Ragioni più commerciali che operative dietro il ritiro dei carri Abrams dal fronte ucraino

 

Impone qualche riflessione la notizia che, su richiesta statunitense, l’Ucraina ha ritirato dalla linea del fronte i carri armati Abrams M1A1 forniti dagli Stati Uniti lo scorso autunno in 31 esemplari dei quali 5 (o forse 6) sono stati distrutti e 3 danneggiati da missili anticarro e soprattutto dalle loitering munitions (o droni-kamikaze) russi sul fronte a ovest di Avdiivka, attualmente l’area più calda nel Donbass.

“Il massiccio impiego di queste armi da parte russa rende arduo l’impiego di questi tank senza che vengano scoperti e attaccati”, hanno detto funzionari statunitensi citati dai media americani. Dopo mesi di insistenti pressioni ucraine, i tank che gli USA hanno accettato di inviare a Kiev nel gennaio 2023 consegnandoli però solo in autunno per evitarne l’impiego nella nota controffensiva ucraina sviluppatasi tra giugno e novembre, vengono ritirati dal fronte perché si sono rivelati vulnerabili al fuoco nemico.

Vulnerabili come tutti i tank impiegati in questo conflitto, siano essi russi o ucraini di tipo russo-sovietico o occidentale. L’impatto delle moderne armi anticarro (missili, droni FPV e loitering munitions) ha mostrato la vulnerabilità dei mezzi terrestri di ogni tipo, inclusi i più protetti e corazzati come i carri da combattimento.

“Non c’è terreno aperto che si possa attraversare senza timore di essere scoperti”, ha detto ai giornalisti un alto funzionario del Pentagono che ha parlato in condizione di anonimato ma questo vale per un Abrams come per Leopard, per un T-90 come per un T-64 o T-72.

Per ora, i carri armati sono stati spostati dalla prima linea e gli Stati Uniti lavoreranno con gli ucraini per ripristinare le tattiche, hanno detto il vicepresidente dei capi di stato maggiore congiunti, ammiraglio Christopher Grady e un terzo funzionario della difesa, confermando il ritiro degli Abrams dalla linea del fronte.

 

Nel momento più critico

Valutazioni che spiegano la determinazione statunitense a evitare la distruzione degli Abrams ma che non giustificano il ritiro dal fronte di tank che sono tra i migliori mezzi corazzati a disposizione dell’esercito di Kiev. Soprattutto tenendo conto che in questa fase del conflitto, che vede le forze ucraine in forte inferiorità per numero di truppe, mezzi, artiglierie e munizioni (“i russi sparano 10 mila proiettili d’artiglieria al giorno, gli ucraini 2mila” ha detto ieri il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto), ogni bocca da fuoco e ogni sistema d’arma campale  – soprattutto mezzi corazzati e artiglieria, – risulta vitale per aiutare gli ucraini a reggere l’urto dei russi che stanno guadagnando terreno su diversi fronti.

Mentre proprio i grandi media statunitensi evidenziano il rischio di un tracollo del fronte, il ritiro dei carri Abrams, come di ogni altra tipologia di mezzi corazzati, indebolisce ulteriormente la prima linea degli ucraini che già subiscono la devastazione delle retrovie ad opera dei bombardamenti aerei e missilistici russi.

Circa le ultime forniture statunitensi, i nuovi stock di missili da difesa aerea Patriot aiuteranno Kiev a difendere meglio le proprie infrastrutture, soprattutto quelle elettriche ormai almeno per metà messe fuori uso dai raid russi.

Al tempo stesso i missili balistici tattici ATACMS, lanciabili dai lanciarazzi campali Himars, permetteranno agli ucraini di aggiungere un nuovo sistema d’arma a quelli già impiegati per colpire in profondità le retrovie e le basi aeree e navali russe in Donbass e Crimea. Ma è in prima linea che l’esercito ucraino rischia il tracollo ed è qui che necessita di mezzi, armi, munizioni e truppe.

Non si comprende quindi la ragione operativa del ritiro degli Abrams poiché al posto loro combatteranno T-72, T-64 o Leopard, cioè gli altri tank a disposizione degli ucraini la cui possibile distruzione va messa in conto in un conflitto che in oltre due anni ha visto distrutti o danneggiati molte centinaia se non alcune migliaia di mezzi corazzati: secondo il sito Oryx gli ucraini hanno perduto 796 carri armati in questo conflitto tra i quali 140 di tipo occidentale, mentre i russi oltre 2.000).

 

Ragioni di marketing

Molto più facile è comprendere invece le ragioni “commerciali” del ritiro degli Abrams poiché già la distruzione dei primi esemplari aveva messo in imbarazzo gli Stati Uniti e l’apparato industriale della Difesa americano determinando il blocco su Instagram del video diffuso dai russi dell’Abrams in fiamme per violazione dei termini d’uso per “business reputation and company image”.

Gli Stati Uniti sono non solo il più grande produttore, ma anche il maggior esportatore di armi coprendo, secondo il SIPRI, il 42 per cento dell’export mondiale.

Come è sempre accaduto in tutti i conflitti se un sistema d’arma si dimostra efficace l’impatto su contratti di export e vendite è brillante. Aspetti che potrebbero risentire invece di una pessima performance sul campo di battaglia specie se carri armati da 10 milioni di dollari vengono distrutti da droni-kamikaze da poche migliaia di dollari.

Gli Stati Uniti e General Dynamics Land Systems, l’azienda che produce l’Abrams, sono impegnati in un ampio sforzo e per potenziare l’esportazione del carro statunitense sia nella versione più aggiornata M1A2 Abrams SEPv3 sia nella versione M1A1 fornita anche all’Ucraina tenuto conto che l’US Army ha in dotazione 2.600 Abrams più una riserva di altri 3.500 che potrebbe cedere ad eserciti alleati.

Molti sforzi per esportare gli Abrams sono stati concentrati da Washington sul mercato europeo dove i lunghi tempi di produzione e i pochi esemplari realizzabili annualmente dall’industria della Difesa europea cozzano con le esigenze di potenziare le piccole componenti corazzate degli eserciti europei i cui limiti sono emersi con l’attacco russo all’Ucraina.

Solo per citare un esempio, l’esercito tedesco potrà ricevere solo nel 2026 i 18 nuovi carri Leopard 2A8 ordinati nel maggio 2023. Un’Europa con pochi carri armati (specie dopo averne ceduti molti a Kiev), priva della capacità industriale di produrne molti e in tempi rapidi in un cointesto in cui si enfatizza ogni giorno il rischio di una guerra contro la Russia, offre condizioni favorevoli agli Stati Uniti per conquistare quote rilevanti di mercato nel Vecchio Continente a scapito dell’industria europea, da sempre rivale sui mercati internazionali.

 

Obiettivo: il mercato europeo dei tank

Più delle linee russe in Ucraina, gli Abrams sembrano puntare a sfondare il mercato dei carri armati europeo. Infatti negli ultimi anni sono stati acquisiti dalla Polonia (nella foto sotto e in apertura i primi tank consegnati a Varsavia) e dalla Romania che, con l’Ucraina, sono per ora gli unici clienti europei del tank americano in servizio in una dozzina di nazioni per lo più nel mondo arabo (Bahrein, Kuwait, Arabia Saudita, Iraq, Egitto, Marocco…) ma anche in Australia e a Taiwan.

Anche la saga della cessione a Kiev di carri armati occidentali ha fatto emergere gli obiettivi commerciali e le mire di Washington sul mercato dei tank europei. A fronte delle reiterate richieste ucraine il governo tedesco accettò di fornire le versioni più vecchie dei Leopard 2 e un centinaio di vecchi Leopard 1 reperiti nei magazzini solo se gli Stati Uniti si fossero impegnati per primi a fornire tank a Kiev.

Washington annunciò tale impegno ma tergiversò a lungo su versione dei carri e tempi di consegna A6 (il primo Abrams arrivò in Ucraina il 25 settembre 2023) fornendoli a Kiev oltre sei mesi dopo i Leopard 2A4 (i primi arrivarono in Ucraina nel febbraio 2023) e reperiti presso molti eserciti europei. Una parte significativa di questi tank tedeschi è andata perduta durante la controffensiva ucraina iniziata nel giugno 2023 a cui non parteciparono né i 31 Abrams né i 14 Challenger forniti dai britannici, non a caso anch’essi usciti di scena dopo che uno o forse due esemplari vennero distrutti dal fuoco russo.

La guerra in Ucraina ha visto una pessima performance del Leopard 2 (in realtà tutti i tank impiegati sui due lati della barricata si sono rivelati molto vulnerabili) esibita da centinaia di immagini e video diffuse dai russi (i cui comandi offrono premi in denaro ai militari che distruggono mezzi di origine occidentale) mentre britannici e statunitensi cercano di evitare un’esposizione mediatica negativa (o di ridurla) per i loro carri armati, incassando intanto il vantaggio commerciale di aver visto umiliato il carro tedesco, tra i più venduti nel mondo.

Si può discutere a lungo quanto abbiano influito nella pessima performance dei carri occidentali (presentati anch’essi come “game-changer” in questo conflitto) lo scarso addestramento degli equipaggi ucraini, le tattiche d’impiego troppo elementari e raffazzonate, l’assenza di supporto aereo e tanti altri elementi ma in termini commerciali è innegabile che l’immagine dei Leopard sia uscita molto ridimensionata dalla prova del  conflitto ucraino a cui i carri anglo-americani sembrano invece volersi sottrarre.

I Leopard 2 sono i diretti rivali degli Abrams su quei mercati che acquistano armi occidentali e il ritiro dei tank statunitensi dal fronte ucraino la dice lunga su quanto pesino gli aspetti commerciali e di business rispetto alla retorica della difesa dell’Ucraina che combatte per libertà e democrazia e che “deve vincere”, come ripetono in tanti in Europa e USA.

 

Del resto, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, la gran parte dei 95 miliardi di dollari destinati agli alleati (61 per l’Ucraina) e sbloccati dal voto di Camera e Senato statunitensi nei giorni scorsi, resteranno negli Stati Uniti in termini di commesse per l’industria della Difesa e di finanziamento delle attività di comandi militari e agenzie statunitensi.

Lo ha rilevato ieri anche il Washington Post spiegando che quasi l’80% del denaro stanziato per Ucraina e Israele sarà speso negli Stati Uniti o nell’industria della difesa americana e persino gli aiuti alimentari devono essere acquistati negli USA e devono essere trasportati tramite corrieri americani. Un indotto economico (che verrà spalmato su gran parte degli stati degli USA) non certo irrilevante in piena campagna elettorale.

@GianandreaGaian

Foto: Ministero della Difesa polacco e Instagram

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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