Saremo ancora capaci di tutelare i nostri interessi nazionali vitali?

Nell’ultima decade di marzo varie testate giornalistiche e messaggi di WhatsApp hanno richiamato l’attenzione sugli aiuti sanitari pervenuti da Cina, Russia e Cuba.

L’evento ha inevitabilmente suddiviso l’opinione pubblica fra coloro che hanno inquadrato gli aiuti nel contesto delle relazioni internazionali – che ogni Stato sovrano intrattiene con altri suoi omologhi – mentre altri hanno intravisto mire latenti: soprattutto in danno del nostro patrimonio tecnologico avanzato, ritenendo possibile la presenza, sotto mentite spoglie, di agenti di ricerca.

Tuttavia, la presenza di soggetti stranieri è stata posta sotto controllo dal nostro Apparato di Sicurezza, pur non escludendo che tramite la Humint possano essere acquisiti dati preziosi nel campo tecnico-scientifico, con particolare attenzione a quello medico-farmaceutico.

Ma non riteniamo sia questo il pericolo più grave, anche perché la nostra Intelligence conosce bene gli interessi e le peculiari metodologie dei nostri “ospiti”. Ed è in grado di contrastarli con efficacia.

È indubbio che gli aiuti umanitari/sanitari ricadono nell’ambito dei cosiddetti rapporti di reciprocità assistenziale i quali – in occasione di terremoti, alluvioni, disastri naturali e pandemie – costellano la vita del nostro pianeta.

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Pur tuttavia occorre osservare che la catastrofe sanitaria provocata dal COVID 19 non rientra in quei disastri naturali – e localizzati – ai quali siamo stati abituati a reagire, con la solidarietà internazionale, in aiuto delle popolazioni colpite: la pandemia che ci ha colpito non è localizzata ma globalizzata.

E gli effetti che ha prodotto non si sono esauriti nel brevissimo tempo, ma si protrarranno non per mesi ma per anni incidendo pesantemente sull’economia mondiale. Le conseguenze – da tempo sulla ribalta internazionale – hanno inciso sull’assetto geopolitico mondiale: già, pandemia durante, si stanno gettando le premesse per ridisegnare assetti geostrategici e aree di influenza diversi da quelli finora vissuti.   Non è pertanto irragionevole chiedersi quali saranno i cambiamenti a seguito di questa crisi, in considerazione della elevata probabilità che sul piano geo-politico le conseguenze saranno di portata tale da non essere tutte prevedibili.

Saremo prevalentemente assorbiti nella soluzione delle criticità interne e contingenti, tanto che gli effetti geo economici e geo strategici – che saranno a rilascio progressivo – li avvertiremo con ritardo, forse quando i cambiamenti si saranno già consolidati.

È questo il pericolo maggiore in quanto gli aiuti pervenuti non sono certamente disinteressati, in particolare – poco dopo i cinesi ed i russi – dagli USA è giunta la promessa di 100 milioni di dollari in aiuti.

Sui social sono circolate immagini e frasi di questo tipo:

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Senza tener conto che l’aiuto di uno Stato – secondo gli studiosi di Relazioni Internazionali – è un potente strumento di “power politics” (politica di potenza), tal quale gli strumenti tradizionali come la diplomazia, il commercio, ecc…. che avvantaggia il Paese donatore e mette in obbligo il Paese che li riceve.

Trattandosi di aiuti sanitari, peraltro intervenuti nel corso della pandemia, le narrative si sono soffermate a sottolineare lo stato di bisogno del beneficiario che gli aiuti hanno sanato: peraltro senza tenere in appropriata considerazione le motivazioni politiche del donatore.

Cioè quali potessero essere gli “arcani” obiettivi di politica estera che Stati – così lontani dal nostro contesto geopolitico – potessero avere tali motivazioni politiche da privarsi, comunque, di risorse necessarie anche per sè stessi.

Un noto uomo politico soleva sostenere che “…a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. Il nostro recondito pensiero che potrebbe essere tacciato di dietrologia – ma che tale non è – va alla plateale chiusura di porte da parte dell’UE alle nostre richieste di aiuti per far fronte alla crisi economica, di livello mondiale, che incombe sul nostro Paese già economicamente in difficoltà prima della crisi.

Nel frattempo Cina e Russia si sono precipitate a fornire aiuto per ricordarcelo – poi – al momento opportuno: cioè quando verranno geo-politicamente ritracciate le nuove aree di influenza strategica.

Le previsioni sul nostro futuro non sono rosee e l’intervento dello Stato per risollevare le sorti del Paese non sarà sufficiente. Inoltre, l’Unione Europea non sembra disposta ad adottare strumenti di politica economica e finanziaria tali da impedire lo strozzinaggio della finanza internazionale sugli enormi prestiti da acquisire per evitare sconvolgimenti sociali.

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Purtroppo l’Unione Europea non è uno Stato – ancorché federale o confederale – né tantomeno un popolo legato da vincoli di solidarietà storici e sociali.

Ma un’architettura burocratica caratterizzata da una unione monetaria e commerciale ove predomina la legge di mercato su Stati che hanno delegato a livello sovranazionale parte della propria sovranità, specie quella di natura monetaria.

Pertanto ci sono Paesi ricchi – anche in virtù del loro passato coloniale – e Paesi meno fortunati che già in passato sono stati additati come “pigs”, la cui presenza ha anche dato vita a progetti di una “Europa a due velocità”, poi accantonati. Con la crisi in atto e con le correlate previsioni attinenti agli effetti futuri, tali progetti sembrano tornare di moda probabilmente per sottoporre ai Paesi più deboli forme di neocolonialismo quali quelle adottate in Grecia nel corso della crisi finanziaria del 2011.

In quell’anno la Troika europea prevedeva di acquisire circa 50 miliardi di euro dalle vendite dei beni pubblici greci, una volta avviata una incalzante campagna di privatizzazione. Analogamente si concretizzerà domani con il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) nei confronti di quegli Stati che accetteranno di avvalersene per i fondi necessari alla ricostruzione.

L’atteggiamento miope dei Paesi del Nord Europa richiama l’attenzione sulle linee delle aree di influenza tracciate dopo il secondo conflitto mondiale che vide l’area mediterranea sia come critica sia come strategica, peraltro ampiamente descritta su queste pagine nel 2014.

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Nel periodo della guerra fredda abbiamo goduto di una certa libertà di manovra in quest’area, tant’è che la nostra ricostruzione nel dopoguerra è stata rapida ed efficace tanto da portarci al boom economico negli anni ’60-’70.

Fino agli anni ’90 il nostro Paese ha goduto di un modesto credito dai partner europei per la nostra posizione di ponte sul Mediterraneo, divenuta area geopolitica centrale nel periodo della “Guerra fredda”.

Situazione propizia all’Italia per svilupparsi e crescere in relazione al profilo economico industriale, così da giungere ai massimi livelli dei Paesi più industrializzati.

Con la caduta dell’Unione Sovietica e con la fine della “Guerra fredda” è cessata la nostra autonomia di manovra economica. E gli amici europei ci hanno dissanguato con le privatizzazioni.

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L’ex Ministro socialista Rino Formica, nel novembre 2011 – nel corso di una trasmissione andata in onda su Rai 2 – tra l’altro affermò che “i poteri occulti o manifesti”, i quali si annidano in gruppi di pressione e lobby, non sono solo nazionali ma anche internazionali e in grado di mettere in vendita le aziende ancora controllate dallo Stato, portando a compimento un processo iniziato il 2 giugno 1992.

Data in cui il Britannia – panfilo dei reali inglesi, prestato ad una lobby di finanzieri anglo americani chiamati gli “Invisibili” – attraccò nel porto di Civitavecchia ospitando a bordo i vertici dell’industria e della finanza italiana.

Cosa volevano gli “Invisibili” dall’Italia? Mettere mano sulle banche, sull’ENEL, sulla telefonia, sull’ENI, ecc…. cioè sui “gioielli” di casa. Evento che ebbe luogo subito dopo con molteplici privatizzazioni protrattesi fino ad oggi. Da allora la politica passò in secondo piano ed il dominio fu assunto dal sistema dell’economia finanziaria che pose il giogo sull’economia reale.

Oggi con l’Unione Europea – che ha dato prova della sua diaspora politica – unitamente alla crisi globale dettata dalla pandemia mondiale, l’area mediterranea torna al centro della geopolitica e della geo-strategia mondiale.

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Ora tale area – in passato e tutt’ora caratterizzata dallo sviluppo dei nostri interessi vitali nazionali – è divenuta luogo d’incontro dell’economia mondiale ove si riscontra lo sviluppo di:

  • poderose linee commerciali – tracciate dalle “nuove vie della seta” cinesi – che entrano prepotentemente nel Mediterraneo e assumono quale hub, per il nord Europa, i porti di Genova e Trieste;
  • una nuova guerra fredda nell’area Asia Pacifico – fra Usa e Cina – nonché nell’area artica, fra Russia e Cina;
  • un’area africana – con prospettive di poderoso sviluppo economico attraverso il raddoppio del canale di Suez – unitamente alla presenza e agli investimenti cinesi in moltissimi Paesi del Continente. Ove i cinesi stessi hanno già acquisito o ipotecato gran parte delle proprie risorse;
  • un rafforzato interesse francese verso l’area in questione, dato che la Francia sembra essere pronta a dismettere l’asse portante tramite il quale finora si era raccordata a Berlino. Sembra intenda associarsi ai Paesi mediterranei – in una Europa a due velocità, ovvero una UE mediterranea – e diventarne unico leader sia facendo leva sulla sua “force de frappe” sia per appagare il proprio mai tramonto orgoglio di “grandeur”.

Non a caso gli Stati Uniti – dopo i doni pervenuti da Russia e Cina – hanno promesso un sostanzioso aiuto in dollari all’Italia. Quest’ultima era fino a pochi mesi orsono relegata in un angolo delle relazioni internazionali degli Usa medesimi.

Ma noi continuiamo a “pensar male”. Probabilmente negli arcani disegni del capitalismo protestante è in corso l’elaborazione di nuovi piani per l’Europa – come peraltro già avvenuto in passato con la riforma protestante e l’accaparramento dei beni della Chiesa romana, nonché l’agognato spazio vitale verso est – per andare a rovistare, dopo il terremoto della pandemia, tra le macerie dei “pigs” per rubare l’argenteria dei deceduti.

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Non vi è dubbio che – cessata la pandemia – le aree geopolitiche e geostrategiche saranno ridisegnate. E si andrà certamente incontro a quel modello multipolare, molto spesso sostenuto, per conciliare gli interessi delle ormai affermate nuove potenze mondiali: Russia, Cina e USA. Pertanto la competizione fra i suddetti donatori assumerà forme diverse ed inciderà su aree che – in relazione alle convenienze delle citate nazioni leader – dovranno rientrare nelle rispettive zone di influenza.

In questo nuovo ordine mondiale, che si profila all’orizzonte, saremo ancora capaci di tutelate i nostri interessi vitali nazionali? Sapremo svincolarci da una possibile e cinica neo-colonizzazione dell’Europa nordica? Sapremo sottrarci alle lusinghe di politiche commerciali e finanziarie tendenti ad infiltrare il nostro sistema economico nazionale? Ai posteri l’ardua sentenza.

Auguriamoci che ci sia un’opinione pubblica attenta ed informata, ma soprattutto una classe politica e dirigenziale illuminata ed intelligente che faccia ricorso a:

  • cultura, creatività e genio che ci hanno consentito di risorgere dalle ceneri della Seconda guerra mondiale;
  • severi controlli nei confronti della finanza speculativa;
  • diplomazia commerciale ed attrattiva geopolitica della nostra collocazione quale ponte sul Mediterraneo

Elementi necessari ad assicurare un futuro non troppo fosco alle nostre giovani generazioni.

 

 

Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli

Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.

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