Negoziati e “tregua di Natale”: nulla di nuovo sul fronte orientale

 

 

In questi ultimi giorni la Turchia ha tentato ancora una volta invano di rilanciare il negoziato di pace in Ucraina mentre Putin ha proclamato un cessate il fuoco natalizio di 36 ore. Nel conflitto ucraino ogni protagonista sembra giocare il proprio ruolo senza mostrare troppa attenzione alle iniziative altrui ma soprattutto guardando più all’impatto interno delle sue iniziative che alle possibilità che abbiano successo.

Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha rilanciato l’idea di un negoziato chiedendo a Putin un cessate il fuoco unilaterale. Un gesto di buona volontà su cui cercare di imbastire colloqui con i quali Ankara cerca periodicamente di accreditarsi (finora con successo grazie anche all’irrilevanza dell’Europa) come unico possibile mediatore tra Kiev e Mosca.

Vladimir Putin si è detto ancora una volta disposto al dialogo ma a patto che Kiev riconosca la situazione sul terreno, cioè che accetti il controllo russo su alcune regioni dell’Ucraina meridionale e orientale. Volodymyr Zelensky ha invece ribadito che solo il ritiro russo da tutti i territori ucraini, inclusa la Crimea, potrà gettare le basi per un negoziato.

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Di fatto quindi il dibattito è servito ancora una volta ai tre protagonisti per ribadire le proprie posizioni e ruoli, per lo più a uso interno, senza che si sano registrati progressi neppure minimi.  La decisione di Vladimir Putin di accogliere la proposta del patriarca della Chiesa Ortodossa Russa Kirill per stabilire una tregua natalizia nei combattimenti sembra invece aver preso in contropiede molti a Kiev e nelle cancellerie occidentali.

Una ulteriore conferma di quanto sia improvvisato l’impianto culturale su cui viene gestita in ambito NATO la guerra contro i russi. Kirill ha proposto di stabilire un cessate il fuoco in occasione del Natale ortodosso dalle 12 del 6 gennaio alla mezzanotte del 7.

“Io, Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, faccio appello a tutte le parti coinvolte nel conflitto intestina con un appello a cessare il fuoco e stabilire una tregua natalizia dalle 12 del 6 gennaio alle 24 del 7 gennaio, in modo che gli ortodossi possano partecipare servizi alla vigilia di Natale e nel giorno di Natale”, si legge nella nota pubblicata dal sito web del Patriarcato di Mosca.

Il fatto che Vladimir Putin l’abbia fatta sua mantenendo l’ordine di attuare il cessate il fuoco nonostante il rifiuto ucraino di aderirvi rappresenta un importante successo per il Cremlino in termini politici e di consenso. Non solo perché il vertice politico mostra sensibilità verso la Chiesa Ortodossa che lo ha sempre sostenuto, ma soprattutto perché mostra rispetto e attenzione per la fede religiosa del popolo russo.

Peraltro, il Natale Ortodosso è tale per i russi come per gli ucraini e una tregua di 36 ore avrebbe mostrato il rispetto dei contrapposti regimi nei confronti della fede dei loro popoli e soprattutto dei loro militari, esposti ogni giorno a furiose e sanguinose battaglie.

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Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu “in conformità con le istruzioni del presidente della Federazione Russa”, ha ordinato l’introduzione di un cessate il fuoco sulla linea di contatto tra le parti in Ucraina dalle 12 del 6 gennaio per 36 ore. La risposta negativa di Kiev in merito a uno stop delle ostilità da entrambe le parti non ha quindi modificato la decisione presa da Mosca.

Gli ucraini hanno respinto la proposta russa sostenendo che un cessate il fuoco sarà possibile solo con il ritiro russo da tutti i territori ucraini. Una replica che piacerà agli ultranazionalisti ma una tregua avrebbe avuto un impatto positivo su molti reparti ucraini duramente logorati in prima linea.

Per il presidente ucraino “le autorità russe vogliono usare il Natale come copertura per fermare l’avanzata dei nostri ragazzi nel Donbass”, ma la “guerra finirà quando i soldati russi se ne andranno o li cacceremo”. Valutazione di impatto propagandistico ma poco realistica considerato che nella regione di Donetsk sono i russi che stanno avanzando, con progressi nelle ultime ore a Soledar e Bakhmut mentre nella regione di Lugansk si registrano limitate avanzate ucraine nel settore boscoso a ridosso di Kremina.

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Proprio dall’area di Bakhmut, secondo indiscrezioni, il capo di stato maggiore delle forze ucraine, generale Valerii Zaluzhny (nella foto sotto), avrebbe chiesto al presidente Zelensky di poter ritirare le truppe a causa di perdite da tempo insostenibili.

La proposta “tregua di Natale” ha determinato reazioni ancora più accese in Occidente, dove nessun leader deve fare i conti con propri cittadini morti e feriti combattimento.

La proposta di Mosca di una tregua di 36 ore in Ucraina per il Natale ortodosso è “cinica” ed è solo un tentativo di Putin di “guadagnare una boccata di ossigeno”. Ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Ned Price in un briefing con la stampa, riportato dal Guardian. “Non c’è parola che possa descrivere meglio (la proposta di tregua) che ‘cinica’. La nostra preoccupazione (…) è che i russi cerchino di sfruttare ogni pausa temporanea nei combattimenti per riposarsi, riprendersi, riorganizzarsi e, alla fine, riprendere ad attaccare”, ha detto Price.

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Analisi puerile in termini militari poiché le 36 ore dedicate ai riti natalizi non hanno cambiato gli equilibri sul campo e se a Washington temono nuove offensive russe significa forse che sono consapevoli che l’esercito ucraino è stato spesso sacrificato in battaglie offensive e difensive molto sanguinose e che gli aiuti militari occidentali non tengono il ritmo con le perdite e l’usura di guerra.

“C’è un aggressore: il Cremlino. E la vittima: il popolo ucraino. Il ritiro delle truppe russe è l’unico modo serio per ripristinare la pace e la sicurezza. L’annuncio di un cessate il fuoco unilaterale è tanto falso e ipocrita quanto le annessioni illegali e grottesche ei relativi referendum” ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio Ue Charles Michel. Anche secondo il presidente americano Joe Biden quello di Mosca rappresenta un tentativo per guadagnare “un po’ di ossigeno”, viste le difficoltà delle truppe sul terreno”.

Possibile che Zelensky, Price, Biden e Michel abbiano poca dimestichezza con la dimensione spirituale religiosa ma, anche in termini pragmatici e propagandistici la tregua natalizia non avrebbe influito in modo rilevante sulla situazione di stallo strategico accompagnato da qualche dinamismo tattico sui 1.500 chilometri di fronte ucraino.

Anzi, come prevedibile, ha permesso a entrambi i contendenti di censurare l’atteggiamento e le iniziative della controparte. La presidenza ucraina ha accusato i russi di bombardare Kramatorsk, nel Donbas, nonostante il cessate il fuoco unilaterale annunciato dal Cremlino.

Il ministero della Difesa russo ha denunciato che le forze ucraine continuano a bombardare insediamenti e postazioni militari dopo l’introduzione del cessate il fuoco. “Nonostante il rispetto, oggi, 6 gennaio, dalle 12, ora di Mosca, del cessate il fuoco da parte delle forze russe, il regime di Kiev ha continuato a bombardare insediamenti e posizioni delle truppe russe”, ha affermato: il generale Igor Konashenkov, portavoce del ministero.

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Lo Stato maggiore ucraino il 6 gennaio ha reso noto che le truppe russe hanno lanciato un attacco missilistico e hanno effettuato 20 attacchi con sistemi lanciarazzi multipli. I russi invece hanno accusato gli ucraini di avere bombardato la città di Donetsk.

Le accuse incrociate sono continuate anche il 7 gennaio. Secondo il capo dell’amministrazione regionale di Lugansk, Sergei Gaidai, le truppe russe hanno continuato a condurre operazioni militari malgrado l’annuncio della tregua.

Le autorità separatiste dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, hanno invece affermato che l’esercito ucraino ha lanciato sei razzi su Makiivka. Inoltre Michail Ravzozhaev, il governatore di Sebastopoli, del Mar Nero, ha detto che nella notte tra il 6 e 7 gennaio i sistemi di difesa antiaerea hanno intercettato e abbattuto un drone sul porto della città della Crimea che ospita la base della Flotta russa del Mar Nero.

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Nulla di nuovo: la storia insegna che mantenere il cessate il fuoco in prima linea è arduo quando entrambi i contendenti sottoscrivono la tregua, figuriamoci quando è solo unilaterale.

Come era facilmente prevedibile la tregua non avrebbe comunque influito sulle operazioni, semmai avrebbe dimostrato anche da parte di Kiev e dei suoi alleati, un’attenzione nei confronti dei soldati, specie quelli in prima linea, considerandoli anche nel loro aspetto umano e spirituale e non solo come carne da cannone.

Un tema delicato considerando le elevatissime perdite subite negli ultimi mesi dalle brigate ucraine soprattutto nel settore di Bakhmut e di cui riferiscono molte dichiarazioni degli stessi militari di Kiev diffuse da diversi canali Telegram.

Come ben sanno coloro che hanno vissuto esperienze belliche, festività e riti religiosi assumono un significato molto più intenso, coinvolgente e diffuso nei contesti in cui la morte è una presenza costantemente al proprio fianco.

Valutazioni che in contesti di guerra valgono almeno in parte anche per i famigliari dei militari al fronte e per l’intera società, in modo particolare nel mondo cristiano-ortodosso. Il presidente russo ha partecipato alla messa notturna nella cattedrale dell’Annunciazione, al Cremlino e ha fatto gli auguri ai suoi connazionali, “ai cristiani ortodossi, a tutti coloro che celebrano la festa della Natività di Cristo”, quindi anche agli ucraini.

Consentire a Putin di incassare il successo in termini di consenso sociale interno determinato dalla breve tregua natalizia è stato un errore da parte dei Kiev e dei suoi alleati occidentali.

@GianandreaGaian

 

Foto: Presidenza Russa, Chiesa Ortodossa Russa, TASS, Ministero Difesa Russo e Ministero Difesa Ucraino

 

 

 

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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