Il coordinamento tra le forze marittime: il modello della Legge Bossi-Fini

 

 

Mentre il Paese è ancora una volta sotto choc per la grande tragedia marittima di Cutro che lo vede come attore involontario, ci si interroga sulla validità delle norme applicative della Fini-Bossi contenute nel Regolamento del 2003.

L’alternante politica migratoria dei Governi in carica ci ha fatto dimenticare che tra le finalità di tale normativa vi era quella di armonizzare l’azione dello Stato sul mare per prevenire rivalità, sovrapposizioni e lacune operative tra i tre Ministeri concertanti, Interno, Trasporti e Difesa. Secondo il principio del coordinamento interagenzia, Guardia di finanza, Capitanerie di porto-Guardia costiera e Marina militare svolgono infatti il controllo dell’immigrazione via mare per conto dell’Interno.

Ognuno agisce in relazione ai suoi compiti ed alle sue aree di dislocazione operativa. Come qualcuno ha osservato, il Regolamento del 2003 salvaguarda come prioritarie le attribuzioni della Guardia costiera nel soccorso (SAR) senza subordinarle a quelle “di polizia” della Gdf.

Eloquente è l’art. 2, 2 nel prevedere che:

«Restano immutate le competenze del Corpo delle Capitanerie di Porto per quanto riguarda la salvaguardia della vita umana in mare. Nell ‘ espletamento di tali attività le situazioni che dovessero presentare aspetti connessi con l’immigrazione clandestina, ferma restando la pronta adozione degli interventi dì soccorso, devono essere immediatamente portate a conoscenza della Direzione Centrale e dei Comandi responsabili del coordinamento dell’attività di contrasto all’immigrazione Clandestina…»

Inequivocabile è poi il successivo comma secondo cui «Gli interventi di soccorso e di polizia possono essere concomitanti».

E non potrebbe che essere così, d’altronde, visto che il nostro è uno Stato di diritto ove l’applicazione della legge non è sottoposta a direttive politiche. E’ perciò assurdo ipotizzare, per il naufragio di Cutro, che la politica abbia condizionato il SAR a tutto beneficio della Polizia del mare.  Salvare vite umane è difatti una funzione inderogabile che la legge attribuisce in via istituzionale al Corpo delle capitanerie e che, per gli appartenenti agli altri organi dello Stato,  è un obbligo giuridico la cui inosservanza è sanzionata penalmente.

Un semplice sguardo alle statistiche degli anni passati conferma l’impegno che la nostra Guardia Costiera ha profuso nel SAR senza alcuna specifica cooperazione degli altri Stati mediterranei ma con il decisivo apporto concorsuale di Marina e GdF.

(Fonte: Maricogecap)

Tutto questo è avvenuto anche grazie al Regolamento del 2003 che sino ad oggi ha funzionato egregiamente  anche se è apparso col tempo l’impossibilità giuridica -connessa al rispetto dei diritti umani- di attuare quelle forme di respingimento in alto mare verso i Paesi di origine previste teoricamente dal suo art. 7.

Proprio per questo si comincia a parlare di modificare la legge Fini-Bossi in modo di adeguarla al mutato quadro giuridico internazionale.

A prescindere dalla prassi dei respingimenti che tuttavia altri Stati sembrano praticare, deve ancora considerarsi valido l’impianto del Regolamento del 2003?    La risposta non può che essere positiva. Ma in concreto, in che modo il sistema di controllo dell’immigrazione incentrato sull’Interno può sconfiggere la sfida che scafisti e trafficanti portano alla sovranità italiana?

Anzitutto, perché il coordinamento  è “l’idea-base sulla quale poggia l’intero sistema della sicurezza interna, nel nostro come negli altri Paesi democratici”. E poi, perché ognuna delle Forze operanti in mare ha sue specifiche capacità che la rendono indispensabile a raggiungere l’obiettivo. Da entrambi questi punti di vista destano perplessità le riserve che hanno portato ad espungere dal Decreto Cutro (DL 20-2023) la norma che avrebbe consentito alla Marina di avvalersi del “Dispositivo integrato interministeriale di sorveglianza marittima” (DIISM), visto che la dimensione informativa è essenziale, anche sul mare, per la sicurezza nazionale.

Tra l’altro, la cooperazione con i Paesi di origine, nella fase iniziale dell’attività degli scafisti, può servire a favorire un intervento di soccorso nelle loro zone SAR. E’ quello che abbiamo fatto e continuiamo a fare con Paesi come la Tunisia ma che potremmo porre in essere anche con la Turchia o l’Egitto. Non a caso l’art. 2,1 del Regolamento stabilisce che l’azione contro il traffico di migranti via mare si sviluppa «…nei Paesi di origine dei flussi o interessati al transito, tramite attività di carattere prevalentemente diplomatico con l’obiettivo di prevenire il fenomeno “alla fonte”».

Giunti a questo punto, il discorso deve però fermarsi. Altrimenti dovremmo chiederci se c’è un’interlocuzione con quei Paesi che consentono espatri anche aerei, via Turchia o Egitto, per raggiungere le basi di partenza degli scafisti.

Foto: Marina Militare

 

 

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E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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