Il regime amministrativo degli Aeromobili a Pilotaggio Remoto

Un “volatile” complesso, giacché la sua identificazione non è stata e non è tuttora granché univoca: «Drone», nella terminologia giornalistica; «Sistemi Aeromobili a Pilotaggio Remoto (SAPR) e Aeromodelli», secondo l’emendamento alla edizione del Regolamento ENAC del luglio scorso; «Veicoli aerei senza equipaggio (UAVs)» in ambito ICAO.

La definizione che chiude questa rassegna è poi quella elencata nelle «Singole Categorie dei Beni Militari», che è riportata nel Libro Secondo del Codice dell’Ordinamento Militare e la cui nozione è descritta dall’articolo 246: «per aeromobile a pilotaggio remoto, di seguito denominato APR, si intende un mezzo aereo pilotato da un equipaggio che opera da una stazione remota di comando e controllo».

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L’articolo successivo di questo corpus normativo fa salve le generali disposizioni sul traffico aereo, ma ne perimetra l’impiego: «per attività operative e addestrative per la difesa e sicurezza nazionale»; e ne formula le limitazioni: «riguardanti i profili di missione, le procedure operative, le aree di lavoro e gli equipaggiamenti». Queste ultime trovano una eccezione naturale nel caso di situazioni di crisi o di conflitto armato.

Il Codice non dedica più di tre articoli e proprio l’ultimo ne fissa il regime amministrativo, considerando gli APR in dotazione alle Forze Armate quali «Aeromobili militari». Sotto questo profilo il provvedimento conferma i contenuti della legge n. 178 del 14 luglio 2004, che riguardavano le «Disposizioni in materia di aeromobili a pilotaggio remoto delle Forze Armate»; fonte poi abrogata dalle disposizioni finali del vigente Codice (articolo 2268), ma che della fattispecie in esame possiamo dire ne rappresenti l’atto di nascita.

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In questo riordino amministrativo non è stato invece soppresso il decreto del Ministro della difesa del giugno 2006, adottato ai sensi del novellato articolo 743 del Codice della Navigazione, provvedimento che riguardava l’individuazione degli aeromobili militari APR attribuendone e programmandone la definizione allo stesso ministero mediante appositi decreti. Nei successivi articoli del provvedimento ministeriale se ne ricavano i «Requisiti» e l’appropriata «Classificazione».

Ancora sull’argomento l’articolo 745 del Codice della Navigazione attribuisce la definizione di aeromobili militari alle leggi speciali e ai fabbricanti, in virtù dei requisiti tecnici progettuali e delle caratteristiche «costruttive di tipo militare, destinati ad usi militari», stabilendone l’effettiva ammissione alla navigazione solo quando «certificati e immatricolati nei registri degli aeromobili militari dal ministero della difesa».

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Traendo spunto da queste fonti ordinamentali, vale la pena estendere brevemente l’accennato regime amministrativo anche a quei profili giuridici che ne regolamentano la fabbricazione e la commercializzazione, e che sono destinati agli operatori economici il cui oggetto sociale preveda la destinazione ad usi militari dei beni prodotti.

Fonte obbligata cui indirizzare questa indagine è l’articolo 28 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, presidio normativo posto dal legislatore in tema di materiali da guerra e, in estensione, ai materiali d’armamento/prodotti per la difesa. Questi ultimi, com’è noto, sono ricavabili dall’apposito decreto del ministero della difesa, ai sensi della legge 9 luglio 1990, n. 185, decreto approvato di concerto anche con il Ministero dell’Interno.

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Questo atto, come sappiamo, recepisce l’annuale aggiornamento della direttiva dell’Unione Europea che in origine figurava come Allegato alla direttiva sui trasferimenti dei prodotti per la difesa tra gli Stati membri dell’Unione. Riguardo al tema dell’esportazione, importazione e transito di questi materiali, il controllo dello Stato è poi demandato a norme nazionali di altra fonte, con proprio regime amministrativo distinto e autonomo: la vigente legge 9 luglio 1990, n. 185.

La lettura dell’articolo 2 di questo atto normativo supporta il criterio per la qualificazione giuridica dei succitati  materiali; dal che ne consegue che in aggiunta alle chiare determinazioni definitorie del Codice, le fattispecie della fabbricazione, dell’assemblaggio, della raccolta, della detenzione e della vendita dei prodotti APR militari, ed anche delle loro parti, necessitano di un’autorizzazione di polizia, ovvero della licenza rilasciata dall’autorità prefettizia del luogo ove ha sede lo stabilimento che produce questo tipo di beni.

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Al rilascio di questo provvedimento, che assorbe anche l’autorizzazione alla commercializzazione e alla riparazione, soggiacciono anche gli studi, la progettazione e il relativo sviluppo, in quanto attività propedeutiche alla fabbricazione di tali prodotti.

Il regime applicabile si conclude con l’analisi delle definizioni e degli elementi di dettaglio descritti alla categoria 10 dell’elenco dei materiali d’armamento; ne consegue poi la valutazione di rito che in ordine ai materiali prodotti guida fabbricanti e detentori all’approccio autorizzativo in modo da   regolarizzare, nell’ambito dello speciale regime della legislazione di pubblica sicurezza, con le connesse attività industriali, la produzione di questo prodotto finale per il mercato militare.

Naturalmente la finalità dell’utilizzo degli APR non conduce al solo perimetro militare. È il caso rappresentato dal ricorso a questi prodotti da parte delle Forze di polizia ai fini del «controllo del territorio per finalità di ordine e sicurezza pubblica, con particolare riferimento al contrasto del terrorismo e alla prevenzione dei reati di criminalità organizzata e ambientale».

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Il ricorso a questi strumenti è disciplinato dal vigente decreto del Ministro dell’Interno dell’aprile 2016, il quale fornisce la «modalità di utilizzo da parte delle Forze di polizia degli aeromobili a pilotaggio remoto».

Tuttavia, la natura di questi beni non muta: essi sono «iscritti nel registro degli aeromobili militari del Ministero della difesa»; ad essi si applicano le «regolamentazioni tecniche emanate dalla direzione degli armamenti aeronautici e per l’aeronavigabilità del medesimo ministero»; e pur essendo quegli scopi di ordine e sicurezza pubblica, gli APR sono beni appartenenti all’elenco dei materiali d’armamento/prodotti per la difesa.

Ne consegue che per il settore industriale degli operatori economici che si sono incaricati della loro produzione il regime amministrativo rimane esattamente lo stesso, e per questo restano assoggettati a quella fonte obbligata dalla quale ha preso le mosse questa trattazione: l’art. 28 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza.

 

Giovanni PaganiVedi tutti gli articoli

Nato a Lucca nel 1955, laureato in Scienze Politiche con specializzazione Internazionale. Ha conseguito certificazioni presso l'Università di Genova e l'Istituto di Chimica degli esplosivi della MMI ("Master in Sicurezza degli esplosivi"), presso l'Università di Bergamo ("Master in Security Management"), presso l'Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica di Milano, presso lo Stato Maggiore della Difesa (CIFIGE). Le sue esperienze professionali lo hanno portato a operare presso le aziende Oto Melara, Alenia Marconi Systems e MBDA. E' esperto di sicurezza nei trasporti di materiale bellico e esperto qualificato in ambito AIAD (Associazione Industrie Aerospazio e Difesa) nei settori del Trasporto di Merci pericolose.

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