La crisi ucraina tra “drôle de guerre” e gas

 

 

Nelle ultime 72 ore il ministero della Difesa russo ha annunciato la fine delle esercitazioni in Crimea: le unità del Distretto Militare Meridionale che hanno completato la loro partecipazione alle esercitazioni tattiche nei campi di addestramento della penisola di Crimea, stanno tornando verso le loro guarnigioni permanenti”, riporta la nota del ministero, aggiungendo che i militari hanno già attraversato il ponte di Crimea I(nella foto sotto).

Mosca ha inoltre reso noto che molti reparti schierati nella regione occidentale russa hanno iniziato a rientrare con truppe e mezzi nelle basi e caserme così come a breve è attesa anche la conclusione delle esercitazioni congiunte in Bielorussia.

 

La guerra annunciata

Gli anglo-americani hanno però negato che vi siano segni evidenti del ritiro delle truppe russe dal confine ucraino. Il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace ha dichiarato che “sino a quando non vedremo un’adeguata riduzione dell’escalation, dovremmo essere tutti cauti.

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L’ultimo report dell’intelligence mostra che il 60 per cento della potenza di combattimento terrestre russa rimane al confine ucraino insieme a una significativa flottiglia di navi in mare aperto”, ha affermato Wallace. L’Ucraina e’ ora “circondata” dalle truppe russe, “una forza che travolgerebbe” il Paese se dovesse essere dispiegata”, ha aggiunto il ministro.

Anche il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha continuato ad ammonire  la Russia: se invaderà l’Ucraina nei prossimi giorni o settimane “sarà accolta con una schiacciante condanna internazionale”.

C’è il rischio “molto alto” di un’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel giro di “alcuni giorni” e gli Stati Uniti “hanno ragione di credere” che la Russia sia impegnata in un’operazione ‘false flag’ per avere una scusa” per attaccare, ha detto ieri Biden.

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Un’accusa che giunge lo stesso giorno in cui la tensione è tornata a salire nel Donbass lungo la linea che separa le forze di Kiev e i filorussi, dove il comando militare ucraino ha accusato i separatisti di aver sparato proiettili che hanno colpito l’edificio di un asilo a Stanytsia Luhanska, ferendo due civili, e tagliando la corrente a metà della città.

Il giorno prima i separatisti avevano accusato le forze di Kiev di aver attaccato per prime (ma gli ucraini negano) e Mosca ha presentato un report alle Nazioni Unite in cui accusa l’esercito dell’Ucraina di avere commesso crimini contro residenti della regione orientale del Donbass e denuncia un “genocidio della popolazione russofona del Donbass”.

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Il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha affermato per l’ennesima volta che la Russia attaccherà l’Ucraina nei prossimi giorni. “La Russia intende inventare un pretesto”, “non sappiamo esattamente che forma assumerà.

Potrebbe essere un attacco terroristico inventato dentro la Russia, la scoperta inventata di una fossa comune, un finto attacco con droni contro civili o un attacco finto o addirittura uno reale usando armi chimiche”.

“Noi crediamo che tra gli obiettivi dell’attacco russo vi sia anche Kiev, la capitale ucraina con 2,8 milioni di abitanti” ha aggiunto Blinken denunciando all’Onu quello che ha descritto come un “dettagliato piano” d’attacco russo all’Ucraina con “i tank e i soldati che avanzeranno contro obiettivi che sono stati già identificati”. Il segretario di Stato ha parlato anche di “missili e bomba sganciate in tutta l’Ucraina, le comunicazioni interrotte e le istituzioni paralizzate da cyber attacchi. Gli attacchi convenzionali non sono gli unici che la Russia si prepara ad infliggere all’Ucraina – ha aggiunto – abbiamo informazioni che indicano che la Russia prenderà di mira gruppi specifici di ucraini”.

Non è chiaro a cosa si riferisca Blinken, ma piani di attacco russi, pubblicati dalla tedesca Bild, suggeriscono  l’intenzione di Mosca di catturare e rinchiudere in campi potenziali leader della resistenza ucraina.

Blinken ha spiegato che la speranza di Washington è che “esponendo in dettaglio questi piani, mostrandoli al mondo, possa influenzare la Russia a cambiare percorso, abbandonare quello di guerra”. Per Blinken i russi intendono “creare finte provocazioni, in modo poi da rispondere e compiere nuove aggressioni contro l’Ucraina”.

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I russi si sono limitati a definire gli scenari militari proposti dal segretario di Stato Usa Antony Blinken “deplorevoli e pericolosi”, ha detto il vice ministro degli Esteri russo Sergei Vershinin.

Resta il fatto che dopo mesi in cui Londra e Washington annunciano date della possibile invasione (l’ultima era il 16 febbraio) nessun militare russo ha finora oltrepassato il confine ucraino, né tale invasione sembra rientrare negli interessi o negli obiettivi del Cremlino.

Benché dal dicembre scorso l’Amministrazione Biden, le agenzie d’intelligence americane e il Pentagono continuino a lanciare allarmi per l’imminente invasione russa dell’Ucraina, l’ipotesi che Vladimir Putin ordini la conquista dell’ex repubblica sovietica resta infatti remota se non addirittura insensata.

Il reiterato allarmismo statunitense sembra obbedire più ai ritmi imposti dalla propaganda tesa a spezzare i legami tra la Russia e l’Europa. Una propaganda non priva di effetti comici se si tiene conto che nel dicembre 2021 Washington annunciava di ritenere inevitabile un attacco a inizio gennaio, poi slittato a febbraio poi addirittura a dopo la fine delle olimpiadi Invernali di Pechino (un “omaggio” di Putin a Xi Jin Ping) fino a inizio febbraio, quando le solite fonti d’intelligence americane ci hanno svelato che le truppe russe erano pronte al 70 per cento per invadere l’Ucraina e fino all’annuncio delle diverse date fatidiche dell’attacco russo.

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Mosca, che non ha mai minacciato di invadere né l’Ucraina, non ha alcun interesse a muovere le sue truppe verso Kiev né verso altri stati limitrofi ma, anzi, ha sempre smentito con forza tale ipotesi ventilata in Occidente.

Il concentramento di truppe russe lungo i confini occidentali non è del resto un fatto inusuale: quella è la linea di confronto con la NATO e i russi si addestrano spesso a spostare truppe e mezzi nelle aree ritenute più “calde” per mantenere l’approntamento dei sistemi logistici necessari ai movimenti in una nazione così vasta.

Consuete anche le esercitazioni con gli alleati bielorussi (nella mappa sopra le basi utilizzate) e quelle tese a rafforzare il presidio della Crimea, esposta a un possibile ma improbabile tentativo ucraino di riconquistarla.

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Pur nell’inevitabile gioco dell’escalation progressiva da “nuova guerra fredda” a cui certo né la NATO né i russi si sottraggono (come dimostrano le manovre navali nel Mediterraneo, nell’Atlantico e nel Mar Baltico, lo schieramento di velivoli da combattimento Mig-31BM armati di missili ipersonici Kinzhal a Kaliningrad e di caccia Sukhoi Su-35 in Bielorussia) appare paradossale accusare Mosca di schierare 100 mila militari sul proprio territorio o nella vicina e alleata Bielorussia per esercitazioni quando migliaia di militari americani ed europei sono schierati (e altri ne stanno affluendo) presso Repubbliche Baltiche, Polonia, Romania o Bulgaria con mezzi terrestri e aerei da combattimento.

Inoltre centinaia di consiglieri militari statunitensi, britannici, canadesi e polacchi sono oggi al fianco dell’esercito di Kiev, che non fa parte della NATO ma riceve consistenti aiuti militari dall’Occidente.

 

L’invasione che a Mosca non conviene

Invadere l’Ucraina, nazione europea di 44 milioni di abitanti dei quali un quarto con la doppia cittadinanza russa-ucraina, avrebbe costi finanziari proibitivi per Mosca, per non parlare delle perdite militari e dei successivi costi d’occupazione.

La popolazione ucraina è forse la più povera d’Europa e Mosca dovrebbe farsene carico invadendo una nazione le cui risorse minerarie non sono strategiche per la Russia, la cui industria pesante obsoleta è totalmente da ristrutturare e che andrebbe presidiata da centinaia di migliaia di militari e poliziotti una volta invasa.

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Per i russi si tratterebbe quindi di un’operazione ben diversa dall’inviare qualche migliaio di militari e qualche decina di aerei ed elicotteri in Siria in aiuto alle forze militari di Bashar Assad.

I costi militari e finanziari dell’invasione, la prolungata occupazione dell’Ucraina e le sanzioni internazionali che verrebbero sollecitate dalla comunità internazionale e il blocco definitivo dell’export di gas in Europa non sono compatibili con la strategia e gli interessi di Mosca né con le sue risorse economiche.

Il PIL russo è di poco superiore a quello della Spagna e di poco inferiore a quello della Corea del Sud (12a economia mondiale) mentre Mosca spende per la difesa meno di un settimo degli Stati Uniti e un dodicesimo dell’intera NATO. Ciò detto i russi chiedono di veder riconosciute le esigenze legate alla sicurezza dei loro confini occidentali e la mobilitazione militare ha avuto anche lo scopo di sostenere tale richiesta, respinta per ora da USA e NATO.

Benché gli anglo-americani e tutti gli stati membri della NATO abbiano escluso l’invio di propri soldati in Ucraina in caso di invasione russa, è sufficiente confrontare la mappa d’Europa (vedi sotto) del 1990 con una di oggi per rilevare che dalla caduta dell’URSS e dallo scioglimento del Patto di Varsavia non sono stati i russi ad avanzare verso il Reno ma è la NATO che si espansa ad est fino ai confini russi, minacciando inoltre di inglobare due nazioni ex sovietiche come Ucraina e Georgia.

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Sviluppi inaccettabili per la Russia, che già da anni contesta, non senza fondate ragioni, le basi missilistiche americane in Polonia e Romania che dovrebbero difendere l’Europa dalla minaccia dei missili balistici iraniani ma che in realtà impiegano lanciatori verticali in grado di ospitare missili da crociera capaci di raggiungere Mosca in pochi minuti di volo.

 

Opzioni militari: a quali condizioni?

Assurdo quindi ritenere che Mosca voglia la guerra anche se in futuro una eventuale l’adesione dell’Ucraina alla NATO o lo schieramento di truppe da combattimento americane e alleate sul suolo ucraino lascerebbero ben poche alternative alla Russia.

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un’intervista alla Bbc ha dichiarato ieri che il percorso di adesione all’Alleanza atlantica è “lungo”, ma “l’adesione alla NATO è una garanzia di sicurezza, quindi come possiamo scegliere qualsiasi altra strada? Per noi è la garanzia per non perdere la nostra indipendenza”. Alle pressioni da parte di alcuni Paesi europei che preferirebbero che Kiev rimanesse fuori dalla Nato, Zelensky risponde: “Non possiamo chiudere gli occhi e dire che è solo la Russia che non ci vuole lì. Non è vero”. Alcuni Paesi della Ue, dice, “stanno al gioco della Russia e questo è sbagliato”. Zelensky esclude però un referendum popolare per l’adesione all’Alleanza atlantica, affermando che il desiderio di Kiev di farne parte è già scritto nella Costituzione.

 

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In simili circostanze, il cui concretizzarsi non sarebbe certo nell’interesse dell’Europa, i russi potrebbero forse valutare un’offensiva militare tesa forse non a conquistare tutta l’Ucraina ma probabilmente a spingersi fino al fiume Dnepr, confine naturale tra l’Ucraina Occidentale e Orientale, con l’obiettivo di guadagnare profondità strategica occupando territori abitati per lo più da ucraini russofoni con doppia cittadinanza e allontanare di qualche centinaio di chilometri la NATO da Mosca, che dista solo 500 chilometri dal confine ucraino.

L’opzione bellica forse più credibile resta però quella legata al rischio di un attacco ucraino che, con l’aiuto della NATO, cercasse di riconquistare le province ribelli del Donbass. La risposta di Mosca sarebbe inevitabile, forse su scala limitata ma che potrebbe non accontentarsi di respingere le truppe di Kiev, puntando invece a conquistare Mariupol, sul Mare d’Azov, per conseguire una continuità territoriale tra il Donbass e la Crimea annessa alla Russia nel 2014 e consolidare le posizioni dei secessionisti filo-russi.

Improbabile però che il governo di Kiev, dove sta montando l’insofferenza per le pressioni propagandistiche di Washington che soffiano su una crisi il cui conto lo pagano in primo luogo gli ucraini, offra a Mosca un pretesto per ampliare i territori in mano ai ribelli filo-russi.

Uno sviluppo militare che minerebbe anche la residua credibilità militare nonchè forse la tenuta politica della NATO, reduce dalla bruciante sconfitta subita dai talebani in Afghanistan, umiliando anche la Ue, incapace di far fronte alla grave crisi ai suoi confini orientali.

 

Il vero obiettivo strategico degli USA è il gas

In un’ottica strategica il tentativo statunitense di separare l’Unione Europea dalla Russia, impedendo la saldatura tra la maggiore potenza economica e la più grande potenza energetica del mondo, è ben evidente nella crisi ucraina fin dai fatti del Maidan a Kiev nel 2014, che portarono l’Ucraina fuori dall’area d’influenza russa aprendo i contenziosi politici e militari del Donbass e della Crimea annessa alla Federazione Russa.

Otto anni or sono il presidente Barack Obama venne in Europa esortando gli alleati a non acquistare più il gas russo ma a rifornirsi dagli Stati Uniti. Meglio ricordarlo per comprendere come oggi i reiterati allarmi lanciati da Washington per “l’imminente” invasione russa dell’Ucraina abbiano preso il via nel dicembre scorso, due mesi dopo il completamento del nuovo gasdotto Nord Stream 2 che consentirà di raddoppiare le importazioni energetiche dalla Russia e che consente al gas di arrivare direttamente in Germania attraversando il fondale del Mar Baltico, senza attraversare Ucraina e Polonia.

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Lungo 1.200 chilometri, il Nord Stream 2 è costato 10 miliardi di euro e segue lo stesso percorso del Nord Stream 1, completato più di dieci anni fa e come il suo predecessore è in grado di veicolare 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno.

Il gruppo russo Gazprom ha una partecipazione di maggioranza nel progetto da 10 miliardi di euro. Nell’azionariato della società che lo gestisce ci sono anche le compagnie tedesche Uniper e Wintershall, la francese Engie, l’anglo-olandese Shell e l’austriaca Omv.

Fortemente voluto da Angela Merkel, il nuovo governo tedesco nel novembre 2021 ha sospeso il processo di approvazione del gasdotto, affermando che bisognava aspettare la conformità alla legge tedesca. La società operativa dietro il progetto, la svizzera Nord Stream 2 AG, ha dichiarato a fine gennaio di aver creato una filiale tedesca nonostante le crescenti tensioni diplomatiche e militari.

La gran parte delle pressioni esercitate dagli Stati Uniti su Berlino tendono a impedire l’attivazione del gasdotto e a indurre la Germania a fornire armi all’Ucraina (come già fanno USA, Gran Bretagna, Polonia e Repubbliche Baltiche), iniziativa che raffredderebbe ulteriormente i rapporti russo-tedeschi.

Quanto pesi la “guerra del gas” nella crisi ucraina e nei rapporti con Mosca non è certo notizia di oggi, basti ricordare che nel 2014 furono proprio le pressioni di Washington sulla Bulgaria a fermare il completamento di un altro importante gasdotto, il South Stream (nella mappa sotto), destinato a portare il gas russo direttamente in Europa attraversando il fondale del Mar Nero fino alla Bulgaria, da dove si sarebbe ramificato in due diverse direzioni: a nord verso Ungheria e Austria e a ovest attraverso la Grecia fino a raggiungere la Puglia.

Il South Stream sarebbe stato complementare al Nord Stream del Baltico, garantendo all’Europa rifornimenti sicuri di gas russo nelle quantità necessarie e a prezzi convenienti e senza le incertezze determinate dall’attraversamento di nazioni a rischio di destabilizzazione.

L’ostilità di Washington ai gasdotti che avrebbero bypassato l’Ucraina consolidando i legami tra Ue e Russia può essere interpretata nell’ottica militare di accentuare in ogni modo la “nuova guerra fredda” con Mosca, su cui Washington punta per sostenere la narrazione sulla minaccia russa e mantenere reattiva una NATO sempre più opaca.

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Le nazioni alleate nel sud Europa ritengono che l’alleanza dovrebbe mostrare maggiore attenzione al “Fianco Sud” caratterizzato dalla crescente instabilità di Nord Africa, Sahel e Medio Oriente, invece di concentrarsi sul “Fianco Est”.

Evidentemente però, dietro all’allarmismo e all’attivismo militare di Washington teso a sostenere l’escalation della tensione ai confini tra Europa e Russia, vi sono anche valutazioni che esulano dagli aspetti militari e riguardano invece la competizione economica.

Diversi analisti valutano da tempo che l’arma migliore nelle mani degli USA per restare nei prossimi decenni la principale potenza mondiale sia costituita dalla capacità di provocare crisi e destabilizzare le aree vicini ai loro principali competitor.

L’Europa, pur se alleata militare degli USA nell’ambito della NATO, è al tempo stesso il più temibile concorrente economico degli USA: ancor più della Cina considerato che la Ue, pur non essendo una federazione di stati, vanta un PIL più alto degli Stati Uniti e della Repubblica Popolare Cinese.

Per questa ragione interrompere o rendere più instabili i rapporti energetici tra Russia ed Europa rappresenta un duplice vantaggio per gli USA. Da un lato incassano una riduzione dell’export energetico russo, che rappresenta oggi il 60 per cento delle esportazioni di Mosca e finanzia il 40 per cento del bilancio dello Stato russo.

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Di fronte alle esitazioni di un’Europa che appare incapace di difendere con determinazione i propri interessi energetici ed economici, Mosca ha potenziato l’export di gas verso la Cina rafforzando un abbraccio con Pechino che in prospettiva non è nell’interesse della Russia ma neppure dell’Europa.

Dall’altro Washington ottiene l’indebolimento delle economie europee che dipendono in media per il 40 per cento dal gas russo e che oggi devono fronteggiare costi energetici proibitivi per famiglie e aziende. Il risultato è che i prodotti europei saranno meno presenti sui mercati e avranno costi più alti e quindi meno competitivi. Del resto tutte le alternative al gas russo, incluso un maggior ricorso al gas di Medio Oriente e Nord Africa (MENA) o al costosissimo gas liquido americano portato in Europa dalle metaniere non sono certo un buon affare per gli europei.

Gli approvvigionamenti dai paesi MENA non sarebbero in grado di rimpiazzare la quota di gas russo e sono potenzialmente a rischio in caso di crisi o conflitti regionali mentre dagli Stati Uniti il gas liquefatto trasportato via nave deve venire rigassificato per essere distribuito sulla rete europea con costi ben o più alti rispetto al gas russo. Inoltre le commesse di gas da USA e mondo arabo vanno pagate in dollari mentre quelle di gas russo vengono saldate in euro.

Dopo la crisi ucraina del 2014 gli Stati Uniti hanno incrementato l’export di gas in Europa fino a 22 miliardi di metri cubi nel 2021, il doppio rispetto al 2019 ma ben lontano dai 180 miliardi di metri cubi forniti dalla Russia.

Per incrementare sensibilmente le forniture, anche per l’assenza di gasdotti che attraversano l’Atlantico, i produttori americani pretendono contratti a lungo termine che vincolino la Ue al gas americano. Esattamente la stessa richiesta che la russa Gazprom ha espresso all’Europa per garantire nel tempo flussi costanti a prezzi concordati.

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“Abbiamo parlato con altri fornitori affidabili di gas, soprattutto Gnl (Gas naturale liquefatto), per esempio Stati Uniti, Qatar, Egitto, Azerbaigian, Nigeria per incrementare la loro fornitura all’Unione europea” ha dichiarato il 16 febbraio la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen all’agenzia AGI.

“Abbiamo parlato anche ai grandi acquirenti di Gnl per chiedere se possono trasferire dei contratti a favore dell’Unione. La scorsa settimana ho parlato con il primo ministro della Corea del Sud e questa mattina ho parlato con il premier del Giappone che è deciso a trasferire i contratti a favore dell’Ue, in modo che i fornitori, come ad esempio il Qatar, possano dirottare le loro consegne in eccesso, previste inizialmente per il Giappone, verso l’Unione europea. Questi sforzi stanno ora dando i frutti. E questo è buono. Vediamo ad esempio che a gennaio l’Unione europea ha avuto consegne record di Gnl: 120 navi che equivalgono circa a 10 miliardi di metri cubi di gas”, ha concluso la presidente.

I costi per la Ue sono però ben più alti con il gas liquefatto e gli approvvigionamenti via nave più instabili con il risultato di indebolire l’economia europea.

 

I limiti dell’Europa 

Come appare chiaro la crisi ucraina si conferma da molti anni un utile pretesto per alimentare una crisi con Mosca che ha per obiettivo l’indebolimento economico e strategico di Russia ed Europa.

Purtroppo, se si esclude il presidente francese Emmanuel Macron, tra i leader europei spiccano ambiguità che impediscono di assumere una concreta iniziativa negoziale con Mosca e frenare l’ingerenza anglo-americana tesa finora ad alimentare un’escalation destabilizzante per l’Europa.

Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz (nella foto sopra) ha ribadito oggi che “l’adesione dell’Ucraina” alla NATO “non è in programma” aggiungendo che “dovremmo essere chiari sul fatto che questa non è una buona ragione per tutta questa escalation. Non accetteremo mai di ritenere che i principi di apertura della Nato non siano più la realtà della nostra alleanza”.

Difficile quindi assumere iniziative efficaci se chi guida la principale potenza europea fatica a comprendere gli aspetti basici delle questioni strategiche e soprattutto sembra ignorare le valutazioni della Russia sulla propria sicurezza lungo i confini occidentali, peraltro chiaramente espresse in questi ultimi mesi.

Gap che vedono l’Europa farsi dettare e condizionare dagli anglo-americani la sua agenda di sicurezza, politica estera ed energetica.

 

@GianandreaGaian

Foto: Stratfor, Governo Tedesco, NATO, Commissione Ue, Ministero della Difesa Russo e Ministero della Difesa Ucraino

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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