Saltano i vertici politici delle “due Libie” in mano alle potenze straniere

(aggiornato alle ore 23.50)

In Libia saltano le leadership politiche alla testa delle due fazioni che si sono combattute in questi anni. Da alcune settimane si registrano disordini e manifestazioni popolari nella Tripolitania governata da Fayea al Sarraj come nella Cirenaica del premier Abdullah al-Thinni e del generale Khalifa Haftar con motivazioni comuni: le proteste sono state infatti generate dal malcontento per crisi economica, carenza di servizi e corruzione.

Lecito però ritenere che dietro tali manifestazioni si celi la volontà degli sponsor esterni delle due fazioni libiche di pilotare la situazione politica nelle due aree in cui è diviso il paese per porre ai vertici del potere uomini graditi alle potenze di riferimento: a Tripoli all’asse Turchia-Qatar e a Tobruk all’alleanza Emirati Arabi Uniti -Egitto-Russia.

Ingerenze esterne che sono ornai “istituzionalizzate” dopo gli sviluppi militari dell’estate che hanno visto Tripoli liberarsi dall’assedio delle truppe del generale Khalifa i Haftar grazie alle armi e ai combattenti inviati da Ankara e sostenuti dai fondi di Doha mentre il generale della Cirenaica si è consolidato sulla linea del fronte che da Sirte corre nel deserto fino all’oasi e base aerea di al-Jufra grazie alle armi del Cairo e di Abu Dhabi, ai Mig e ai contractors di Mosca.

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Come avevamo ipotizzato su queste pagine quegli sviluppi militari avrebbero decretato la fine della sovranità libiche e delle due fazioni rivali.

Il primo a cedere è stato il premier della Cirenaica, al-Thinni (nella foto sotto), in carica dal 2014 ma dimessosi dopo appena un paio di giorni di manifestazioni contro di lui, forse a favore di Ibrahim Buchnaf, ministro dell’Interno del governo indicato da molte fonti come prossimo premier.

Il vero protagonista di questa crisi pilotata è però il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, emerso dopo la sconfitta militare di Haftar a Tripoli come l’uomo forte della Cirenaica e soprattutto come il referente politico più importante a cui affidare la gestione delle trattative per un’intesa che potrebbe sancire la conclusione del conflitto dando vita a istituzioni libiche “condivise” quanto basta per spartire i proventi dell’export petrolifero tra le due fazioni sancendo però l’esistenza di “due Libie” con diversi governi e sotto l’influenza dei rispettivi sponsor.

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Se arabi e russi guardano a Saleh (nella foto sotto) come pilastro della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar certo non ci sta a farsi emarginare ed è tornato alla ribalta con nuove iniziative militari nonostante i manifestanti abbiano attaccato il suo quartier generale a Bengasi e per la prima volta si sono verificati scontri nella sua roccaforte di Al-Maj.

Innanzitutto Haftar ha reso noto di aver rimesso in sesto un certo numero di missili balistici tattici Scud che l’esercito di Gheddafi aveva acquisito a Mosca (un paio li lanciò nel 1986 contro la stazione della Marina americana a Lampedusa), armi che da Sirte potrebbero colpire le basi turche a Misurata. Il ripristino di queste armi può essere stato effettuato solo grazie ai tecnici russi che affiancano le forze di Haftar e che hanno già rimesso in servizio molte armi di origine russa e sovietica non più operative ereditate dalle caserme di Gheddafi.

L’Esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar ha inoltre sgominato una milizia dello Stato Islamico nell’area desertica di Sebha dove sembra sia stato ucciso il “califfo” dello Stato islamico in Libia.

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Il portavoce dell’LNA, colonnello Ahmed al Mismari ha reso noto che “dopo aver ricevuto informazioni sul movimento di una cellula terroristica a Sebha l’esercito ha escogitato un piano per assaltare il quartiere in cui si nascondeva il gruppo.

La battaglia è durata sette ore con l’uccisione di nove miliziani e l’arresto di due donne”. Al Mismari ha detto: “Abu Abdullah, il nuovo califfo dello Stato islamico in Libia, è stato ucciso durante l’operazione”. I caduti dell’IS sarebbero quattro libici, due sauditi, due yemeniti e un australiano.

Un’operazione che potrebbe riavvicinare Haftar agli Stati Uniti, un tempo sostenitori del generale considerato il vero nemico del terrorismo islamico in Libia che recentemente hanno puntato invece sulla stabilizzazione della Tripolitania garantita dalla Turchia.

Le iniziative di successo dell’LNA confermano il ruolo di Haftar che tra i suoi fedelissimi (anche per affinità e rapporti tribali) può contare anche sul probabile neo premier della Cirenaica, Ibrahim Buchnaf, vicino anche ad egiziani ed emiratini, a conferma di quanto fossero infondate le valutazioni diffusesi in Italia e in Europa circa l’ormai inevitabile e imminente “liquidazione” di Haftar.

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In Tripolitania invece i dissapori all’interno del Governo di Accordo Nazionale (GNA) non sono certo una novità ma sono rimasti quasi sopiti durante un intero anno di assedio di Tripoli sotto l’attacco delle forze di Haftar.

Che la pesante influenza turca si facesse sentire in modo non certo morbido è emerso palesemente con i dissidi tra il premier al-Sarraj e il ministro dell’Interno Fathi Bashaga, uomo della Fratellanza Musulmana con molti appoggi in Turchia e Qatar. Anche in Tripolitania i disordini popolari hanno acceso la miccia per un rimpasto di governo pilotato da Ankara e Doha. Dopo aver rimosso Bashaga dall’incarico, al-Sarraj è stato costretto da Ankara e dalle milizie di Misurata fedeli al ministro a reintegrarlo.

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Da un paio di giorni giravano voci della volontà del presidente di dimettersi dalla guida del governo riconosciuto dalle Nazioni Unite e molte fonti libiche, anche vicine al GNA, come pure fonti russe, davano per certe le dimissioni di al-Sarraj già la mattina del 16 settembre.

Parlando quella sera stessa alla nazione in occasione della “Giornata del martire”, l’ l’89° anniversario dell’uccisione di Omar al Mukhtar (il capo della resistenza contro la colonizzazione italiana della Libia, impiccato davanti ai suoi seguaci il 16 settembre 1931) al-Sarraj ha annunciato la volontà di dimettersi entro fine ottobre dall’incarico di vertice del GNA che ricopre dalla fine del 2015.

“Annuncio a tutti il mio sincero desiderio di trasferire i miei poteri a una nuova struttura esecutiva al più tardi entro fine ottobre”, ha detto spiegando di voler restare al suo posto per il disbrigo degli affari correnti fino alla consegna del potere al nuovo premier.

Dimissioni gradite quindi a diverse fazioni libiche, incluse quelle di Misurata i cui aspirano a guidare la Tripolitania, a Turchia e Qatar ma a quanto pare accolte con soddisfazione anche dalle Nazioni Unite che avevano “incoronato” al-Sarraj creando il GNA cinque anni or sono.

La rappresentante speciale “ad interim” del segretario generale delle Nazioni Unite, Stephanie Williams (nella foto sotto), ha infatti elogiato ieri quella che ha definito “la decisione coraggiosa di Fayez al Sarraj”. Williams ha affermato in una dichiarazione che l’annuncio di Sarraj “arriva a un punto di svolta decisivo nella crisi di lunga data della Libia, quando è chiaro che la situazione non è più sostenibile.

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Spetta ora alle parti libiche interessate di assumersi pienamente le proprie responsabilità davanti al popolo libico”. Williams ha sottolineato che la dichiarazione di cessate il fuoco e gli incontri di Svizzera, Marocco ed Egitto sono tutti “un’opportunità per riavviare il dialogo politico intra-libico completamente inclusivo, che la Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) intende portare avanti il prima possibile”.

Quanto al suo successore è evidente che si tratterà di un uomo gradito a Doha e Ankara. Forse lo stesso Bashaga, che però risulta troppo sbilanciato verso la Fratellanza Musulmana per ottenere ampi consensi, o più probabilmente un altro misuratino, il vicepresidente del GNA Ahmed Maitig, politico moderato molto apprezzato anche negli Stati Uniti, in Russia, Turchia, Europa e in Italia.

Non è un caso che nei giorni scorsi Maitig si trovasse in Turchia dive ha incontrato il ministro degli Esteri Mehmet Cavusoglu e il ministro della Difesa turco Hulusi Akar (nella foto sotto), il quale ha confermato che la Turchia continuerà a fornire consulenza e assistenza formativa nei campi militare e di sicurezza al GNA.

Maitig si è però recato anche in Russia e nei giorni scorsi a Sochi ha incontrato  Khalid Haftar uno dei due figli maschi del generale (entrambi ufficiali dell’LNA), per mettere a punto i dettagli dell’imminente riapertura della produzione e dell’export petrolifero, confermata nel pomeriggio di oggi dall’annuncio del comandante dell’LNA.

Un successo che permetterà alle “due Libia” di incassare, spartendoli equamente, i fondi necessari a migliorare le condizioni di vita della popolazione e che conferma ancora una volta Maitig non solo come interlocutore affidabile per tutti i protagonisti internazionali della crisi libica ma anche l’unico, o comunque il più autorevole, esponente politico della Tripolitania in grado di dialogare col nemico.

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Il portavoce di Haftar ha spiegato che “il nostro sostegno a Maitig nel rappresentare la regione occidentale e’ la prova che non stiamo combattendo i libici. Abbiamo aperto un dialogo con i rappresentanti delle tribù libiche e di varie regioni con la partecipazione di Maitig e abbiamo raggiunto un accordo sulla riapertura dei giacimenti petroliferi”. Al-Misnari (ripreso dall’Agenzia Nova), ha sottolineato che è stato formato un comitato tecnico per sovrintendere alle entrate petrolifere e assicurarne equa distribuzione, in quanto l’accordo garantisce la riesportazione di petrolio da tutti i porti libici.

Esaminando questi radicali mutamenti nello scenario politico delle “due Libie”,  vale la pena evidenziare che proprio in questi giorni si sono tenuti incontri e consultazioni tra funzionari dei ministeri di Esteri e Difesa turchi e russi per prendere in esame gli sviluppi delle crisi in Libia e Siria.

L’uscita di scena di al-Thinni e al- Sarraj, evidentemente pilotato dall’esterno, potrebbe favorire quindi una nuova composizione del Consiglio presidenziale in grado di riunire tutte le parti e indire le elezioni: iniziativa che permetterebbe a turchi e russi di offrire alla comunità internazionale la stabilizzazione dell’ex colonia italiana consolidandovi al tempo stesso le rispettive aree di influenza con penetrazione economica e basi militari.

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A questi sviluppi politici e strategici appare totalmente estranea l’Italia, ormai ridotta al ruolo di gregario passivo della Turchia in Libia e nel Mediterraneo Orientale.

Unica vicenda libica che vede Roma protagonista (ma non è una buona notizia) è quella relativa ai 18 pescatori italiani e tunisini di due pescherecci di Mazara del Vallo catturati il 4 settembre in acque internazionali dalle motovedette dell’LNA di Haftar e detenuti in carcere a Bengasi.

L’accusa, secondo quanto rivelato all’Agenzia di stampa Nova dal generale Khaled al Mahjoub, alto ufficiale dell’esercito di Haftar, è di essere entrati senza autorizzazione nella zona di pesca esclusiva libica (dichiarata unilateralmente e arbitrariamente da Muammar Gheddafi nel 2005 per un’estensione fino  a 74 miglia dalla costa).

A quanto sembra i libici non intendono rilasciare i pescatori finché Roma non libererà   quattro “calciatori” in carcere in Italia per traffico di immigrati illegali.

La Farnesina ha denunciato il ricatto a cui non sembra volersi piegare e cerca di sbloccare la situazione facendo pressione sul presidente del parlamento di Tobruk Saleh e sugli alleati di Haftar, cioè russi, egiziani ed emiratini affinché si adoperino per sbloccare la situazione.

L’impressione però è che il ricatto di Tobruk sia solo un escamotage di Haftar innanzitutto per “punire” l’Italia per il suo assoggettamento alla Turchia ma forse anche per averlo emarginato dal dialogo politico preferendogli Saleh, a cui il ministro Luigi Di Maio ha fatto visita, senza incontrare Haftar, in concomitanza con il sequestro dei due pescherecci.

Del resto Haftar non ha mai perso occasione per attaccare l’Italia e in questo caso sembra aver colto l’occasione per ridicolizzare il governo di Roma, ormai vera e propria comparsa nelle vicende libiche.

@GianandreaGaian

Foto : Anadolu, Libya Herald, LNA, GNA, Libya Observer, al-Jazeera e UNSMIL

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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