Afghanistan tra crisi istituzionale e raid degli insorti. Trump prevede i talebani al potere

L’accordo tra Talebani e Stati Uniti regge ma in Afghanistan non è certo scoppiata la pace. Già pochi giorni dopo la firma degli accordi di Doha e dopo che la Casa Bianca aveva reso noto che c’era stata una telefonata del presidente Usa, Donald Trump, con Baradar Akhund, vice capo politico talebano.

Afghan security personnel prepare for a operation against Taliban militants in Kunduz province on April 18, 2016. Afghan security forces drove Taliban fighters back from Kunduz city, officials said, as the insurgents began the 2016 fighting season by targeting the northeastern provincial capital they briefly captured last year. / AFP PHOTO / NASIR WAQIF

Gli insorti hanno scatenato una serie di attacchi contro le forze di sicurezza di Kabul contro diverse basi e avamposti nel distretto di Imam Sahib, nella provincia settentrionale di Kunduz, uccidendo 20 tra soldati e poliziotti secondo una fonte del consiglio provinciale.

Altri 10 militari sono stati presi in ostaggio. Ulteriori attacchi si sono registrati nella provincia meridionale di Uruzgan: “Almeno sei agenti sono morti e sette sono rimasti feriti”, ha reso noto un portavoce del governatore, Zergai Ebadi.

Domani dovrebbe prendere il via il graduale ritiro delle truppe Usa e alleate dall’Afghanistan è, contestualmente, l’avvio di colloqui di pace tra il governo di Kabul e i Talebani.

Ipotesi improbabile poiché Kabul non intende liberare i 5mila Talebani prigionieri in cambio della liberazione di mille militari e poliziotti prigionieri degli insorti: uno scambio previsto dal trattato firmato a Doha.

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Il presidente afgano Ashraf Ghani ha dichiarato che il governo non ha preso “nessun impegno” alla liberazione dei prigionieri: “E’ un diritto e una determinazione del popolo dell’Afghanistan. Può essere incluso nei negoziati intra-afgani, ma non è un prerequisito dei negoziati”.

L’attacco più violento è stato però rivendicato dalla branca afghana dello Stato Islamico, estraneo ai negoziati di pace con USA e governo afghano.

Sono state almeno una trentina il 6 marzo le vittime di un attacco a Kabul durante la cerimonia di commemorazione per la morte del leader della minoranza Hazara Abdul Ali Mazari che fu ucciso dai talebani nel 1995. I feriti oltre una sessantina, secondo il ministero dell’Interno afghano.

I due assalitori, che hanno aperto il fuoco contro la folla con armi automatiche, sono stati uccisi.  I Talebani hanno subito negato di aver organizzato l’attentato che poche ore più tardi è stato rivendicato dall’IS, che come i Talebani è nemico giurato della minoranza Hazara scita.

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Alla cerimonia erano presenti molti membri dell’élite politica afghana tra i quali il capo dell’esecutivo Abdullah Abdullah, l’ex presidente Hamid Karzai e l’ex primo ministro Salahuddin Rabbani.

Quest’oggi infine due esplosioni sono avvenute durante la cerimonia di insediamento del presidente dell’Afghanistan, Ashraf Ghani, a Kabul. Le due esplosioni sono risuonate mentre si stavano svolgendo due cerimonie d’ investitura parallele, in due ali separate del palazzo.

Quella di Ghani, ufficialmente rieletto, e quella del rivale ed ex vicepresidente Abdullah Abdullah, che si è autoproclamato a sua volta.   Oltre alla crisi di sicurezza il governo afghano risulta infatti indebolito dalla profonda crisi istituzionale ora che Abdullah Abdullah si è proclamato presidente dell’Afghanistan pochi minuti dopo l’insediamento ufficiale di Ghani.

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Una crisi istituzionale che non aiuterà certo Kabul alla vigilia dei negoziati con i Talebani che non hanno riconosciuto la vittoria elettorale di Ghani.

Ma al di là della recrudescenza delle violenze e dalla spaccatura nelle istituzioni afghane, quello che più colpisce è che il Presidente Trump abbia ammesso il 6 marzo che i Talebani potrebbero prendere il potere in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe statunitensi.

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Un contesto che sta incoraggiando il ritiro anche tra i contingenti militari alleati. “Il ruolo della Croazia in Afghanistan è quasi giunto alla sua conclusione, e oggi si reca in quel Paese probabilmente l’ultimo contingente militare”, parte della missione internazionale Resolute Support. Lo ha detto il 6 marzo il nuovo presidente croato, Zoran Milanovic, alla cerimonia di invio di quasi 100 soldati croati nel Paese.   La Croazia è presente in Afghanistan dal 2003, prima nell’ambito della International Security Assistance Force con un contingente che contava tra i 250 e i 400 soldati, e successivamente dal 2015 nell’ambito della missione Resolute Support di addestramento e appoggio alle forze afghane con 100 militari per lo più istruttori e consiglieri militari.

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Già in campagna elettorale, Milanovic aveva indicato la volontà di proporre il ritiro della Croazia dall’Afghanistan, decisione che nei prossimi mesi quasi certamente sarà confermata dal governo e dal parlamento di Zagabria.

Il recente accordo tra Washington e i talebani ha accelerato la decisione croata e Milanovic non ha risparmiato critiche all’amministrazione Trump.

“Alla luce dell’accordo tra gli Usa e i talebani è ovvio che il nostro lavoro in Afghanistan è finito, soprattutto se teniamo conto che la parte americana ha firmato questo accordo solo a nome proprio, non vi ha preso parte il governo di Kabul, e noi, seppur alleati, non siamo stati neanche informati dei negoziati in corso”, ha detto il presidente croato.

 

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