio obiettivo, ovvero la costituzione di una safe zone lungo 120 dei 480 chilometri di confine.

“Il nostro obiettivo è sempre stato quello di liberare dai terroristi un’area profonda 32 km a est dell’Eufrate e costituirvi una safe zone” ha detto Erdogan.

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L’ accordo conta 13 punti e riguarda solo la striscia di circa 120 km di ampiezza, tra Tal Abyad e Ras alAyn, e 30-32 km di profondità oltre il confine turco-siriano, che ricalca la safe zone  che era stata concordata da Ankara e Washington prima del ritiro dei sodati americani e dell’ inizio dell’ offensiva. Una zona quindi ben più ristretta rispetto ai 480 chilometri di frontiera curda che Ankara aveva annunciato di voler occupare.

Del resto, in tutti gli altri settori del confine non inclusi nell’accordo Erdogan-Pence, sono già state schierate truppe governative siriane e forze russe, che hanno rapidamente oltrepassato l’Eufrate dopo il ritiro delle forze statunitensi.

Il destino del resto dei territori di confine nel nord della Siria, comprese Kobane e Manbij dove sono già presenti le forze siriane, resta escluso dall’accordo e verrà discusso il 22 ottobre a Sochi nel faccia a faccia tra Erdogan e Vladimir Putin. “Se la Russia insieme all’ esercito siriano toglie i miliziani curdi dell’ YPG dalla regione, non ci opporremo” ha fatto sapere Ankara.

RIA Novosti Reuters

I militari di Bashar Assad costituiscono da un lato la garanzia per i turchi che non vi saranno miliziani dell’YPG lungo il confine e per i curdi che Ankara non avrà ulteriori alibi per attaccarli e la loro popolazione potrà continuare a vivere nelle proprie case.

In attesa di chiarimenti circa l’intesa Erdogan-Pence appare chiaro che la striscia di territorio di confine tra Tal Abyad e Ras alAyn non potrà in futuro venire presidiata dalle milizie curde ma pare del tutto evidente che anche in questo settore saranno le truppe di Damasco e i loro alleati russi a garantire la sicurezza.

Nell’accordo tra Erdogan e Pence è stato evidenziato infatti che “Stati Uniti e Turchia ribadiscono il rispettivo impegno per l’unità politica e l’integrità territoriale della Siria”, una sorta di clausola di garanzia per Damasco sicuramente pretesa da Mosca oltre che imposta dal diritto internazionale.

D’altra parte è dal 15 ottobre che i militari russi stanno pattugliando la “linea di contatto” tra le forze siriane e turche nel nord-est della Siria. L’avanzata delle truppe di Damasco si è sviluppata rapida a est dell’Eufrate progressivamente col ritiro delle forze americane, britanniche e francesi.

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Le forze governative siriane hanno inoltre occupato le basi militari abbandonate dalle forze statunitensi nel nord-est, incluso l’aeroporto di Tabqa.

Un’azione troppo rapida per essere stata improvvisata e che ha richiesto una preparazione logistica adeguata: elementi che indicherebbero che russi e siriani (oltre agli statunitensi) già da tempo sapevano che Erdogan avrebbe lanciato l’attacco e che, come conseguenza, gli statunitensi si sarebbero ritirati imponendo ai curdi di chiedere aiuto a Bashar Assad.

Assicurando che non permetterà “alcuno scontro tra Turchia e Siria”, Mosca ha garantito il 16 ottobre anche che la Turchia è in contatto “in tempo reale” con Damasco, attraverso i rispettivi ministeri della Difesa, i servizi di intelligence e i ministeri degli Esteri. Affermazione che sembra anch’essa indicare l’esistenza di una regia congiunta dietro gli eventi dell’ultima settimana

Non a caso, parlando il 16 ottobre al gruppo parlamentare del suo partito, l’Akp, ad Ankara, il presidente turco aveva detto che “se i terroristi se ne vanno dalla zona di sicurezza” che la Turchia vuole creare ai suoi confini nel nord della Siria “l’operazione Fonte di pace finirà”.

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Sul piano strettamente militare va rilevato che nell’offensiva Ankara sta impiegando in prima linea soprattutto le milizie dell’Esercito siriano libero (ESL), nemiche giurate di Assad, con l’evidente obiettivo di ridurre al minimo le perdite tra le proprie fila.

Contro le forze di Assad le milizie dell’ESL verrebbero però annientate senza l’intervento diretto dei turchi. Inoltre queste milizie sono penetrate nel Rojava attratte dal bottino garantito dal saccheggio delle città curde (come accadde l’anno scorso ad Afrin) non certo per farsi sterminare dalle truppe di Assad o dai russi.

Insieme alla sorprendente prontezza operativa mostrata dalle truppe di Damasco nel proiettarsi sulla sponda orientale dell’Eufrate, la rapida messa a punto di una regia congiunta tra russi, siriani e turchi aumenta i sospetti che l’operazione turca “Fonte di pace” sia stata scatenata proprio con l’obiettivo di consentire a Trump di evacuare i suoi militari dalla Siria Orientale e porre le basi per una soluzione del conflitto gestita da Ankara e Damasco con la mediazione attiva di Mosca.

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Ipotesi suffragata anche dal fatto che poche ore prima che Damasco annunciasse l’intervento delle sue truppe, Erdogan si era detto certo che gli imminenti colloqui con Putin avrebbero permesso di trovare una soluzione alla crisi.

Coincidenze che permettono di ipotizzare che l’offensiva turca avesse lo scopo, concordato segretamente tra le potenze coinvolte in Siria, di imprimere una svolta alla situazione militare ormai incancrenita.

La soluzione che sembra configurarsi comporta vantaggi per tutti i contendenti. I turchi ottengono la messa in sicurezza del confine meridionale contro la minaccia dei “terroristi” curdi, Trump riesce finalmente a ritirare i militari della Siria e i curdi riescono limitare i danni, perdono il controllo militare del confine turco ma salvano 2,5 milioni di loro concittadini dalla “pulizia etnica” dei turchi e dei miliziani jihadisti arabi alleati Ankara che subirono l’anno scorso i curdi di Afrin.

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In questo contesto Assad e Putin appaiono come i veri vincitori anche di questa fase, forse risolutiva, del conflitto siriano. Assad compie un ulteriore, importante passo verso la riunificazione nazionale ma soprattutto emerge come l’uomo che ha salvato i curdi assumendo il ruolo di stabilizzatore con il supporto di quella Lega Araba che fino a ieri ne voleva la caduta.

Mosca invece emerge come la vera potenza di riferimento in Medio Oriente, immagine rafforzata dai viaggi di Putin in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti: un’area dove oggi è considerata più credibile e affidabile di Washington.

A uscirne già ora ridicolizzata è invece l’Europa, impegnata a esprimere condanne e valutare embarghi sulle forniture di armi ad Ankara ma senza effettuare nessuna azione concreta per difendere i curdi (protetti invece da Assad e Putin) e soprattutto senza venire minimamente coinvolta nei negoziati che stanno determinando l’esito della crisi.

@GianandreaGaian

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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