El Salvador: la guerra del governo alle “pandillas”

Nel corso dei tredici mesi trascorsi dalla sua elezione, il giovane e popolare presidente del El Salvador, il 38enne Nayib Bukele (nella foto sotto), avrebbe trovato una strategia atta a mettere fuori gioco le pandillas cioè le spietate gangs criminali del suo paese. Le famigerate e note anche a livello mondiale Mara Salvatrucha (MS-13) e le due fazioni di Barrio-18 (18-Sureños e 18-Revolucionarios).

Queste temibili gangs, maras nel gergo locale, dispongono di oltre 62mila affiliati, sono le gangs con più membri, presenti in quasi tutte le municipalità, spietate nel controllo del territorio che è assoggettato alle estorsioni, come fonte di finanziamento, a danno dei residenti e delle persone che circolano nelle ’loro’ zone, soprattutto trasporti pubblici, scuole e mercati locali. Queste gangs sembrano, quindi, essere state messe in un angolo. Le uccisioni quotidiane mostrano numeri al ribasso, come non si vedevano dagli anni 2013 e 2014 durante la tregua tra governo e pandillas.

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Il tasso di omicidi che viene costantemente aggiornato e reso fruibile su tutti i canali social, dai reporter salvadoregni di El Faro evidenzia una riduzione di omicidi negli ultimi tre anni, un totale per il 2019, secondo le fonti ufficiali, di 2.374 assassinati, purtroppo non un numero piccolo ma che tuttavia ci dice che sono stati commessi 974 omicidi in meno rispetto al 2018.

Un trend di discesa degli omicidi, in tutto il paese, che è comunque iniziato da tre anni. Per il 2020 si stima un tasso di (solo) 18 omicidi ogni 100mila abitanti, una netta riduzione rispetto al 2015 quando di ebbe un tasso di 103 omicidi ogni 100mila abitanti.

Come si è giunti, ad oggi, a questo risultato? Il governo dice che è merito delle sue politiche. Il presidente Bukele, poco dopo il suo insediamento, lanciò il 1°giugno 2019 l’ambizioso Plan de Control Territorial (Piano per il Controllo del Territorio), per dare un segnale di discontinuità, con uno stile di governo molto assertivo, che sta anche suscitando critiche in tempi recenti, per conquistare l’elettorato alle prossime elezioni legislative.

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Il Plan de Control Territorial prevede la messa in campo di un pacchetto di durissime misure per riprendere il controllo del territorio e ripristinare dei decenti livelli di sicurezza, il Piano è stato articolato in sette fasi, con il settimo intervento dichiarato di riserva, in sostanza rappresenta un ‘bottone rosso’ da pigiare in caso di massima di emergenza, nel caso che gli altri sei interventi del piano falliscano. Tuttavia solo le prime tre fasi sono state svelate.

Le risorse finanziarie, inizialmente, destinate al Piano ammontano a 571 milioni di dollari e dal punto di vista degli interventi sul territorio è stato previsto l’impiego massivo della PNC (Policía Nacional Civil) e delle FAES (Fuerza Armada de El Salvador).

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L’ambizioso piano non vorrebbe presentarsi come solo una militarizzazione del paese, come avvenuto e avviene in altri casi e in altre nazioni della regione centro-americana, ma come un radicale progetto a 360 gradi che prevede sia il ritorno dell’ordine pubblico sia una rinascita del tessuto sociale ed economico, totalmente depurato dal veleno delle gangs.

Ad oggi sono tre le fasi messe in campo. Il 20 giugno 2019 è partita con estrema velocità il Fase Uno, battezzata “Preparazione”, il via è stato dato, con un gesto teatrale, già divenuto una cifra stilistica di Bukele, alle unità forze di polizia e delle forze armate radunate, a mezzanotte, nella storica piazza della capitale, la piazza Gerardo Barrios. Velocità e pugno di ferro per mettere in atto la prima fase del piano, con il preciso fine di stabilire uno spartiacque e lanciare forti messaggi alla popolazione e ovviamente alle gangs; questa prima fase ha avuto come obiettivo il centro storico di San Salvador.

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Sul campo le forze di sicurezza hanno dispiegato inizialmente 4mila uomini tra soldati e poliziotti, successivamente l’impegno delle FAES è salito notevolmente fino a 8mila soldati, di cui 1.400 aggiuntisi da febbraio, un robusto arrivo di nuovi complementi che avevano completato l’addestramento alcune settimane prima.

La prospettiva e l’ambizione del Plan di Bukele è arrivare alla sesta fase con il risultato di una ‘riconquista’ delle 17 province del paese, colpire la violenza delle pandillas e distruggere le fonti di finanziamento delle pandillas rappresentato dalle estorsioni, il ‘pizzo’ all’italiana richiesto a persone e attività commerciali presenti nelle zone controllate dalle gangs.

Colpire il fatturato delle pandillas è visto come una delle chiavi della riuscita delle azioni in corso. Ma non sarà per nulla semplice. Dopo appena due mesi dall’avvio del Plan, i membri delle gangs (i mareros) arrestati hanno raggiunto il numero di circa 5mila. Le foto dei componenti della Maras Salvatrucha (MS-13) e delle due fazioni di Barrio-18 (18-Sureños e 18-Revolucionarios), ammassati nelle stesse carceri, nelle stesse celle, con zero distanziamento in periodo di Covid-19, hanno fatto il giro del mondo.

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Una scelta politica e di comunicazione drastica ed evidente, che ha suscitato critiche, poiché il fatto di aver deliberatamente mischiato i pandilleros nelle stesse celle, nelle stesse strutture membri di gang ferocemente rivali potrebbe causare massacri tra i mareros ma che finora non si sono verificati. Nella sostanza il consenso per Bukele, in precedenza ex-sindaco della capitale quando era membro della formazione di sinistra FMLN (Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional) è salito moltissimo.

La Fase Due, annunciata nel luglio 2019, si sta articolando nella delicata e faticosa ricostruzione del tessuto sociale, si vuole allontanare in primis i giovani dalle sirene delle pandillas e non a caso è stata chiamata “Opportunità”. Bukele ha affermato che ”mobilitiamo le risorse dello Stato per intervenire in tutte le situazioni di vulnerabilità, per evitare che i giovani salvadoregni cadano preda delle pandillas”.

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Obiettivo: cercare in tutti i modi di fare ‘terra bruciata’ attorno alle gangs. I progetti governativi per i singoli municipi prevederebbero grandi investimenti, come la costruzione di nuove scuole, di biblioteche, di nuovi ambulatori, di centri sociali.

Programmi molto ambiziosi per i quali serviranno moltissime risorse per finanziarli, dato che stanno avviandosi tutti nello stesso momento. Nel frattempo che tutto questo si andava sviluppando, il presidente Bukele si è addirittura presentato con un drappello di soldati nell’aula parlamentare per ‘sollecitare’ i deputati a stanziare i fondi per il suo Plan, suscitando dure proteste e critiche molto accese che a tutt’oggi proseguono.

Un Bukele che dall’inizio della pandemia ha preso ad ‘esercitare’ il potere tramite i tweets, un modo di agire che sta suscitando moltissime critiche. I sondaggi, più recenti, danno al presidente l’appoggio di gran parte della popolazione, con una percentuale del 81% di consensi, fattori che rafforzano i suoi obiettivi e del suo nuovo partito Nuevas Ideas, con il quale Bukele spera che vincendo le prossime elezioni avrà più facilità per portare avanti i suoi programmi.

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La terza Fase del Plan è stata chiamata “Modernizzazione”. Come in tante altre forze armate e di polizia viene preventivato l’arrivo anche delle nuove tecnologie, come gli onnipresenti droni. Sono state stanziate cospicue risorse per le forze dell’ordine e l’esercito poiché prevede un robusto aggiornamento delle dotazioni di materiali e mezzi sia per la PNC (Policía Nacional Civil) sia per le FAES (Fuerza Armada de El Salvador).

Nuove armi individuali, caschi tattici, radio di ultima generazione, giubbotti antiproiettile, nuove uniformi, elicotteri, droni, installazioni di telecamere di sorveglianza per la visione costante nelle ventiquattro ore per controllare le strade.

Dunque ad oggi il problema numero uno per la società salvadoregna, le Maras, dall’altissimo tasso di criminalità, dal devastante impatto sull’ordine pubblico e sulla vite dei salvadoregni avrebbero trovato ‘pane per i loro denti’. Le gangs sono state fermate nel commettere gli omicidi o hanno deciso di propria iniziativa? E dietro questa decisione vi è un ‘compromesso’ tra governo e i capi delle gangs? Sono tra le domande chiave che gli osservatori si pongono. E’ anche quello che si domanda il più recente report di International Crisis Group, organizzazione non governativa che si occupa di conflitti e crisi in tutte le parti del mondo.

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Gli arresti di 5mila mareros e il drastico rallentamento negli omicidi è tutto oro che luccica? I numeri sono dalla parte del governo. Per Tiziano Breda, uno degli autori del report di Crisis Group, intervistato da Russia Today: ”si presenta la grossa occasione per venire a capo delle pandillas, come mai accaduto in precedenza, ma è poco probabile che il governo avvii un processo di dialogo prima delle elezioni legislative e municipali del febbraio 2021.”

Per le autorevoli firme del battagliero e coraggioso quotidiano salvadoregno El Faro, Roberto Valencia e Oscar Martinez, il dialogo e un processo di soluzione del problema gangs è bene che ci sia ma in maniera trasparente, chiara e senza sotterfugi e manovre sottobanco.

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Scrive Oscar Martinez: ” […] E’ almeno un decennio che tutti i politici cercano il dialogo con le pandillas ma lo fanno in modo occulto e per due ragioni: la prima perché non li rende popolari dialogare con le gangs, la seconda poiché far sapere che hanno negoziato significa poi rivelare che in cambio hanno ottenuto voti. […]”.

El Faro è il quotidiano che nel 2012 rivelò gli accordi della Tregua tra gangs e l’allora governo in carica, una trattativa condotta dal generale David Munguía Payés, all’epoca ministro della Difesa, che è stato arrestato improvvisamente arrestato lo scorso 23 luglio con le accuse di abuso di autorità e associazione illecita durante le settimane che poi condussero all’accordo con le gangs.

Nel 2016 la procura aveva arrestato molte persone facenti parte del gruppo delle trattative ma non il generale Munguía. Nessuno dimentica tra i salvadoregni che la tregua stipulata nel 2012/2013 finì in modo fallimentare con la ripresa dei crimini associata a una ulteriore espansione delle pandillas.

Foto Twitter/Forze Armate di El Salvador

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Marco LeofrigioVedi tutti gli articoli

Nato a Roma nel 1963, laurea in Scienze Politiche, si occupa da oltre dieci anni di geopolitica, strategia, guerre e conflitti, forze armate straniere, storia navale, storia contemporanea, criminalità organizzata, geo-economia. Ha scritto decine di articoli, analisi e saggi su questi argomenti. E' membro attivo della Società Italiana di Storia Militare. Dal 2011 è co-autore, con Lorenzo Striuli, di diversi articoli di storia navale sulla Rivista Marittima della Marina Militare. Collabora fin dal 2003 con Analisi Difesa.

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