Kabul è la cerniera di uno schiaccianoci

 

 

La conquista di Kabul del 15 agosto 2021, in pochi giorni, ha lasciato perplessa la pubblica opinione atteso che – nell’arco di poco più di quattro mesi – le milizie talebane sono state in grado di conquistare circa i due terzi del Paese, mentre il restante terzo lo hanno concluso in soli 6 giorni.

Molti analisti hanno sostenuto che da tempo il Pakistan – per molteplici motivi, comprese le rivalse verso gli USA per l’uccisione di Bin Laden ad Abattobad – aveva preparato tale escalation in previsione dell’abbandono e del contestuale rientro in patria delle numerose unità militari occidentali ivi dislocate, a sostegno del governo della Repubblica Islamica dell’Afghanistan.

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Pur condividendo – ancorché parzialmente – tale valutazione, siamo dell’avviso che l’evento in corso raffiguri l’avvio di un più ampio disegno strategico finalizzato a: neutralizzare la irriducibile ascesa nucleare iraniana, a contenere le aspirazioni egemoniche cinesi nonché le velleità imperiali di Putin.

Nel corso dello sviluppo della nuova situazione emerge quale protagonista principale – con rilevante probabilità – il Pakistan che:

  • considera l’Afghanistan naturale retroterra strategico nelle controversie con l’India;
  • ha fornito ai talebani tutto il supporto logistico necessario, nonché quello intelligence – tramite la nota “rete Haqqani” – per “ammorbidire” la resistenza delle “aree tribali” ove tale rete, longa manus di ISI (Servizio Segreto pakistano), opera da sempre;
  • ha costretto i “signori della guerra” – oppositori del “protettorato” pakistano – a rifugiarsi in Tagikistan e Uzbekistan;
  • ha consentito all’alta dirigenza delle Repubblica Islamica Afghana di rifugiarsi in Uzbekistan,

Peraltro, il Pakistan non è solo ad essere l’artefice e lo sponsor di questa rivalsa talebana ma è in buona compagnia, ad iniziare da:

  • Qatar – dove per anni sono state condotte trattative segrete fra talebani e Stati Uniti – con il conseguimento di un’intesa nel febbraio 2020 concordando due condizioni di base: Washington avrebbe ritirato le sue componenti militari e quelle alleate dall’Afghanistan entro 14 mesi e gli integralisti avrebbero garantito che il Paese non diventasse base di attacchi terroristici. Inoltre il probabile Presidente del nuovo Emirato Afghano, il mullah Abdul Ghani Baradar, è stato per anni a Doha a dirigere l’ufficio politico dei talebani colà ospitati. Infine si evidenzia che nel gennaio 2021 è stato abolito l’embargo dell’Arabia Saudita e degli altri Paesi del Golfo, precedentemente imposto al Qatar;
  • Turchia, con alla guida il Fratello Mussulmano Erdogan, il quale da anni mira ad affermare la propria leadership sulle etnie turcofone dell’Asia centrale. Inoltre la Turchia stessa – nonostante le avances verso la Russia – è ancora membro della NATO e, per la circostanza, si è prodigata per evacuare gli occidentali da Kabul con le sue linee aeree.

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Nel recente passato abbiamo rilevato che il Presidente Barak Obama – tramite i suoi “consigliori” dei Fratelli Mussulmani – ha dato l’avvio alle “primavere arabe” nell’intento di democratizzare l’area mussulmana del Medio Oriente secondo i precorsi intenti di George W. Bush. Il Presidente Bush, dopo gli attacchi dell’11 settembre, nel 2004 decise di affiancare alla reazione militare in Afghanistan ed Iraq, una risposta politica. L’intento era finalizzato a superare l’arretratezza sociale, politica ed economica della regione mediorientale, considerata quale “brodo di coltura” del terrorismo.

Il progetto si incentrava sulla promozione di riforme democratiche ed economiche nei Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, come asse portante della “guerra al terrorismo”. Nel giugno del 2004, al vertice del G8 di Sea Island si introduceva il concetto di “Grande Medio Oriente” (GMO) – tracciando una strategia destinata a promuovere la democrazia e lo sviluppo socio economico, attraverso strumenti politici, economici e culturali – in una vasta area che andava dal Marocco al Bangladesh. L’accoglienza del progetto nel mondo arabo fu molto fredda – se non apertamente ostile – e l’iniziativa fu interpretata come una strategia di dominazione della regione araba, soprattutto da quei Paesi che costituiscono il cuore storico del mondo musulmano.

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Purtroppo le “primavere arabe” promosse da Obama sono sfuggite di mano, per l’eccessiva intraprendenza dei Fratelli Musulmani, provocando le delineate conseguenze:

  • in Egitto, Mohamed Morsi fu quasi subito defenestrato;
  • in Libia, Gheddafi fu giustiziato ed il Paese gettato nel caos, che ancora perdura;
  • in Siria, il presidente Bashar al-Assad fu costretto a ricorrere all’aiuto russo ed il territorio siriano parzialmente occupato dallo Stato Islamico dichiarato dall’ISIS.

Inoltre l’ISIS venne “manovrato” da Qatar e Arabia Saudita in funzione anti iraniana.

Nel 2017, l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca ha ridimensionato le velleità mondialiste dei Democratici statunitensi e dei Fratelli Mussulmani tramite:

  • un efficace contrasto dello Stato Islamico, che nel dicembre 2017 venne ufficialmente sconfitto e smantellato;
  • una stretta intesa con Mohammad bin Salman Al Saud (MbS) – nominato nel giugno 2017 erede al trono saudita – il quale poco dopo ha tagliato i rapporti con il Qatar, accusando quest’ultimo di essere troppo vicino all’Iran, di appoggiare gruppi islamici radicali – ad iniziare dai Fratelli musulmani – nonché il terrorismo jihadista. Lo stesso “MbS” nel novembre dello stesso anno ha adottato provvedimenti restrittivi contro l’establishment saudita ritenuto finanziatore del terrorismo jihadista.

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Tale direttrice strategica ha avuto scarsa fortuna perché avversata dai magnati statunitensi della finanza internazionale e dalla improvvida gestione della pandemia di COVID 19 da parte dello stesso Presidente Trump che ha anemizzato l’economia statunitense e favorito le progettualità cinesi sulle “nuove vie della seta”.

Il ritorno dei Democratici alla Casa Bianca si è inaugurato con una riconciliazione fra Qatar ed Arabia Saudita e la cancellazione delle precedenti sanzioni. Inoltre sono state intensificate le trattative a Doha fra leader talebani e emissari statunitensi per l’esodo delle unità militari occidentali dall’Afghanistan.

Il resto è stato espresso in precedenza: cioè in appena 4 mesi circa i Talebani hanno riconquistato tutto il territorio afghano e lo stesso Presidente Biden ha giustificato l’esodo dei militari USA affermando che non era più interesse statunitense mantenere truppe in Afghanistan.

Di conseguenza le velleità mondialiste sia dei Democratici USA sia dei Fratelli Mussulmani, sono state sposate dal Pakistan (Stato sorto con il beneplacito della CIA che nel 1947, durante i prodromi della scissione con l’India inviò colà Said Ramadan (genero di Al Banna, fondatore del Movimento dei Fratelli Muslmani) che vi diffuse le teorie dei Fratelli Musulmani.

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In sintesi, con uno sguardo alla carta geografica, notiamo che Afghanistan, Pakistan, Qatar e Turchia – tutti simpatizzanti dei Fratelli Musulmani – sono dislocati in posizione geopolitica che sembra costituire una manovra a tenaglia tale da stringere l’Iran in uno schiaccianoci.

Di conseguenza riteniamo che al Pakistan – con la tacita intesa di Arabia Saudita, Qatar, Afghanistan e Turchia – ora sembrano affidati due obiettivi strategici da perseguire:

  • contenere la potenza iraniana che – qualora diventasse eccessivamente pericolosa – verrebbe stritolata nello “schiaccianoci geopolitico” degli Stati sopra menzionati;
  • ostacolare lo sviluppo delle “nuove vie della seta” cinesi, sia quelle terrestri che transitano attraverso l’Asia centrale sia quelle marittime che si sviluppano nell’Oceano Indiano;
  • contenere il “sempreverde” progetto strategico russo di raggiungere i mari caldi, lasciando alla superpotenza statunitense la “gestione” del Mare Cinese Meridionale e del Pacifico e di tutte le velleità strategiche cinesi.

Ritiro truppe USA

In tal modo il Pakistan consoliderà il suo controllo sull’Afghanistan influenzandone direttamente il governo e ponendosi come interlocutore di grande rilevanza con Cina e Russia, che temono il dilagare del jihadismo nel Xingiang e nelle Repubbliche centro asiatiche ex sovietiche.

Ma tutto ciò asseconderà anche la strategia della costituzione del Califfato Globale, ideologia plasmata dalla Fratellanza Musulmana Internazionale, ma sostenuta e sviluppata dal Pakistan.

Foto US DoD

 

Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli

Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.

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