La Corea del Sud diventerà il quinto membro del QUAD?

 

Nel novembre 2022 durante il meeting annuale della ASEAN, la più importante associazione tra paesi del sud-est asiatico, il presidente sud-coreano Yoon-Suk-yeol (nella foto sotto) ha delineato nettamente la linea di condotta del suo paese per quanto concerne la regione dell’Indo-Pacifico, nella quale vuole far giocare a Seul un ruolo di prima fila, con una postura ambiziosa da Global Pivotal State con alto profilo geopolitico e geoeconomico, oltre che agire come un importante player regionale.

Un muoversi a tutto campo e come ha sintetizzato Yoon con questa battuta: ”si tratta di non essere più un gamberetto in mezzo alle balene (a shrimp among whales).”   

Per Yoon-Suk-yeol il suo paese deve rivestire “un ruolo di Global Pivotal State, essere molto attivo negli organi multilaterali regionali, rafforzare sia il bilateralismo che la cooperazione. La Corea del Sud dovrà pertanto agire con orizzonte più vasto, al di là della Penisola di Corea e del nord dell’Asia, guardando all’Indo-Pacifico, al Sud-est asiatico, all’Oceania, alla costa africana orientale.”  

I documenti ufficiali della politica estera sud-coreana insistono sui temi della non-proliferazione delle armi atomiche, libertà di navigazione sui mari, sicurezza e protezione delle supply chains, sviluppo e la connessa protezione dei networks tramite cavi sottomarini, lotta al terrorismo, partnerships di cooperazione economica e quelle in campo della sicurezza.

Una posizione assertiva di difesa degli interessi nazionali ma non solo. Tra i temi strategici più cruciali vi sono le supply chains, le catene logistiche sono della massima rilevanza per tutti gli stati, come si è visto durante la epidemia di Covid-19, ad iniziare da quello italiano e per finire appunto anche per la Corea del Sud.

Come ha ben sottolineato Marzio Pratellesi, lo scorso aprile, qui su Analisi Difesa: “oggi, a fronte di una realtà ancora globalizzata, si assiste ad una fitta interconnessione degli spazi marittimi, testimoniata dall’aumento dei traffici commerciali (SLOC) e informativi (cavi sottomarini): interconnessione che determina un effetto contagio nelle crisi regionali amplificandone gli effetti su scala globale.”

L’ambizione del governo di Seul, confermata da gran parte degli analisti, è di fare parte a pieno titolo del Quadrilateral Security Dialogue (QUAD) quadrilaterale sulla sicurezza USA, India, Giappone, Australia.

Il QUAD, promosso nel 2007 dall’allora primo ministro giapponese Shinzo Abe, rappresenta ad oggi, non una vera e propria alleanza militare come la NATO, ma solo un coordinamento informale tra quattro paesi sui dossier inerenti la sicurezza, l’ambiente, l’economia, la sanità, nella regione indo-pacifica.

Il notevole progresso delle relazioni negli ultimi 12 mesi tra Seul e Tokio ha aperto la prospettiva, ben accolta sia dalla Casa Bianca che dall’India, di un pieno coinvolgimento della Corea del Sud nel QUAD, per il quale tuttavia servirà, come sottolineato da molti osservatori, l’avallo finale del Giappone.

Nel contesto regionale degli ultimi anni il QUAD viene visto come un abbozzo di una futura NATO Asiatica da parte cinese. Fino ad oggi la Corea del Sud è entrata nel quadrilaterale da una ‘porta secondaria’ nel 2017, con la formula, voluta da Tokio, del Quad-Plus.

Ma a Seul non basta ed è fortissima la spinta a proporsi come player a livello globale, non essere più partecipe solo dei consessi multilaterali regionali ma entrare a pieno titolo anche nel G7 (e non solo come invitato).

Poche settimane fa nel corso dell’avvio dei lavori dell’importante Comitato della Difesa per l’Innovazione, il presidente Yoon-Suk-yeol ha chiesto di poter disporre di una solida forza combattente (“strong combat-type army“) in tutti campi della difesa e sicurezza; in tal senso ha domandato un drastico e veloce sviluppo del settore hardware e software, grandi investimenti nelle nuove tecnologie, nel settore cyber e nell’intelligenza artificiale.

Inoltre ha reiterato la richiesta di creare un comando strategico unificato per gestire in modo ancora più coordinato e tempestivo il pericolo dei missili balistici e dell’atomica nord-coreana.

I punti toccati da Yoon sono stati rivolti alle tre componenti delle forze armate le quali debbono affrontare al meglio i grandi mutamenti in atto nel mondo high-tech, sottolineando che il meglio della tecnologia e delle innovazioni scientifiche prodotte nel paese devono essere, per prima cosa, impiegate nel campo della difesa: “the best science and technology occur in the process of defense innovation and development, and is always applied first in the defense sector,”.

Pertanto Yoon-Suk-yeol preme per il miglioramento a 360 gradi dello strumento militare per reagire alle minacce e azioni del regime di Pyongyang, una preparazione high-tech spinta al massimo, una capacità di pronta reazione tale che rafforzi la deterrenza, più strumenti per la sorveglianza e ricognizione a nord del 37° Parallelo, dotarsi di missili ad alta precisione e velocità per controbattere agli attacchi, puntare sui droni e sui robots.

Nei piani futuri per la marina sud-coreana si è fatto cenno anche a una blue water navy cioè, citando Marzio Pratellesi, “una Marina ‘alturiera’ in grado di agire al di fuori delle acque domestiche […]” per poter attuare “un ampio spettro di operazioni, che si diramano da quelle prettamente militari di “Sea control” e “Power Projection”, alle missioni di carattere umanitario, senza tralasciare il Law Enforcement marittimo.”

 

La extented deterrence contro le minacce delle armi atomiche

La Sud-Corea dopo il congelamento del conflitto del 1950-52, esposta come è alle armi balistiche nord-coreane, ha conformato la sua difesa su due pilastri basilari:

  • le forze terrestri dell’esercito: fanterie, carri armati, artiglieria, armi anticarro;
  • una rete di allerta su tutto il paese integrata con le difese antimissile e l’assistenza della intelligence statunitense e dei sistemi di allerta sia giapponesi che americani della regione.

Il regime nord-coreano, anno dopo anno ha potenziato il suo arsenale missilistico e queste minacce hanno conformato e condizionato tutta la politica di difesa, gran parte del relativo budget dei governi in carica a Seul, l’organizzazione delle forze armate.

Ad oggi i recenti accordi presi tra Usa, Giappone e Sud-Corea vanno nel percorso di una deterrenza allargata (extented deterrence), così come indicata dagli americani che hanno garantito esercitazioni specifiche in ambito difese anti-missile e fornito l’impegno di inviare sottomarini nucleari come ombrello difensivo e soprattutto di deterrenza nei confronti del regime nord-coreano.

Gli accordi presi prevedono la condivisione in tempo reale delle informazioni sui lanci dei missili nord-coreani. E nel frattempo Seul ha annunciato da tempo la costruzione di missili antiaerei e antimissile con i programmi di produzione del Block-III missile terra-aria a medio raggio (M-SAM) e dei missili terra-aria a lungo raggio L-SAM-II.

Inoltre ha progettato la messa in campo di una Kill Web per avere più efficacia nella difesa antimissile del paese, utilizzando al massimo anche le nuove tecnologie, come è stato illustrato su Analisi Difesa da Francesco Palmas: ”Per garantirsi maggiore flessibilità nella risposta preventiva, Seul ha pertanto affiancato alla Kill Chain un nuovo concetto, ribattezzato Kill Web e incentrato su un mix di tattiche che spaziano dalla guerra elettronica alle operazioni cibernetiche, più altre misure ancora imprecisate che dovrebbero permettere di scongiurare e prevenire lanci missilistici nemici.”

L’annuncio della integrazione tecnologica tra le batterie PAC-3 (i Patriot) in grado di eliminare bersagli fino a 40 chilometri di altitudine e il sistema THAAD ha rinfocolato le critiche di Pechino verso il sistema di difesa anti-missile THAAD (Terminal High Altitude Area Defense) fornito dagli americani nel 2016. Il regime di Pyongyang nel 2016 eseguì un clamoroso test di missile balistico classificato intercontinentale e ciò diede la spinta per la fornitura da parte americana delle prime due batterie del sistema di difesa anti-missile THAAD. Fatto che rappresentò un forte aiuto per il complesso delle difese AA sud-coreane, suscitando all’epoca le proteste di Pechino e Pyongyang.

Le batterie furono dislocate a Seongju, sita a 220 chilometri dalla capitale sud-coreana ed ogni batteria consiste di nove lanciatori su mezzi ruotati, 72 missili intercettori, unità di comando del fuoco e un radar AN/TPY-2; ha una capacità di intercettare sui 40-150 chilometri di altitudine e con raggio operativo che preoccupa fin dal 2016 i cinesi.

Nel corso degli anni la stampa sud-coreana ha riportato più volte questi dati sulle prestazioni del radar AN/TPY-2, evidenziando le due opzioni di modalità operative del radar: il “terminal mode” (TM) e il “forward-based mode” (FBM) con un raggio di intercettazione dei bersagli da 600 a 900 chilometri e 1.800 fino 2.000 chilometri rispettivamente, pertanto la riconfigurazione dei radar del THAAD comporterebbe la possibilità di spiare il territorio cinese.

Il concetto di ‘deterrenza allargata’ e l’invio di sottomarini della US Navy con testate atomiche è servito anche per evitare che il nuovo atteggiamento della popolazione coreana verso il dotarsi di una propria arma atomica trovi pieno appoggio nella leadership di Seoul. E’ dal 2017 che vari sondaggi hanno mostrato un crescente favore, come mai accaduto prima, verso l’atomica.

La speranza, poi svanita, di un ‘appeasement’ con Pyongyang durante la presidenza di Moon e i meeting di Trump con Kim ha di certo rinforzato questo atteggiamento nella possibilità di costruirsi un proprio arsenale di armi nucleari da contrapporre ai nord-coreani come massima deterrenza, una corsa all’atomica nella Penisola Coreana che invece gli Stati Uniti vogliono evitare. La minaccia dei missili nord-coreani e cinesi preoccupa gli Stati Uniti stante il pericolo concreto di veder colpita la base strategica dell’isola di Guam, nel Pacifico Centrale, per la quale si è deciso di rinforzarne l’ombrello difensivo stanziando oltre 1,5 miliardi di dollari per la difesa dell’isola, un aumento di oltre 600 milioni di dollari rispetto al 2022.

 

Il rinnovo dello strumento militare e il vincolo demografico

Le forze armate stanno migrando da forza a prevalenza terrestre ad un incremento in numero e qualità delle altre due armi, aviazione e marina. Nei futuri piani della marina militare di ventila l’ipotesi di formare un nucleo di flotta d’altura (blue water navy) così da avere unità per partecipare a missioni in qualsiasi zona di mare.

La fanteria di marina viene sottoposta a piani addestrativi assieme agli US Marines per farne uno strumento efficace in caso di attacco nord-coreano. L’aereonautica dispone circa 720 velivoli sia di produzione locale che straniera e sono responsabili del fitto sistema di difesa anti-missile, impiegando in totale circa 65mila uomini. Ad oggi comunque la componente terrestre resta la forza primaria, però deve fare i conti il fattore demografico.

Difatti la riduzione della natalità influenza anche la Corea del Sud e sta impattando su moltissime nazioni, Cina inclusa. Per quanto riguarda Seul avrà notevoli conseguenze guardando ai prossimi 30/40 anni, come evidenziato dal lavoro molto accurato della Carnegie Endowment For International Peace, redatto nel 2021.

Questa indagine ha analizzato come il declino demografico influenzerà l’entità complessiva delle forze armate sud-coreane e dunque la postura del paese. La Corea del Sud è obbligata a rivedere i numeri complessivi delle future forze armate, a svolgere una profonda rivisitazione dello strumento militare e della postura che vorrà (e potrà) sostenere e per fare questo avrà necessità dello sforzo di tutti i partiti.

Una riduzione dei soldati 590mila a 522mila è andata a regime nel corso del 2022, questo numero include coscritti e volontari ed in particolare il ministero della difesa auspica una soglia di coscritti almeno di 274mila soldati e soldatesse, numero ritenuto essenziale per rispettare e perseguire i propri obiettivi. Il concomitante aumento dell’età media della popolazione e il minor numero di nascite imporrà ai leader coreani una valutazione del fenomeno e delle riforme atte a fronteggiare questo impatto, situazione simile nel vicino Giappone e in diversi paesi del mondo occidentale in particolare.

 

Esercitazioni ‘dual use’ e l’industria della difesa  

Le consuete esercitazioni miste sud-coreani e statunitensi stanno avendo un maggior apporto di mezzi e uomini e di risalto mediatico, come è sempre più prassi. In particolare è stato stilato un corposo e lungo (cinque anni) programma di addestramento tra le due forze armate alleate per far acquisire, ai marines sud-coreani e alle forze di supporto, collaborando con i marines americani della MARFOR-K (Marine Corps Forces Korea) le più importanti capacità per svolgere operazioni anfibie, che sono tra le operazioni militari più complesse da mettere in campo.

Nella Vigilant Storm dello scorso ottobre sono stati impiegati oltre 200 velivoli dei due paesi nel corso di dodici giorni di esercitazione anfibia. Sulla scorta della Guerra di Corea ci si esercita nel colpire nelle retrovie delle colonne di attacco nord-coreane in caso di attacco, assieme alla superiorità aerea sui campi di battaglia.

Con la presidenza Yoon dal 2022 sono state riattivate anche alcune esercitazioni con munizionamento vero, sospese da anni. Una di queste è stata l’attività addestrativa, del marzo scorso, battezzata “I 2 Dragoni” (Ssangyong), che ha coinvolto 800 soldati americani e 400 sud-coreani nel grande poligono di Pocheon, il Rodriguez Live Fire Complex, la più grande struttura di addestramento del paese.

Sul lato mezzi blindati e corazzati sono stati impiegati gli Stryker americani e i carri armati sudcoreani K1A2.  Una rilevante esercitazione e di certo anche occasione per l’attivissima industria della difesa sud-coreana di dare ancor più pubblicità al loro MBT K1A2 e alla sua versione aggiornata K2 Black Panther, quest’ultimo è il carro da battaglia di moda, dopo il mega ordine di Varsavia (5,8 miliardi di dollari), è divenuto oggetto di serie considerazioni per l’acquisizione da parte di molte nazioni.

Nel corso di questo training sono state impegnate delle aliquote della Seconda divisione di fanteria, la sola grande unità mista delle forze armate statunitensi composta da soldati statunitensi e sud-coreani, per un totale di 12.500 soldati a suggello dell’alleanza e della dura lotta condotta spalla a spalla, durante la Guerra di Corea.

Questa grande unità fa parte del dispositivo permanente, ad oggi pari a 28.500 uomini e donne delle forze armate americane presenti nelle Penisola Coreana. I prodotti dell’industria coreana hanno ottenuto ordini dai sauditi e dagli emiratini, in particolare i lanciarazzi multipli K-239 Chunmoo e il lanciamissili terra-aria, a medio raggio, Cheongung II (M-SAM). Del K-239 Chunmoo ha estesamente trattato Palmas, su Analisi Difesa.

Ulteriori esercitazioni, con munizionamento vero, sono state condotte a maggio, da parte di elementi della Ottava divisione di manovra impiegando i K2 e gli IFV K-21, semoventi di artiglieria e mezzi pesanti del genio; il tutto si è svolto sempre nel poligono di Pocheon, nel quale erano stati invitati rappresentanti di Australia, Repubblica Ceca, Emirati Arabi, Polonia, Thailandia, Stati Uniti.

E’ normale prassi un utilizzo dei training ‘dual use’ come vetrina dei mezzi da esportare, attività che l’industria della difesa sud-coreana mostra di saper fare benissimo; i vertici di queste imprese grandi ambizioni di crescita nella vendita di carri, blindati, artiglierie e lanciarazzi, secondo la stampa locale l’industria della difesa punta al quarto posto come export mondiale entro il 2027.

L’export è quindi un potente e abituale strumento di influenza e ciò si sposa benissimo con la linea politica della presidenza Yoon. Ad oggi le prime 5 aziende hanno un backlog ordini di quasi 75 miliardi di dollari e sono Hanwha Aerospace, Korea Aerospace Industries, LIG Nex1, DSME e Hyundai Rotem. Nel 2022 si è svolta l’esercitazione HOGUK (‘in difesa del paese’), una lunga sessione di 12 giorni in caso di attacco missilistico e nucleare della Nord Corea per migliorare e ri-testare le capacità di risposte della macchina militare a queste indesiderate evenienze.

Il training, avviato per la prima volta nel 1996, si è svolto sia di giorno che di notte, cercando di simulare il più possibile una situazione reale di attacco combinato sia della massa di bocche da fuoco nord-coreane (che hanno a tiro la capitale Seoul) e sia delle testate convenzionali e nucleari.

La ‘tradizione’ di Pyongyang di usare i propri obici e lanciare missili in risposta alle esercitazioni sud-coreane viene sempre purtroppo rispettata. Difatti nel novembre 2010, durante una esercitazione HOGUK, le artiglierie nord-coreane colpirono l’isola di Yeonpyeongdo, facente parte di un gruppo di isole nel Mar Giallo oggetto di contestazione sulla sovranità da parte nord-coreana, causando molti feriti e uccidendo 2 soldati e 2 civili.

Le provocazioni e azioni di fuoco sono notoriamente frequenti, come il lancio di sette missili balistici in mare durante le esercitazioni navali anti-som tra Sud-Corea, Stati Uniti e Giappone, svoltesi nell’ottobre 2022. Una delle sessioni di training sospese dal 2017, poichè il governo di orientamento progressista in carica a Seoul aveva sperato in un esito positivo dei vari colloqui intessuti all’epoca tra Pyongyang e Washington, tra Kim e Trump, poi arenatisi dal 2019. Sicuramente la Sud-Corea è l’unico paese al mondo che svolge con così alta frequenza questo tipo di esercitazioni.

Il pericolo di attacco è sempre presente nei vertici e nella popolazione tutta della Sud-Corea, va quindi tenuto presente nel valutare il loro atteggiamento e risposte di fronte agli eventi geopolitici.

 

I vertici con Giappone e Stati Uniti

I recenti incontri di Yoon-Suk-yeol prima con Joe Biden, alla Casa Bianca e poi con Kishida, nel corso della visita del primo ministro giapponese a Seoul, ha ribadito la posizione della Sud-Corea e la sua ambizione a svolgere un ruolo di primo piano. Difatti la presidenza attuale ha cambiato la postura strategica rispetto alla presidenza di Moon, in primis in due direzioni:

1) rafforzando i legami tradizionali con gli Stati Uniti

2) riallacciando le relazioni con il Giappone

In particolare un passo molto importante e atteso, è stato l’avvio dei colloqui diretti tra Seoul e Tokio, il 17 aprile scorso, dopo oltre cinque anni di rapporti molto freddi, una nuova fase di relazioni spianata dagli accordi di risarcimento per gli avvenimenti accaduti durante il secondo conflitto a danno delle donne coreane durante l’occupazione giapponese.

Un fatto molto rilevante nella geopolitica dell’Indo-Pacifico. Tra gli interessi totalmente convergenti tra Seoul e Tokio vi è la sicurezza delle supply chains, le lunghe e vitali catene logistiche via mare. Entrambi i paesi pur avendo caratteristiche geografiche differenti, debbono fare affidamento solo sulle shipping lanes. Va da sé che Seul guarda sempre con molta attenzione al Mar Cinese Meridionale la seconda shipping lane più trafficata al mondo dopo lo Stretto di Hormuz e dove transitano i due terzi del fabbisogno di gas liquefatto per il Giappone, Taiwan e Corea del Sud.

La logistica sia civile che militare, dei due paesi, dipende totalmente dalla sicurezza delle rotte commerciali, dal libero transito dei tanti ‘choke-point’ percorsi dalle centinaia di portacontainer, di navi gasiere e petroliere. E dal canto suo Tokio cerca appoggio coreano sul dossier Taiwan, di cui i giapponesi sono potenzialmente uno dei guardiani nella regione assieme alla Settima Flotta statunitense, che è la più numerosa delle flotte schierate dalla US Navy. Le acque del Mar Cinese Meridionale e del Mar del Giappone sono tra gli hotspot più sorvegliati ed a rischio di casus belli.

Da anni oggetto di lunghe contese tra stati per la delimitazione delle rispettive zone di influenza e zone di sfruttamento economico. La crescente assertività di Pechino in queste acque ha via via complicato le cose.

La nuova linea politica di Seoul spinge entrare a pieno titolo in questa alleanza. Il rafforzamento dello strumento militare coreano si specchia nel:

  • nell’ulteriore build-up delle forze (formalmente di autodifesa) armate giapponesi, tra cui in particolare spicca la flotta che si sta dotando anche di portaerei,
  • negli accordi militari della AUKUS siglati tra inglesi, australiani e americani, 3) soprattutto nel mutato contesto geopolitico internazionale, il cui baricentro è quasi totalmente nel teatro Indo-Pacifico.

Tokio nel 2022 ha deciso per un budget di 6 0miliardi di dollari, pari al 2% del pil, con lo sguardo rivolto alla Cina, a Taiwan, alla Nord-Corea. Sia per Seoul che per Tokio la Cina rimane un partner commerciale di enorme importanza, fattore che inevitabilmente funge da contrappeso nelle scelte in campo della sicurezza ma che non possono essere slegate dai tantissimi intrecci economici che intercorrono tra questi stati. Tutt’altro. I dati recenti dell’economia sud-coreana lamentano una riduzione della crescita dell’interscambio con la Cina a causa dei minori acquisti di tecnologia e prodotti high-tech coreani da parte dei cinesi.

Nel corso invece dell’incontro alla Casa Bianca, il 26 aprile, il presidente Biden ha promesso a Yoon-Suk-yeol l’invio di sottomarini con testate atomiche placando così i venti che spiravano sia tra i coreani sia nel governo di dotarsi di una propria atomica. Per l’analista Jacob Shapiro: “è un successo di Joe Biden aver impedito la corsa all’atomica da parte di Seoul, dando in cambio la disponibilità di uno o più sottomarini della US Navy con testate nucleari. E le relazioni tra i due paesi non mai state così solide come ora”.

Con l’obiettivo di espandere la propria influenza Seoul oltre ai citati mega accordi di forniture belliche ai polacchi, si è orientata a partecipare allo sforzo bellico dell’Ucraina nella guerra con la Russia. Un supporto (non limitato nonlethal military supplies) bellico, pur se negato ufficialmente, dato all’arsenale di Kiev, come riportato da Analisi Difesa: sono stati almeno 100mila i proiettili di artiglieria inviati agli ucraini, anche se ufficialmente si è dichiarato che “la spedizione è servita per ripianare le scorte di munizionamento degli Stati Uniti”.

A gennaio Jens Stoltenberg, in visita a Seoul, aveva fatto richiesta ai coreani di concorrere alle forniture belliche per Kiev. Questa mossa ulteriore di Seoul anche nel conflitto russo-ucraino, costituisce un nuovo step per aspirare a candidatura de facto (non ufficiale) a Quinto paese nell’Alleanza Quadrilaterale, e di questa opinione ne sono convinti autorevoli esperti, come il professore Jagannath Panda responsabile dello Stockholm Center for South Asian and Indo-Pacific Affairs, Zack Cooper della American Enterprise Institute, le riviste come Foreign Affairs e Foreign Policy.

In ogni caso è negli auspici di Washington e del Pentagono la formazione di un trilaterale USA – Giappone – Corea del Sud, il concetto di extended deterrence e l’alleanza con Australia e Gran Bretagna (AUKUS). Tutte mosse rappresentanti un forte e inequivocabile messaggio verso i leader cinesi, con il dossier Taiwan sempre in prima fila.

Ed è la questione della Quad e il dossier di Taiwan che sono emersi inevitabilmente nel corso del recentissimo meeting a Singapore, lo Shangri-La Dialogue, il grande summit annuale organizzato dal think-tank britannico International Institute of Strategic Studies e dal governo di Singapore.

Come molti auspicavano non vi è stato nessun colloquio diretto tra Stati Uniti e Cina, ma solo una veloce stretta di mano tra il segretario alla difesa Lloyd Austin e il ministro della difesa cinese Li Shangfu, a margine della cena del venerdì.

Successivamente in due distinti incontri con la stampa, Austin ha sottolineato che non vogliono creare una NATO asiatica e dal canto suo il generale Li Shangfu ha dichiarato che una alleanza simile alla NATO, alludendo alla Quad, “potrebbe trascinare l’intera Asia in un vortice di dispute e conflitti”.

Sul fronte caldo della questione taiwanese Austin ha gettato acqua sul fuoco, chiedendo a Pechino “di dialogare e dichiarando di non avere nessuna intenzione di mutare lo status quo e tantomeno un conflitto nella regione non è né imminente né inevitabile.”

 

Immagini: Yonhap, KCNA, US DoD, Ministero Difesa Corea del Sud e  Cho-Sang.com

 

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Marco LeofrigioVedi tutti gli articoli

Nato a Roma nel 1963, laurea in Scienze Politiche, si occupa da oltre dieci anni di geopolitica, strategia, guerre e conflitti, forze armate straniere, storia navale, storia contemporanea, criminalità organizzata, geo-economia. Ha scritto decine di articoli, analisi e saggi su questi argomenti. E' membro attivo della Società Italiana di Storia Militare. Dal 2011 è co-autore, con Lorenzo Striuli, di diversi articoli di storia navale sulla Rivista Marittima della Marina Militare. Collabora fin dal 2003 con Analisi Difesa.

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