Se l’Iran punta di nuovo sulle armi nucleari

da Il Messaggero/Il Mattino del 7 gennaio

L’uccisione a Baghdad del generale Qassem Suleimani ad opera delle forze militari statunitensi ha indotto l’Iran a rilanciare la minaccia atomica con l’arricchimento dell’uranio su vasta scala, già più volte reiterata da quando l’amministrazione Trump ha denunciato il trattato JCPOA del 2015 con cui il regime degli ayatollah rinunciava alla “bomba” e mai violato da Teheran secondo i rapporti dell’Agenzia dell’ONU per l’energia nucleare (AIEA).

Da un lato l’Europa preme sull’Iran affinchè non receda dal trattato ma anche i paesi del Vecchio Continente, pur se con scarso entusiasmo, hanno alla fine aderito al diktat di Washington che ha imposto pesanti sanzioni economiche a Teheran che hanno colpito soprattutto il vitale export petrolifero.

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Donald Trump, ma anche il segretario generale della la NATO (di cui fanno parte tre potenze nucleari), Lens Stoltenberg, hanno ribadito nelle ultime ore che “l’Iran non potrà mai avere un’arma nucleare”.

Prima dell’entrata in vigore del Joint Comprehensive Plan of Action, (JCPOA) nel luglio 2015, gli esperti occidentali consideravano l’Iran ormai vicino alla realizzazione di ordigni nucleari: pochi anni secondo molti analisti statunitensi, appena un anno secondo gli israeliani mentre c’è chi non esclude che Teheran possieda già alcuni ordogni atomici.

Rapidi progressi sembravano trovare conferma nella considerazione che già prima del 2010 il programma atomico di Teheran era stato sensibilmente ritardato dall’attacco cyber realizzato congiuntamente da Stati Uniti e Israele con l’impiego del virus Stuxnet, che paralizzò il programma di arricchimento dell’uranio nella centrale di Natanz.

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Sulle valutazioni delle capacità iraniane di produrre armi atomiche influiscono da sempre anche pressioni politiche e interessi strategici tenuto conto che il Pentagono considera la disponibilità di tali armi in mano agli ayatollah un fattore di profondo squilibrio degli assetti geopolitici del Medio Oriente mentre Israele ritiene una simile ipotesi del tutto inaccettabile per la sopravvivenza stessa dello Stato ebraico.

Gerusalemme dispone di un vasto arsenale atomico, stimato in oltre 150 testate e decine di missili balistici (anche se non ha mai ammesso ufficialmente di possederlo) ma la sua limitata estensione geografica impone di impedire ad ogni costo ai suoi nemici di disporre di armi nucleari per la semplice ragione che la deflagrazione anche di una sola bomba atomica di tipo tattico cancellerebbe l’intero Stato ebraico.

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Una conferma indiretta della capacità iraniana di realizzare rapidamente armi atomiche la si evince dallo sviluppo del suo programma missilistico che punta alla realizzazione di missili balistici con gittata sempre più estesa come quelli della serie Shabab. Vettori che hanno già raggiunto una gittata di 4mila chilometri e che nei modelli in fase di sviluppo potrebbero raggiungere i 10 mila chilometri: armi che hanno un valore strategico solo se equipaggiati con testate nucleari.

Del resto i programmi balistico e nucleare hanno visto ampie sinergie tra Iran e Corea del Nord, un altro “stato canaglia” il cui regime considera l’arma atomica e i missili balistici come deterrente contro attacchi esterni.

Una cooperazione incentrata sulla tecnologia nucleare, sui missili a lungo raggio, sull’impiego di propellente solido per aumentare l’autonomia ma anche sulla produzione di testate atomiche, cioè sulla capacità di installare armi atomiche a bordo dei missili balistici.

Se l’Iran divenisse una potenza nucleare sarebbe molto più rischioso attuare contro di esso azioni militari, anche di tipo limitato o dimostrativo. Del resto proprio la caduta dei regimi di Saddam Hussein e di Muammar Gheddafi, che avevano rinunciato al nucleare, ha indotto negli anni scorsi Iran e Corea del Nord ad accelerare i rispettivi programmi atomici.

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Se Teheran arrivasse a disporre di armi nucleari nulla potrebbe impedire una “corsa alla bomba” in tutta la regione, specie presso i suoi rivali regionali sauditi ed emiratini. Riad ha finanziato in passato lo sviluppo delle armi atomiche pachistane ed è molto probabile che Islamabad possa fornirle al suo sponsor in caso di necessità. Dal 2008 i sauditi hanno inoltre acquisito un numero imprecisato di missili balistici a medio raggio cinesi DF-3 poi sostituiti con i più moderni DF-21 in grado di raggiungere il territorio iraniano e che secondo alcune fonti potrebbero potenzialmente ospitare testate atomiche.

Una proliferazione nucleare che Stati Uniti e Israele vogliono a tutti i costi scongiurare e non a caso le proposte di Washington per aprire nuovi negoziati sul nucleare iraniano prevedono che Teheran rinunci anche ai missili balistici a medio e lungo raggio.

Ipotesi finora esclusa categoricamente dall’Iran, che dispone da tempo di testate missilistiche chimiche e biologiche e che sempre considerato i missili balistici, posti sotto lo stretto controllo dei pasdaran, un assetto strategico non negoziabile.

@GianandreaGaian

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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