La Francia lascia il Mali, gli europei la seguono, i russi e i cinesi avanzano

 

 

Otto mesi l’annuncio della progressiva conclusione dell’Operation Barkhane contro l’insorgenza islamista nel Sahel, Parigi ha reso noto che le truppe francesi lasceranno il Mali anche se per la chiusura delle ultime basi ci vorranno tra i 4 e i 6 mesi, come ha detto il 17 febbraio il presidente francese Emmanuel Macron dopo l’annunciato ritiro dei militari francesi, europei e canadesi dal Paese africano. “Chiuderemo progressivamente le basi presenti in Mali in 4/6 mesi e in questo lasso di tempo continueremo ad assicurare le missioni di messa in sicurezza della Minusma”, la missione dell’Onu in Mali, che conta oltre 13.000 Caschi Blu.

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Francia, partner europei e Canada metteranno quindi fine alle operazioni anti-terrorismo condotte in Mali entro giugno.

La conferma ufficiale è arrivata con un comunicato congiunto divulgato prima del summit Ue-Africa, dopo mesi di relazioni sempre più tese con il paese africano.

“A causa dei molteplici impedimenti delle autorità transitorie maliane, il Canada e gli Stati europei che operano a fianco dell’Operazione Barkhane e all’interno della Task Force Takuba ritengono che non siano più soddisfatte le condizioni politiche, operative e giuridiche per perseguire efficacemente il loro attuale impegno militare nella lotta al terrorismo in Mali e hanno quindi deciso di avviare il ritiro coordinato dal territorio maliano delle rispettive risorse militari dedicate a tali operazioni”, si legge nella dichiarazione sottoscritta da 25 stati, tra cui l’Italia.

La Francia schiera attualmente 4.300 soldati nella regione del Sahel (erano 5.100 un anno or sono) per contribuire alla lotta anti-terrorismo. Uno dei principali obiettivi della missione, nota come Operazione Barkhane è il Mali, dove stazionano oggi circa 2.400 militari francesi (oltre la metà delle forze complessive francesi di Barkhane). La Francia guida inoltre la task force Takuba, alla quale diversi paesi europei e il Canada hanno fornito un contributo di uomini e mezzi.

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Il presidente Macron ha accusato la giunta militare al potere a Bamako guidata da Assimi Goita di aver rinunciato a dare la priorità alla lotta al terrorismo ed aver fatto un passo indietro rispetto alla sua cooperazione con gli europei.

“Il ruolo della Francia non è quello di sostituirsi al ruolo degli stati nella regione”, ha osservato aggiungendo che i contractors russi del Gruppo Wagner “è in Mali “essenzialmente per proteggere i loro interessi economici e la giunta stessa” mentre le autorità maliane continuano a negare la presenza della Wagner confermando solo quella dei consiglieri militari russi.

Macron respinge la valutazione che l’intervento francese in Mali sia stato un fallimento. “Cosa sarebbe successo nel 2013 se la Francia non avesse scelto di intervenire? Sicuramente ci sarebbe stato un crollo dello Stato maliano”, ha detto Macron aggiungendo che i militari francesi “hanno ottenuto molti successi” durante il loro impegno.

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Valutazione rilanciata dal ministro degli Esteri francesi, Jean-Yves Le Drian, per il quale “non si tratta di un fallimento della Francia ma della giunta maliana. Abbiamo l’obiettivo di arginare i movimenti delle milizie islamiste di al-Qaeda e Stato Islamico e bisogna fare in modo che gli africani riescano a gestire la loro sicurezza. Riusciremo a raggiungerli – ha aggiunto – il Mali non è ancora un Califfato”.

 

Verso il rischieramento delle forze

Alcuni elementi della task force europea Takuba “saranno riposizionati al fianco delle forze armate” del Niger, alla frontiera con il Mali, ha detto Macron spiegando che a questo accadrà in seguito alla chiusura delle basi militari in Mali di Gossi, Menaka e Gao mentre le basi di Kidali e Tessalit sono già state abbandonate dai francesi nel 2021 (vedi mappa sopra).

Un rischieramento che coinvolgerà anche i 200 militari e i 6 elicotteri CH-47 e A129D della Task Force Takuba di stanza in Mali. Del resto l’Italia è già presente in Niger con la missione bilaterale di addestramento MISIN e nella regione partecipando alle seguenti missioni:

  • Takuba (48,9 milioni di euro stanziati nel 2021 e 250 militari)
  • MISIN, missione bilaterale con il Niger (44,5 milioni e 295 militari);
  • MINUSMA missione ONU in Mali (0,5 milioni e 7 militari));
  • EUTM Mali, missione Ue in Mali, missione Ue di supporto alla sicurezza (1,1 milioni e 14 militari);
  • EUCAP Sahel Mali, missione Ue (0,6 milioni e 16 unità);
  • EUCAP Sahel Niger missione Ue di supporto alla sicurezza (0,5 milioni e 14 unità).

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La cessazione delle operazioni annunciata ieri a Parigi riguarda Barkhane e Takuba mentre resta incerto il futuro delle altre operazioni in corso nel Mali, la MINUSMA e la EUTM Mali l’addestramento dei militari locali gestita dall’Unione Europea. I Paesi europei non condividono “ne’ la strategia ne’ gli obiettivi nascosti” della giunta militare che attualmente governa il Mali” ha detto Macron.

Dubbi sul proseguimento della presenza militare tedesca in Mali sono stati espressi oggi dalla ministra della Difesa tedesca, Christine Lambrecht, dopo l’annuncio del ritiro arrivato dalla Francia.

“Sono molto scettica sul fatto che accetteremo un’estensione del mandato per quanto riguarda la missione di formazione dell’Unione europea nel Paese”, ha dichiarato, sottolineando che la partecipazione tedesca alla missione delle Nazioni Unite in Mali, MINUSMA, dipenderà dal fatto che i soldati siano adeguatamente protetti. “Finora, questo è stato ottenuto grazie alle forze francesi e se questo viene meno, dovremo cercare urgentemente un’altra soluzione”, ha affermato.

“Se scopriamo che le forze di cui abbiamo bisogno non sono sostituite dalla Francia – vicino al confine tra Niger e Mali per esempio – e nemmeno da altri stati, allora dovremo discutere se c’è la volontà del parlamento tedesco di approvare un mandato completamente diverso”, ha aggiunto il ministro. Lambrecht ha anche espresso scetticismo sui cambiamenti politici in Mali. Parlando di un ritardo di anni nella transizione politica, ha poi fatto presente che “questo non è il modo in cui interpretiamo il processo. Gli accordi non sono stati mantenuti”.

Malgrado il ritiro dal Mali la Francia e i partner Ue si impegnano a continuare a combattere il terrorismo, incentrando gli sforzi sul Niger e sul Golfo di Guinea. “Esiste un impegno duraturo degli Europei a fianco dell’Africa”, ha sottolineato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel.

 

Reazioni e conseguenze

Preoccupati molti governi dei Paesi del Sahel e dell’Africa Occidentale, che temono un aumento dell’instabilità nella regione.

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Il ritiro delle truppe francesi dal Mali e la fine dell’operazione Barkhane lasceranno un vuoto che sarà colmato dai terroristi prevede il presidente nigerino Mohamed Bazoum (nella foto sotto), che in una intervista a Le Figaro ha detto di non condividere la fine della missione perché ”svolge un ruolo molto importante per la sicurezza del Mali settentrionale, tanto vicino al Niger”.

Il ritiro delle truppe deciso dalla Francia, quindi, ”creerà un vuoto che sarà riempito dalle organizzazioni terroristiche già molto presenti in questa regione. Si tratterà di una minaccia che metterà a repentaglio l’intera stabilità del Mali prima, poi quella del Niger e della subregione per effetto domino”.

Meglio ricordare che proprio Bazoum, all’epoca ministro egli Esteri, nel 2011 aveva ammonito le nazioni NATO che scatenarono la guerra alla Libia di Muammar Gheddafi sottolineando che la caduta di quel regime avrebbe favorito la destabilizzazione e la penetrazione dei terroristi in tutta l’Afruca sahariana e sub sahariana.

Comprensibile che Parigi non voglia parlare di “fallimento” e che le valutazioni politiche tendano a mostrare il “bicchiere mezzo pieno” (Macron è in piena campagna elettorale), ma non si può non evidenziare che il Mali è stato dal 2012 il perno dell’iniziativa anti-insurrezionale francese e qui sono caduti 48 dei 53 soldati francesi uccisi in questi anni nel Sahel.

Come ricorda Angelo Ferrari dell’agenzia AGI, l’ex ministro della Difesa (del governo di Nicolas Sarkozy, Hervé Morin, ha commentato senza mezzi termini che “abbiamo uno scenario che si avvicina ogni giorno di più a quello che abbiamo visto in Afghanistan. Siamo arrivati per combattere il terrorismo e ricostruire uno stato (il Mali, ndr.) su un accordo politico e sembriamo sempre più una forza di occupazione”. Morin aggiunge che la Francia non è “riuscita nel suo obiettivo bellico” e quindi “non può rimanere in Mali contro il parere delle autorità locali”. Stessa sorte è capitata all’operazione Takuba.

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Il ridimensionamento della presenza militare francese in Mali va inserito nel più ampio contesto della decrescente influenza di Parigi nel Sahel soprattutto dopo il “nuovo corso” impostosi nei governi di Mali, Ciad e Burkina Faso, nazioni dove aumentano le iniziative e i sentimenti ostili alla Francia e aumentano invece intese e sinergie con Mosca.

Se in Mali la presenza russa (ufficiale e meno ufficiale) è tangibile, il Ciad ha dimezzato da 1.200 a 600 militari le sue forze assegnate allo strumento militare regionale G5 Sahel coordinato dai francesi pur confermando la volontà di fra fronte ai jihadisti mentre anche la giunta golpista del Burkina Faso guarda a Mosca (ma anche a Pechino per le forniture militari) per contrastare con maggiore efficacia le milizie islamiche, seguendo gli esempi di Mali e, prima ancora, della Repubblica Centrafricana.

Il ritiro francese favorirà inoltre la penetrazione della Turchia, non solo nel nome della rivalità tra Macron e Recep Tayyp Erdogan ma anche in virtù della crescente propaganda turca che nel Sahel fa leva sulle accuse di neocolonialismo rivolte a Parigi.

Ankara ha aperto ambasciate in Mali, Burina Faso e Niger tra il 2010 e il 2012 varando programmi di aiuti allo sviluppo rilevanti con la costruzione di ospedali, moschee, impianti idrici ed elettrici, firmando accordi commerciali, minerari ed energetici e instaurando programmi di cooperazione militare. Dal 2016 la Turchia addestra ufficiali dell’esercito del Mali s cui ha fornito anche armi leggere e munizioni.

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Le crescenti criticità nei rapporti tra diversi paesi africani e la Francia costituiscono un trampolino per la penetrazione di potenza extra europee ma al tempo stesso un’occasione perduta per l’Italia che avrebbe tutte le carte in regola per poter sostituire i francesi come punto di riferimento europeo per alcune nazioni in cerca di partner affidabili in termini di supporto economico e per la sicurezza ma meno “invasivi” della Francia.

Abbinando un maggiore coraggio politico, una politica di forniture di equipaggiamenti e assistenza militare e la disponibilità a varare missioni di supporto bilaterali autonome da Barkhane, dalla Francia e dalla Ue, l’Italia avrebbe potuto forse cogliere alcune opportunità scaturite dal “calo di popolarità” di Parigi nelle sue ex colonie africane.

L’Italia e l’Europa sembrano invece seguire i francesi su una strada che sembra condurre alla progressiva smobilitazione.

 

@GianandreaGaian

Foto: Ministero delle Forze Armate Francesi, RFI e Difesa.it

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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