La “prima volta” di Biden: gli USA tornano a colpire in Siria

Il presidente Joe Biden “apre le ostilità” per la prima volta dall’inizio del suo mandato con un raid aereo sulla Siria. Esattamente come fece il suo predecessore Donald Trump che nell’aprile 2018 ordinò di colpire con missili da crociera una base aerea delle forze governative siriane (di fatto vuota perché già evacuata dai militari di Assad) per rappresaglia per il supposto impiego di gas nervini da parte delle forze di Damasco contro ribelli e civili.

Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio jet, missili e forse elicotteri statunitensi hanno bombardato la base delle milizie scite filo-iraniane Imam Ali, nei pressi della cittadina siriana di Albu Kamal, sul confine con l’Iraq.

Il Pentagono ha fatto sapere di aver preventivamente consultato gli alleati motivando il raid con l’attacco compiuto con razzi lo scorso 15 febbraio contro la base delle forze della Coalizione di Erbil, nel Kurdistan iracheno, in cui ha perso la vita un contractor civile mentre militari statunitensi e di altre forze della coalizione sono rimasti feriti. E’ la prima operazione militare dell’amministrazione Biden, a 37 giorni dal suo insediamento. “I raid hanno distrutto diverse strutture al confine, utilizzate da una serie di milizie filo iraniane”, ha precisato il portavoce del Pentagono, il contrammiraglio John Kirby (nella foto d’apertura).

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“Il presidente Biden agirà per proteggere il personale della coalizione americana”. I razzi erano stati lanciati da un’area a sud di Erbil, vicino al confine con la provincia di Kirkuk. L’attacco venne rivendicato dal gruppo sciita Awliyaa al-Dam, o Guardiani del Sangue. L’Iran nega però di avere legami con queste milizie. La scorsa settimana un altro razzo è stato lanciato nella Zona Verde di Baghdad, che ospita le ambasciate, compresa quella americana, senza provocare vittime.

Washington non ha accusato una milizia specifica ma aveva reso noto di ritenere l’Iran responsabile delle azioni dei suoi ‘delegati’. Molti di questi attacchi, “sono stati portati avanti con armi prodotte o fornite dall’Iran”, le ha fatto eco il portavoce del dipartimento di Stato, Ned Price.

In realtà in tutto l’Iraq abbondano le armi e le munizioni di produzione iraniana che sono state fornite in gran quantità alle forze di Baghdad per far fronte alla campagna contro lo Stato Islamico. Almeno 22 i miliziani iracheni uccisi nel raid ad Abu Kamal secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), ong con sede in Gran Bretagna legata alle opposizioni al regime di Bashar Assad. I missili americani avrebbero colpito tre veicoli carichi di munizioni arrivate dall’Iraq alle milizie scite Kaitaib Hezbollah e Hashd al-Shaabi.

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Il giorno prima dell’attacco le forze statunitensi avrebbero trasportato proiettili di artiglieria e missili nella base di al-Shaddadi, nel sud della provincia di Al Hasaka, nel nord-est della Siria. Lo hanno riportato fonti locali citate dall’agenzia di stampa governativa “Sana”, che ha riferito del rafforzamento della presenza militare statunitense nella Siria Orientale dove un mese or sono, appena dopo l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, un convoglio di 40 mezzi militari proveniente dal nord dell’Iraq aveva rinforzato la presenza statunitense nella base di Rumalian. In quest’area sarebbero circa un migliaio i soldati americani che affiancano le milizie curde e impediscono alle truppe di Damasco di riprendere il possesso di alcuni pozzi petroliferi.

Il raid aereo statunitense è stato definito “un’azione illegittima che va condannata categoricamente” da Aleksei Chepa, vicepresidente della commissione Affari internazionali della Duma, la Camera bassa del Parlamento russo. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha ammesso che “i nostri militari sono stati avvertiti con quattro o cinque minuti di anticipo”, ma ha sottolineato che le truppe degli Stati Uniti (nelle due foto sotto) si trovano illegalmente nel territorio siriano, in violazione di tutte le norme del diritto internazionale, inclusa la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

A differenza dell’Iraq, dove la presenza militare statunitense e e alleata è stata chiesta dal governo di Baghdad, in Siria il governo legittimo e ricon9sciuto (quello di Bashar Assad) non ha mai “invitato” truppe straniere diverse da quelle russe e dalle milizie scite guidate dagli iraniani: per questa ragione ogni altra presenza militare straniera, turchi e statunitensi in testa, è di fatto una forza d’invasione, illegittime per il diritto internazionale.

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Dal punto di vista militare gli USA hanno colpito le milizie scite già da tempo bersaglio dei raid israeliani sul territorio siriano, mentre sul piano politico non mancano le contraddizioni in un raid che colpisce le milizie scite in Siria per punire attacchi compiuti forse da altre milizie in territorio iracheno.

Evidente quindi che Washington volesse effettuare una rappresaglia contro le milizie filo-iraniane ma non lo abbia voluta attuare in Iraq dove avrebbe messo in imbarazzo il debole governo di Baghdad guidato da una maggioranza scita e ufficialmente alleato degli USA ma molto diffidente nei confronti di Washington dopo l’attacco che presso l’aeroporto di Baghdad 14 mesi or sono portò all’uccisione del generale iraniano Kasem Suleimani.

Gli Stati Uniti hanno quindi preferito colpire nella Siria del nemico Assad, bombardando i miliziani in un’area della provincia di Deir Ezzor sotto il controllo delle forze di Damasco e dei loro alleati.

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Il raid può essere letto anche come il tentativo di Washington di accomunare la questione iraniana con quella siriana puntando forse a un negoziato con Teheran che includa il programma nucleare e la presenza militare in Siria, dove sono però Russia e Turchia oggi a esercitare l’influenza maggiore.

L’attacco statunitense contro le milizie scite ha consentito a Mosca di rimarcare l’illegalità della presenza militare americana in Siria e, indirettamente, aiuta lo Stato Islamico a riprendere forza colpendone i suoi nemici più acerrimi. Elementi che inducono a ipotizzare il rischio di un ritorno alle ambigue iniziative dell’Amministrazione Obama che favorirono l’insurrezione sunnita di matrice islamista contro Bashar Assad.

@GianandreaGaian 

 

Foto US DoD e AFP

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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