La corsa alle basi in Afghanistan e dintorni

 

 

(aggiornato alle ore 10,35)

Il dopoguerra afghano continua ad essere movimentato anche a causa delle manovre delle grandi potenze. Gli statunitensi cercano basi militari nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche per poter continuare a colpire obiettivi in Afghanistan, esattamente come fecero alla fine del 2001 alla vigilia dell’Operazione Enduring Freedom che portò alla caduta del regime talebano.

I cinesi invece sembrano voler approfittare del ritiro delle forze militari statunitensi e NATO per mettere le mani sulle grandi basi aeree e logistiche abbandonate da Washington.

 

Pechino punta su Bagram?

Un team militare cinese è atterrato a Bagram nei giorni scorsi probabilmente per effettuare un sopralluogo in vista di un possibile impiego dell’infrastruttura fino a due mesi or sono in mano agli americani. L’intervento cinese rientrerebbe nel quadro degli accordi tra Pechino e i talebani per la ricostruzione dell’Afghanistan, che potrebbero riguardare anche il supporto cinese alla riorganizzazione e addestramento delle forze militari e di polizia del regime talebano.

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I cinesi potrebbero essere inoltre interessati a visionare alcuni velivoli ed equipaggiamenti abbandonati dalle forze statunitensi e afghane, rimasti in mani talebane (vedi foto sopra e sotto) anche se in parte inutilizzabili.

La presenza militare di Pechino nella base “simbolo” della presenza statunitense costituisce di per sé un rilevante strumento propagandistico per la Cina e un ulteriore schiaffo rifilato a Washington dai talebani.

Se si considera che una delle motivazioni del ritiro statunitense dall’Afghanistan è considerata la necessità di far fronte alla minaccia più attuale e stringente rappresentata dalla Cina, è evidente che l’occupazione delle basi lasciate dagli americani in Afghanistan da parte delle truppe di Pechino rappresenterebbe un’ulteriore beffa e un altro smacco per Washington e l’Amministrazione Biden.

Non a caso l’atterraggio dell’aereo da trasporto cinese a Bagram, ex base sovietica tra il 1979 e il 1989, è stato salutato con entusiasmo dai vertici talebani consapevoli che il successo del loro regime dipende oggi soprattutto dagli aiuti economici promessi da Pechino.

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Fonti citate da US News riferiscono che la Cina punta a includere l’Afghanistan nella Belt and Road Initiative ma guarda anche al possibile impiego militare delle basi americane abbandonate, Bagram in particolare.

Secondo queste fonti le forze armate cinesi stanno valutando l’invio nella base situata a nord di Kabul di militari, mezzi e materiali anche se un portavoce del ministero degli Esteri ha smentito tale ipotesi.

“Quello che posso dire a tutti è che si tratta di un’informazione puramente falsa”, ha detto il 27 settembre Wang Wenbin ai giornalisti martedì mattina. Del resto la Cina in molti casi ha negato la presenza di propri militari all’estero spacciando per commerciali le acquisizioni dei diritti di utilizzo di parte del porto cambogiano di Ream e di quello birmano nelle Isole Coco, anche se via abbondano presenza e strutture militari.

Inoltre non si può escludere che la visita del team militare cinese a Bagram non contempli la volontà di schierarvi forze militari a breve termine oppure che Pechino punti su Bagram, una vera e propria città con servizi e persino un carcere, come “hub” per la sua presenza su vasta scala in Afghanistan che potrebbe comprendere militari, funzionari, lavoratori e aziende.

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“Data la loro esperienza passata, i cinesi devono essere ansiosi di mettere le mani su tutto ciò che gli Stati Uniti hanno lasciato alla base”, afferma Yun Sun, direttore del China Program presso il think-tank americano Stimson Center.

“Se i talebani richiedono assistenza cinese, penso che la Cina sarà incline a inviare supporto umano. Molto probabilmente, lo inquadreranno come supporto tecnico o supporto logistico”.

 

Washington cerca basi in Asia Centrale

Dopo aver abbandonato le grandi basi aeree e logistiche di cui disponeva in Afghanistan (Bagram, Kandahar, Shindand e Jalalabad) gli Stati Uniti sembrano cercare ora nuove basi nei paesi confinanti per riservarsi il diritto di colpire con incursioni aeree e di forze speciali (oggi basate nelle  monarchie sunnite del Golfo) le organizzazioni terroristiche presenti nella nazione asiatica.

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Secondo quanto riferito da Politico, citato in Italia dall’Agenzia Nova il 30 settembre, Washington sta intensificando i contatti con i Paesi dell’Asia Centrale con l’obiettivo di favorire l’accesso delle proprie forze armate alle basi militari della regione.

Lo avrebbero riferito alcuni senatori che hanno partecipato ai briefing a porte chiuse con i vertici del Pentagono e secondo cui le basi potrebbero includere quelle gestite dalle forze russe oggi ancora presenti in alcune nazioni ex sovietiche come il Tagikistan e il Kirghizistan. L’interesse statunitense sarebbe rivolto a ottenere basi in questi stati o in Uzbekistan. La questione sarebbe stata anche al centro di una conversazione tra i massimi vertici militari americani e russi, i generali Mark Milley e Valerij Gerasimov, di cui ha riferito il Wall Street Journal.

Il 28 settembre il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha ammesso che Washington ha chiesto a Mosca “un chiarimento” circa questa ipotesi.

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Nelle fasi iniziali delle operazioni statunitensi e poi della NATO in Afghanistan dopo l’11 settembre 2001, sia Uzbekistan che Kirghizistan concessero l’uso di basi aeree per scopi logistici agli statunitensi, rispettivamente negli aeroporti di Karshi-Kanabad (K2) e Manas, mentre il Tagikistan mise a disposizione della Germania e di altri paesi NATO schierati con i loro contingenti nel nord dell’Afghanistan la base aerea di Termez.

La Russia ritiene però “inaccettabile” la presenza militare degli Stati Uniti in Asia Centrale, come ha affermato il vice ministro degli Esteri, Sergej Rjabkov, al termine delle consultazioni sulla stabilità strategica con il vicesegretario di Stato degli Stati Uniti, Wendy Sherman, che si sono tenute a Ginevra il 30 settembre.

Il Tagikistan ha già consentito alla Cina di costruire il primo di undici avamposti alla frontiera con l’Afghanistan e un centro di addestramento per le sue guardie di frontiera, come ricorda The Diplomat, e ha concesso all’l’India (preoccupata dalla vittoria dei talebani spalleggiati dal Pakistan) l’uso della base aerea di Farkhor, prima base indiana all’estero gestita congiuntamente con l’Aeronautica Tagika.

Del resto ogni incursione aerea statunitense o di altre forze militari straniere in territorio afghano sarebbe ora giuridicamente illegale poichè nn autorizzata dal governo di Kabul. I talebani hanno infatti minacciato gli Stati Uniti di “conseguenze” nel caso continuino i raid dei droni nello spazio aereo afghano.

@GianandreaGaian 

Foto Twitter, US DoD ed Emirato dell’Afghanistan

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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