La sfida militare tra USA e Russia torna nello spazio

 

Seppure i trattati in vigore vietino l’impiego di sistemi armati nello spazio, l’importanza basilare dei satelliti per la ricognizione, le comunicazioni e la geolocalizzazione, nonché il transito dei veicoli balistici al culmine della loro traiettoria, fanno dello spazio orbitale circumterrestre un’arena di battaglia che, per il momento, è soltanto “congelata”. I recenti allarmi americani risuonati nel febbraio 2024 sui progetti antisatellite russi, negati da Mosca, e i susseguenti confronti in sede ONU, tra fine aprile e inizio maggio, stanno riportando d’attualità il tema delle “guerre stellari”. Per giunta, nella prima metà di marzo s’è tenuta in Francia l’esercitazione NATO di guerra spaziale denominata AsterX, che simulava misure di difesa dei propri satelliti.

 

Lunedì 6 maggio 2024 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite s’è svolto un dibattito sul problema delle armi spaziali e dei pericoli per i satelliti che assicurano oggi servizi irrinunciabili in campo militare e civile. Alle accuse occidentali di avere schierato in orbita, forse, uno o più satelliti che potrebbero segretamente imbarcare testate nucleari, oppure reattori nucleari che alimentano armi anti-satellite, l’ambasciatore russo all’ONU, Vassilj Nebenzja, ha difeso il veto posto dalla Russia un paio di settimane prima, il 24 aprile, a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza chiesta da Stati Uniti e Giappone per ribadire la proibizione della messa in orbita di armi atomiche, in base al Trattato sullo Spazio extra-atmosferico del 1967.

Quel giorno, nell’ambito del Consiglio, 13 stati, fra cui gli USA hanno votato a favore, la Cina s’è astenuta e la Russia ha posto il veto.

L’ambasciatrice americana all’ONU, Linda Thomas-Greenfield, ha così reagito al veto russo: “Siamo chiari, in nessun modo questo voto mina gli obblighi che la Russia od ogni altro stato firmatario continua ad avere sotto il Trattato dello Spazio extra-atmosferico. Il veto di oggi pone la domanda: perché? Perché se voi (i russi, n.d.r.) seguite le regole, non supportate una risoluzione che riafferma quelle regole? Cosa avreste da nascondere?”.

Nebenzja, lo stesso 24 aprile e anche nel dibattito del 6 maggio, ha giustificato il veto russo parlando di “ipocrisia e doppi standard dell’Occidente” e ricordando che Russia e Cina, in alternativa, proponevano una diversa risoluzione ONU che chiedeva il “divieto di tutte le armi spaziali, nucleari e non”.

In particolare, l’ambasciatore russo ha rimarcato “il rifiuto di comprendere nel divieto tutti i tipi di armi” perché “i paesi occidentali stanno pianificando l’esplorazione militare dello spazio esterno, incluso il dispiegamento di armi e di sistemi di attacco”.

Il veto russo è arrivato dopo almeno due mesi di rinnovato allarme da parte di Washington su presunte capacità spaziali antisatellite russe che potrebbero essere già esistenti a livello sperimentale, anche se non ancora operative. Il 25 aprile, il consigliere alla Sicurezza Nazionale statunitense Jake Sullivan (qui sotto nella foto con Biden) ha ricordato come l’amministrazione del presidente Joe Biden resti convinta che la Russia stia perseguendo l’obbiettivo di un’arma antisatellite nucleare.

Poi, il 1° maggio, il vicesegretario alla Difesa USA per le politiche spaziali, John Plumb, ha riferito in tal senso alla commissione Forze armate della Camera di Washington: “La Russia sta sviluppando una preoccupante capacità anti-satellite nucleare, relativa a un nuovo satellite trasportante un congegno nucleare che la Russia sta mettendo a punto. Questa capacità potrebbe porre una minaccia a tutti i satelliti gestiti da paesi e compagnie di tutto il mondo, così come a vitali comunicazioni e servizi scientifici, meteorologici, agricoli, commerciali e di sicurezza nazionale da cui tutti dipendiamo”.

Il 3 maggio, poi, la vicesegretaria di Stato USA per il controllo degli armamenti, Mallory Stewart, ha riferito presso il Center for Strategic and International Studies (CSIS) gli ultimi aggiornamenti circa le informazioni di intelligence che circolano da alcuni mesi sul programma antisatellite russo.

Ha citato esperti come l’astrofisico Jonathan McDowell, dell’università di Harvard, concordi nel pensare che potrebbero esserci satelliti già in orbita con caratteristiche tali da giustificare il sospetto che portino una bomba nucleare a scopo antisatellite. Uno fra gli ultimi considerati sarebbe il Cosmos 2553, detto dai russi Neitron, ufficialmente un satellite da ricognizione, su cui vige il più stretto riserbo, messo in orbita già da oltre due anni, il 5 febbraio 2022, con un razzo vettore Sojuz nella versione Sojuz 2.1a Fregat, con capacità di carico fino a 7000 chili.

Il Cosmos 2553 Neitron (nell’immagione qui sopra)è stato immesso, e tuttora vi si trova, su un’orbita praticamente circolare, con apogeo e perigeo di circa 2000 km, praticamente sul confine tra la regione delle orbite basse e quella delle orbite medie.

Sul Neitron non si hanno informazioni precise, sarebbe un ricognitore per immagini ottiche della Terra, ma secondo alcuni anche per rilevamenti radar delle orbite di altri satelliti. Il Ministero della Difesa russo ha solo divulgato che “è un veicolo spaziale dimostratore tecnologico, equipaggiato con strumenti di bordo di nuova concezione e con sistemi per testare l’influenza su di essi di radiazioni e particelle cariche pesanti”.

A riguardo del Neitron, la Stewart ha contestato che “in quella fascia orbitale non ci sono radiazioni abbastanza forti da giustificare simili ricerche”. E poi: “I nostri esperti asseriscono che la detonazione di un ordigno nucleare con una particolare posizione, orbita e magnitudine, renderebbe la fascia di orbita bassa inutilizzabile per un certo lasso di tempo”.

Il Cosmos 2553 Neitron è però solo uno dei satelliti “sospetti” messi in orbita dai russi negli ultimi anni, senza contare sistemi americani e cinesi che, parimenti, fanno intravedere una corsa agli armamenti orbitali, per ora latente, che in realtà vede in campo più di una nazione, sebbene nessuna delle parti in causa ammetta di esservi impegnato.

Sui programmi spaziali militari della Russia, come anche degli Stati Uniti e delle altre potenze, incombe sempre una comprensibile cortina di riserbo e moltissimi aspetti possono solo essere intuiti, specie riguardo alle caratteristiche tecniche di veicoli spaziali in gran parte segreti. Che tuttavia la partita in corso sia ben concreta lo testimonia la febbrile mobilitazione diplomatica in atto da alcuni mesi.

 

Atomiche in orbita?

In una delle ultime riunioni del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Federazione Russa, lo scorso 1° marzo 2024, il presidente Vladimir Putin ha apertamente negato, e non poteva fare altrimenti, l’intenzione di schierare in orbita circumterrestre veicoli spaziali che rechino a bordo armi nucleari, come nei giorni precedenti avevano insinuato gli Stati Uniti d’America.

Rivolgendosi a una platea, che, solo per ricordare alcuni nomi, comprendeva il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Dimitri Medvedev, il primo ministro Mikhail Mishustin e i capi dei servizi segreti interni FSB, Alexander Bortnikov, ed esteri SVR, Sergeij Narishkin, ha detto Putin: “Voi e io abbiamo già discusso false notizie provenienti da alcuni ufficiali occidentali, secondo cui staremmo presumibilmente progettando di dispiegare armi nucleari nello spazio. E dico ‘presumibilmente’ perché non abbiamo simili piani, come già ho detto e come già ben sappiamo”.

Era da oltre due settimane che negli Stati Uniti si lanciava l’allarme sulla possibile messa in orbita da parte dei russi di testate nucleari, facendo sospettare, anzitutto un possibile uso antisatellite, ma forse anche un loro potenziale impiego come “spada di Damocle”, cioè pronte in caso di guerra a una ricaduta programmata su comando verso la superficie terrestre.

La Russia, come del resto anche gli Stati Uniti e qualsiasi altra potenza aerospaziale, non potrebbero dispiegare simili sistemi, date le espresse proibizioni del Trattato sullo Spazio extra-atmosferico in vigore dal 1967. L’unica alternativa sarebbe l’impiego di sistemi FOBS, sigla di Fractional Orbital Bombardment System, che in effetti Russia e Cina mostrano di rispolverare, ma che si tratta, in sostanza, di testate nucleari che compiono solo una frazione di orbita (da cui “Fractional”), ricadendo sull’obbiettivo prima di aver effettuato una rivoluzione completa attorno alla Terra.

Un’arma FOBS classica è diretta a obbiettivi terrestri e non a veicoli in orbita, per quanto ci sia sempre la possibilità che la carica nucleare possa essere fatta detonare per investire satelliti con l’emissione termica e soprattutto elettromagnetica.

L’efficacia come arma antisatellite di un ordigno con traiettoria FOBS sembra però, a prima vista, limitata dal fatto che il suo campo d’azione sarebbe una ristretta fascia di bassa quota. Diverso il caso in cui Mosca, contravvenendo al trattato, ponesse uno o più ordigni in orbite stabili a maggiore quota.

La cosa certa è che l’allarme lanciato dagli Stati Uniti nel febbraio 2024 è risultato vago, forse volutamente. Tutto è iniziato il 14 febbraio, quando il deputato repubblicano Mike Turner, presidente della commissione Intelligence della Camera USA, ha anticipato con un post su X (l’ex-Twitter): “C’è una seria minaccia alla sicurezza nazionale e il presidente Joe Biden deve informare tutto il Congresso, l’amministrazione USA e i nostri alleati affinché possano apertamente discutere le azioni necessarie a rispondere a questa minaccia”.

Si riferiva all’imminente riunione della cosiddetta gang of eight, ovvero la “banda degli otto” che comprende gli otto esponenti del Congresso autorizzati ad accedere ai massimi segreti, convocata per il giorno dopo dal consigliere alla Sicurezza Nazionale USA Jake Sullivan.

La “banda” è formata dal presidente e vicepresidente della Commissione Intelligence della Camera, il repubblicano Mike Turner, appunto, e il democratico Jim Himes, dal presidente e vicepresidente della Commissione Intelligence del Senato, il democratico Mark Warner e il repubblicano Marco Rubio, e dai rispettivi capigruppo di maggioranza e minoranza dei due partiti nelle diverse aule, per la Camera Mike Johnson (rep) e Hakeem Jeffries (dem), per il Senato Chuck Schumer (dem) e Mitch McConnell (rep). Turner e Himes hanno anche indirizzato al Congresso una lettera che secondo ABC News citava “una capacità militare straniera destabilizzante”.

Le indiscrezioni della stampa americana in quei giorni anticipavano, senza ulteriori elementi specifici, che Sullivan aveva convocato la gang of eight per informarla di nuove minacce spaziali da parte della Russia. Si sussurrava di “armi nucleari russe in orbita”, oppure, in alternativa, di “armi antisatellite alimentate da un reattore nucleare”.

Il che può significare molte cose, a cominciare da ordigni deputati a neutralizzare i satelliti tramite impulso elettromagnetico EMP, oppure satelliti killer muniti di armi irraggianti, siano essi laser o fasci di particelle, il cui altissimo consumo d’energia è soddisfatto da un piccolo reattore atomico di bordo. La casistica potrebbe teoricamente comprendere anche l’ipotetica variante, da decenni ipotizzata da scienziati di vari paesi, consistente in un satellite il cui ordigno nucleare incorpori speciali barre metalliche le quali, all’atto dell’esplosione, una frazione di secondo prima di disintegrarsi, possano concentrare in un’unica direzione coerente un istantaneo e potentissimo fascio di raggi X con effetti distruttivi su veicoli spaziali o testate in fase esoatmosferica.

Un indizio della preoccupazione americana datava a pochi giorni prima della chiamata della “banda degli otto”, quando, il 12 febbraio, l’ufficio della Casa Bianca per le politiche tecnico-scientifiche, alias Office of Science and Technology Policy (OSTP), ha pubblicato un elenco di “tecnologie emergenti e critiche per la sicurezza nazionale”, fra cui “tecnologia spaziale, energia diretta (cioè armi laser o ad altri tipi di raggi o particelle) e ipersonici”.

All’indomani della riunione della “gang”, il 16 febbraio, il portavoce del consiglio della Sicurezza Nazionale americano John Kirby s’è limitato a dire che le informazioni raccolte dai servizi segreti statunitensi indicano che le nuove armi orbitali russe sono destabilizzanti, ma non ancora dispiegate nello spazio, il che lascia intendere, dal punto di vista di Washington, un pericolo ancora non imminente, ma forse incombente in un futuro relativamente vicino e su cui gli Stati Uniti si stanno consultando con gli alleati europei.

Stando a Kirby: “Non si tratta di una capacità attiva che sia stata già dispiegata e anche se il perseguimento da parte della Russia di questa particolare capacità è preoccupante, non esiste una minaccia immediata alla sicurezza di qualcuno”.

Kirby ammette che la presunta arma in preparazione sia “basata nello spazio”, dunque evidentemente in grado di permanervi per lunghi periodi con una sequenza di orbite complete, ma ha rifiutato di specificare se sfrutti sistemi nucleari imbarcati per produrre energia, oppure per causare esplosioni distruttive. Cercando di tranquillizzare l’opinione pubblica, ha aggiunto: “Non stiamo parlando di un’arma che possa essere usata per attaccare persone o causare distruzioni fisiche qui sulla Terra”. Ma ha ammesso che “potrebbe porre un rischio letale agli astronauti in orbita bassa, oltre a distruggere potenzialmente satelliti civili e militari vitali”.

Lo stesso giorno, da Mosca, il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, anticipando le smentite espresse dallo stesso Putin, ha accusato il governo statunitense di fare propaganda antirussa per spingere i parlamentari di Washington a sbloccare l’arenato pacchetto da 60 miliardi di dollari di forniture militari per l’Ucraina: “È ovvio che Washington sta cercando di costringere il Congresso a votare il disegno di legge sugli aiuti con le buone o con le cattive. Vediamo quale stratagemma userà la Casa Bianca”. Usare, da parte del governo USA, uno spauracchio in stile Sputnik per convincere i deputati di Washington che la futura apocalisse preparata dalla Russia negli spazi celesti si può evitare solo armando senza remore l’Ucraina potrebbe essere una spiegazione più che plausibile, ma forse non è l’unica.

 

Trattare nell’ombra

Il 20 febbraio Putin ha esordito sul tema in oggetto insieme al ministro della Difesa Sergei Shoigu, ripresi entrambi dalla televisione russa in un loro colloquio. Assicurava il presidente: “La nostra posizione è chiara e trasparente. Siamo stati sempre categoricamente contrari allo schieramento di armi atomiche nello spazio e lo siamo tuttora”. E Shoigu: “Primo, non abbiamo tali sistemi nello spazio. Secondo, loro sanno che non li abbiamo, ma continuano a fare storie”. Ma il ministro russo ha anche osservato: “Può essere un tentativo dell’Occidente di spingerci così goffamente a far ripartire un dialogo sulla stabilità strategica”.

Le interessanti parole di Shoigu (oggi ex ministro della Difesa) sono state riprese il 22 febbraio dalla prestigiosa rivista americana Foreign Policy, che ha ricordato che la Russia, di per sé, sarebbe in effetti molto riluttante a dispiegare davvero armi nucleari in orbita terrestre, essendosi sempre opposta ufficialmente a violazioni del Trattato sullo Spazio Esterno.

I suoi esperimenti militari nello spazio e le informazioni trapelate, e, magari, ingigantite dall’intelligence, potrebbero essere nient’altro che moniti. Da parte russa ci sarebbe evidentemente interesse a lasciare che gli Stati Uniti continuino ad avere un sacro terrore di quanto la nazione dello Sputnik potrebbe essere capace di fare nel cosmo, anche se al momento si restasse fermi alla fase prototipica, per mantenere un credito diplomatico sufficiente a pretendere lo stato paritario di Mosca rispetto a Washington nel decidere i destini del mondo.

Da parte americana, invece, l’allarmismo sarebbe diretto a spronare i russi a colloqui sul controllo delle armi strategiche, anche spaziali, senza accettare la condizione posta dal Cremlino per ripristinare le reciproche garanzie, ovvero la cessazione del supporto militare americano (e, a ruota, NATO) all’Ucraina. Foreign Policy ricorda giustamente come negli ultimi anni siano entrati in crisi tutti i trattati di limitazione degli armamenti ereditati dalla Guerra Fredda.

E come anche l’ultimo che, sulla carta resiste, il New START sulle testate nucleari strategiche, in vigore dal 2011 e rinnovato nel 2021 per soli cinque anni, fino al 2026, sia in pratica azzoppato dalla sospensione delle reciproche ispezioni seguita alla guerra russo-ucraina.

La rivista ricorda altresì che il Pentagono intende stanziare 8 miliardi di dollari per la protezione, per quanto possibile, in resistenza intrinseca e ridondanza, della sua complessa “architettura” di satelliti di comando, controllo e comunicazione, specie riguardo alla connettività delle forze nucleari strategiche, per assicurare la prontezza della risposta. La questione spaziale è dunque direttamente intrecciata al contesto del New START e, in generale, del ben noto equilibrio del terrore, facilmente compromesso in caso di attacco di una delle due parti ai sistemi di monitoraggio strategico in tempo reale.

A rafforzamento dell’allarme, Foreign Policy cita anche l’analisi di John Wolfsthal, direttore della sezione rischi globali della Federation of American Scientists, nonché ex responsabile per il controllo degli armamenti del Consiglio della Sicurezza Nazionale USA: “Un’esplosione nucleare nello spazio creerebbe una serie di effetti devastanti, inclusi un impulso elettromagnetico e radiazioni di più lunga durata che circonderebbero la Terra e comprometterebbero drammaticamente le comunicazioni satellitari su scala mondiale. Alcuni sistemi rinforzati potrebbero sopravvivere, ma altri satelliti militari non protetti e quasi tutti quelli commerciali non scudati sarebbero potenzialmente vulnerabili. Il sistema globale economico e di comunicazioni potrebbe venir interrotto o distrutto per anni e alcune orbite rese pericolose, se non inservibili per un esteso periodo di tempo a causa dei rottami spaziali”.

A Wolfsthal ha fatto eco il 24 febbraio sul Financial Times l’esperto James Acton, codirettore del programma di politica nucleare dell’istituto Carnegie Endowment for International Peace: “I militari statunitensi usano lo spazio in un modo molto efficace e la Russia crede che attaccare satelliti sia una strada per livellare il terreno di gioco in tale conflitto”.

In realtà le cose non sembrano così semplici poiché, per quanto gli Stati Uniti siano la potenza che maggiormente dipende dai satelliti, la stessa Russia, che del resto ha storicamente preceduto Washington nella conquista dello spazio circumterrestre, non è poi da meno, per tutti gli arcinoti aspetti della ricognizione, delle comunicazioni e del preallarme.

Per non parlare della rete di geoposizionamento globale Glonass, il corrispettivo russo del GPS, che, per fare un esempio significativo, è stata fra gli ingredienti basilari delle vittorie tattiche russe in Ucraina negli ultimi mesi, come la conquista di Avdiivka il 17 febbraio 2024, grazie al crescente impiego di bombe plananti a guida satellitare FAB (nella foto sotto), rese “intelligenti” da speciali kit con ali estensibili e relativo apparato di manovra, secondo il principio delle JDAM americane, sganciate dai velivoli da combattimento Su-34 fuori dal campo dell’antiaerea ucraina a breve raggio.

Anche la Russia, quindi, non ha interesse a scatenare una corsa agli armamenti spaziali, almeno finché, nel futuro a breve-medio termine, resterà margine per addivenire a trattative di sicurezza globale di cui l’assestamento della situazione in Ucraina non potrà che rappresentare solo una delle molte sfaccettature.

Che la presunta “crisi spaziale” russo-americana possa essere, almeno in parte, strumentale nell’ambito di un gioco reciproco a sondare rispettive disponibilità di dialogo parrebbe, a prima vista, corroborato da indiscrezioni riportate il 23 febbraio dal Wall Street Journal e dalla rete televisiva CBS News secondo cui, nei giorni seguenti al cancan della “gang of eight”, ci sono stati contatti di altissimo livello fra i vertici dei servizi segreti delle due parti.

Il capo della CIA, William Burns, ha parlato col collega Sergeij Narishkin, il capo dell’SVR, mentre Jake Sullivan, consigliere di Biden per la sicurezza nazionale, s’è consultato con Jurij Ushakov, che è fra consigliere di Putin per la politica estera, oltre che ex-ambasciatore russo a Washington fra 1999 e 2008.

Simili doppi contatti fra parigrado devono essere stati senza dubbio di un certo peso, anche se il viceministro degli Esteri russo, Sergej Rjabkov, li ha definiti “improduttivi”, lamentando che la stampa americana ha rivelato colloqui che sarebbero dovuti rimanere segreti.

L’accenno alla riservatezza può significare che anche nelle settimane successive alla fine di febbraio 2024, russi e americani possono aver intavolato ulteriori consultazioni strategiche su argomenti spaziali e/o nucleari, con la differenza che le fonti statunitensi all’interno degli apparati d’intelligence possono aver evitato, stavolta, di accennarne alla stampa per vari motivi, non ultimo il voler evitare di dare all’Ucraina e agli alleati europei l’impressione di trattare alle loro spalle con Putin proprio nello stesso periodo in cui si manifestavano le difficoltà di rifornimento militare a Kiev dovute alle contrapposizioni nel Congresso di Washington.

 

Gli oggetti misteriosi

Possibili subordinazioni dei sospetti sulle “guerre stellari” all’andamento del più generale quadro diplomatico Mosca-Washington non escludono la dimensione concreta della minaccia. A mettere sull’avviso gli americani sarebbero stati soprattutto due recenti lanci orbitali effettuati dai russi nei mesi scorsi.

Il 27 dicembre 2023 l’agenzia spaziale russa Roskosmos ha immesso in orbita per conto del Ministero della Difesa un satellite militare segreto noto ufficialmente solo come Cosmos 2574, la classica denominazione dietro cui i russi celano fin dai tempi sovietici i veicoli spaziali più svariati, riservandosi solo in un secondo tempo di rivelarli, oppure no, a loro discrezione.

Il lancio è avvenuto dal poligono spaziale di Plesetsk, 800 chilometri a Nord di Mosca, nella fredda regione di Arcangelo. Il vettore è un’inconsueta versione della ramificata famiglia dei razzi Soyuz, il Soyuz-2-1v, un bistadio alto 44 metri e dal peso al decollo di circa 158 tonnellate. Operativa dal 2013, questa versione è stata finora poco utilizzata, con appena una dozzina di lanci in un decennio.

Pochi lanci, sì, ma in gran parte di natura riservata. Si differenzia dalle altre versioni Soyuz per la sua forma cilindrica fin dalla base. Mirando a un vettore leggero ed economico, gli ingegneri della fabbrica costruttrice, la TsSKB Progress di Samara, hanno semplificato la struttura rinunciando a quel caratteristico “grappolo” di 4 motori booster fissati attorno al motore centrale del primo stadio, che ha sempre contraddistinto i razzi Soyuz, a loro volta evoluzione del primo missile intercontinentale sovietico, l’R-7 Semyorka.

Il Cosmos 2574, stando ai dati divulgati dal comando americano del NORAD e dall’US Air Force Space Command, che monitorano tutti gli oggetti spaziali rilevabili, è stato immesso in un’orbita bassa con apogeo di 339,4 km e perigeo di 328,7 km, inclinata di 96,7° rispetto all’Equatore. Il periodo di ogni orbita è di 91,1 minuti e la particolarità più importante è che si tratta di un’orbita eliosincrona, vale a dire sincronizzata col Sole.

Significa che il satellite passa sopra ogni punto della Terra da esso sorvolato alla stessa ora solare, una caratteristica in genere associata ai satelliti da ricognizione e osservazione ottica, che in tal modo a ogni passaggio su una data area godono di luminosità costante del suolo. E’ chiaro però che, in senso lato, un’orbita eliosincrona può altrettanto bene fornire chiarezza per quanto riguarda un obbiettivo terrestre da bombardare, nel malaugurato caso di ordigni nucleari deorbitabili a comando, oppure essere stata anche scelta volutamente come depistaggio, per avvalorare negli avversari l’idea che, in fondo, ci sia in ballo “solo” un veicolo da osservazione.

Un veicolo spaziale che pare gemellare al Cosmos 2574 è stato lanciato poco più di un mese dopo. Il 9 febbraio 2024, sempre da una rampa di lancio di Plesetsk, un altro razzo vettore Soyuz-2-1v ha trasportato su un’orbita similare il Cosmos 2575, altro oggetto su cui il governo di Mosca detiene stretto riserbo. Immesso su un’orbita pure eliosincrona, come il predecessore, corre attorno al globo tra un apogeo di 358,1 km e un perigeo di 349,2 km in un periodo di 91,5 minuti e su un’inclinazione similare di 96,7°.

Entrambi gli oggetti, Cosmo 2574 e 2575, sarebbero del medesimo tipo, ma non si sa nulla di preciso su di loro. I russi hanno solo dichiarato, dopo i lanci, che “sono sotto il controllo operativo delle forze aerospaziali VKS”, le Vozdusno Kosmiceskie Sili, che dal 2015 raggruppano un un’unica forza armata l’Aeronautica e le forze cosmonautiche della Russia. L’ipotesi più diffusa, ripetuta da esperti e fonti aperte, ma non confermata dal Cremlino, è che si tratti di sistemi da ricognizione elettro-ottica del tipo EO-MKA, anche noto come Razbeg, di peso limitato, sui 250 kg, potenzialmente utile anche per le operazioni tattiche in Ucraina.

C’è chi ha ipotizzato, in alternativa, che si trattasse di sistemi da ricognizione pesanti BARS-M, ma sembra improbabile poiché questi satelliti hanno una massa stimata di circa 4000 chili. La capacità di carico del vettore Soyuz-2-1v, perlomeno quella dichiarata, sarebbe di invece di 2800 kg per le orbite basse, il che comunque rende plausibile che possa aver lanciato un satellite pesante fino a 10 volte un vero Razbeg. Molti hanno messo in relazione le missioni di Cosmos 2574 e 2575 con esperimenti russi sulla possibile arma spaziale, presunta nucleare o no, sebbene Washington abbia poi affermato che l’allarme riguardava un sistema non ancora dispiegato.

Ma se “non dispiegato” può equivalere a “non completo”, tale definizione può non includere dimostratori tecnologici di un sistema distruttivo spaziale che semplicemente sperimentano il funzionamento in condizioni reali di alcune sue componenti.

Agli Stati Uniti non è certo sfuggito, anzitutto, che il vettore Soyuz-2-1v è lo stesso con cui il 25 novembre 2019 fu lanciato il “satellite ispettore” Cosmos 2542, su orbita di 368 x 858 km. Evidente prototipo di un veicolo antisatellite, come si ricorderà dalle cronache dell’epoca, il 6 dicembre sganciò un satellite parassita, denominato Cosmos 2543.

Insieme i due apparati russi cominciarono, dal 10 dicembre, fino al 5 marzo 2020, a, letteralmente, inseguire, con progressive correzioni orbitali grazie ai propri razzetti di manovra, un satellite spia statunitense della serie KH-11, l’USA-245, avvicinandosi a esso fino a un minimo di 30 km (nulla in termini astronautici).

Poco dopo, per sperimentare un avvicinamento ancor maggiore, che avrebbe potuto dare adito a sospetti di un atto ostile, i russi scelsero come veicolo-bersaglio uno dei loro satelliti, il Cosmos 2535, ufficialmente un sistema militare di geodesia. L’ispettore Cosmos 2543 cominciò l’8 giugno 2020 a tallonare il 2535, fino ad arrivare, il 17 giugno, ad appena 100 metri da esso. Infine, il Cosmos 2543 collaudò persino quello che sembrava un sistema di sparo di un qualche tipo di proiettile, emettendo il 15 luglio 2020 un oggetto chiamato dal NORAD Object 45915, a una velocità relativa fra 140 e 180 metri al secondo, cioè tra 504 e 648 km/h, che non colpì nulla ma entrò esso stesso in rivoluzione attorno alla Terra e tuttora è segnalato su un circuito con apogeo di 770 km e perigeo di 506 km.

Comunque, lo stesso Cosmos 2535, quello che ha fatto da “bersaglio” per l’avvicinamento del 2543, faceva parte di un esperimento a sé stante collegato con la tecnologia dei satelliti “ispettori” manovrabili.

Infatti, è stato lanciato insieme ai gemelli 2536, 2537 e 2538, da un Soyuz-2-1v il 10 luglio 2019. Tutti e quattro i sistemi, segreti e considerati ufficialmente geodetici e per calibrazione dell’osservazione radar da terra, si sono attestati su orbite di 610 x 620 km circa.

Già nell’agosto 2019, Cosmos 2535 e 2536 manovrarono avvicinandosi fra loro fino a un solo chilometro e secondo le rilevazioni del NORAD, fra settembre 2019 e gennaio 2020, il veicolo 2535 sembrò “disintegrarsi”, o meglio emettere fino a 17 frammenti minori, difficilmente interpretabili, se prove di “proiettili” o esche o sensori di qualche tipo.

Osservatori indipendenti come Nico Janssen, Roger Spinner e Johnatnan McDowell hanno notato che nel settembre 2020 il Cosmos 2535 potè probabilmente portarsi così vicino al 2536 da agganciarvisi in un vero e proprio rendez-vous. I due oggetti, all’osservazione da terra sarebbero quindi apparsi per varie settimane come un unico corpo orbitale, come emerge ad esempio da un filmato in telescopia ottica del 19 settembre 2020.

Il 12 ottobre 2020, Cosmos 2535 sembrò sganciarsi dal 2536 e il 16 ottobre se ne era distanziato di 20 chilometri, per poi riavvicinarsi fino a un chilometro. Un nuovo presunto agganciamento fra i due veicoli sarebbe avvenuto, secondo Janssen, l’11 marzo 2021. Il 12 aprile 2021, il Cosmos 2536 si sarebbe separato dal gemello, per poi essere spostato, dal 14 settembre dello stesso anno, in un’orbita a perigeo più basso, apparentemente in disuso.

 

Progetto Nivelir

Si sospetta che i Cosmos 2535 e 2536 facciano parte del cosiddetto Progetto Nivelir, “Livello da cantiere” in russo, volto a sviluppare satelliti “ispettori” per l’inseguimento e, probabilmente, l’intercettazione, di altri veicoli orbitali. Nel citato lancio del 10 luglio 2019, questi sarebbero stati gli “ispettori”, mentre gli altri due, 2537 e 2538, sarebbero stati i veri satelliti geodetici, per giustificare la copertura dei primi due.

Anche i Cosmos 2542 e 2543 rientrerebbero nel progetto Nivelir, sviluppato dagli scienziati dell’istituto TsNIIKhM (Zentralnij Nauchno-issledovatelskij Institut Chimii i Mechanikii, ovvero “Istituto Centrale di Ricerca Scientifica di Chimica e Meccanica”) con sede a Mosca, in via Nagatinskaja.

Un istituto che esiste fin dal 1894, dai tempi dello zar Nicola II, inizialmente deputato alla produzione di esplosivi, e che durante l’Unione Sovietica fu tra i motori dello sviluppo militare dell’Armata Rossa, per esempio contribuendo nel 1940 alla creazione della celebre famiglia di lanciarazzi Katjusha. In tempi recenti l’ente ha rinnovato la sua funzione anche nel campo della cyberguerra, venendogli imputata fra 2017 e 2020 la creazione del virus informatico Triton, così come nella guerra spaziale.

Secondo varie fonti d’analisi occidentali, fra cui Globalsecurity e Bart Hendrickx, le origini del progetto Nivelir, inteso a realizzare satelliti altamente manovrabili con cui effettuare ufficialmente “ispezioni” ai propri satelliti in orbita, ma col risvolto di possibili rendez-vous ostili verso quelli stranieri, si ebbero nel 2011, quando lo TsNIIKhM iniziò a lavorarci sotto impulso degli ingegneri Taras Gavrilenko e Aleksandr Glushkov.

Il primo prototipo sembra sia stato il Cosmos 2491, lanciato il 25 dicembre 2013 da un razzo vettore Rokot il cui terzo stadio era costituito dal motore d’apogeo Briz-KM. A bordo c’erano anche tre satelliti da comunicazioni militari del tipo Strela-3M (Cosmos 2488, 2489 e 2490). Il 2491 non fu inizialmente dichiarato, ma scoperto da osservazioni astronomiche indipendenti.

Sulla medesima falsariga, altri due “ispettori”, Cosmos 2499 e 2504, furono portati in orbita da altri due Rokot rispettivamente il 23 maggio 2014 e il 31 marzo 2015. Il Cosmos 2499 venne osservato dal giugno 2014 compiere numerose manovre orbitali per sperimentare l’avvicinamento e il rendez-vous con il modulo Briz-KM del lanciatore, entrato anch’esso in orbita, e in novembre si era portato a una distanza di un chilometro da esso.

Fonti scientifiche russe hanno ammesso che il 2499 (e presumibilmente altri ispettori) montava motori di manovra a spinta ionica, con accelerazione del propellente mediante campo elettromagnetico, considerati più efficienti dei tradizionali razzi chimici.

Monitorato dagli americani e inserito su un’orbita di 1156 x 1512 km, il 2499 ha sperimentato ulteriori manovre fino al 2017, poi è caduto in disuso e, stando alle rilevazioni dello US Space Command, avrebbe subito una probabile collisione, con un oggetto ignoto, attorno al 24 ottobre 2021, contornandosi di 18 rottami di una certa dimensione. Infine, a seguito di probabile cedimento strutturale, il Cosmos 2499 è stato visto il 4 gennaio 2023 sfasciarsi in 85 frammenti principali.

Il Cosmos 2504, trasportato insieme a tre satelliti da comunicazione Gonets-M (nella foto a lato), diede prova di manovrabilità già poche settimane dopo esser stato immesso nella sua orbita iniziale di 1171 x 1505 km.

Il 13 aprile 2015 cominciò ad avvicinarsi al terzo stadio Briz-KM rimasto esaurito in orbita. Solo dal 15 al 16 aprile, il satellite ridusse la distanza con l’obbiettivo da 4,4 a 1,4 km. Il 16 aprile il modulo Briz-KM fu vistosamente spostato su un’orbita più alta dopo essere stato toccato e spinto dal Cosmos 2504. Il 17 aprile l’ispettore se ne allontanò, ma l’8 ottobre si diresse di nuovo verso il Briz, rimanendogli vicino per alcune settimane.

Dopo un periodo di inattività, il 20 aprile 2017 si avvicinò ai resti di un vecchio satellite meteorologico cinese, il Fengyun 1-C, che era stato usato nel 2007 come bersaglio di un missile antisatellite cinese. Nel contempo ridusse il perigeo da 1145 a 627 km, lasciando l’apogeo quasi invariato, da 1507 a 1502 km.

Intanto il progetto Nivelir prendeva a utilizzare il Soyuz-2-1v come nuovo razzo vettore di riferimento. Il 23 giugno 2017 decollò da Plesetsk un Soyuz che recava il Cosmos 2519, ufficialmente un satellite da osservazione della Terra, orbitante su perigeo di 654 km e apogeo di 669 chilometri.

Ma il 23 agosto si rivelò una sorta di “satellite-madre”, sganciando in orbita un nuovo oggetto, Cosmos 2521, questo probabilmente il vero “ispettore”, che in settembre compì numerose manovre per testare l’avvicinarsi al Cosmos 2486, un satellite da ricognizione tipo Persona in orbita dal 2013.

In ottobre il 2521 tornò ad avvicinarsi al satellite-madre 2519, poi, il 30 ottobre 2017, apparve espellere un oggetto più piccolo, a una velocità relativa di 27 metri al secondo, circa 97 km/h, reputato una sorta di “proiettile”, ma designato dai russi Cosmos 2523, come fosse un mini-satellite.

Il sistema 2519/2521/2523 poteva dirsi, in altri termini, una sorta di “matrioska spaziale”. Nei mesi seguenti, i veicoli 2519 e 2521 cambiarono assetto più volte per avvicinarsi ed allontanarsi vicendevolmente. Per esempio il 14 dicembre 2017 si portarono a una distanza minima di 7 chilometri, poi il 1° marzo 2018 erano a un solo chilometro. A quel punto, Cosmos 2521 aumentò la distanza a 80 km, per tornare sui suoi passi e tornare a sfiorare Cosmos 2519 di 1 km il 7 marzo.

Si separarono nuovamente, e di ben 550 km, riavvicinandosi a 24 chilometri il 26 marzo, poi a un solo chilometro nei giorni seguenti e fino al 30 aprile 2018. In seguito, Cosmos 2519 quasi dimezzò la sua quota di perigeo, mentre 2521 fece altrettanto sia col perigeo che con l’apogeo.

Entrati in quiescienza, precipitarono sulla Terra in tempi diversi. Cosmos 2521 bruciò nell’atmosfera terrestre già il 12 settembre 2019, ma il turno di Cosmos 2519 arrivò il 23 dicembre 2021. Sopravvive tuttora in orbita il “proiettile” o mini-satellite, che pare dormiente, Cosmos 2523. Un nuovo satellite ispettore della serie Nivelir è probabilmente il Cosmos 2558, immesso in orbita polare il 1° agosto 2022 con l’ennesimo Soyuz-2-1v.

Già il 2 agosto il veicolo spaziale russo si è messo alle costole del nuovo satellite spia americano USA-326, un recente esemplare del tipo Crystal che era stato messo in un’orbita di 489 x 517 km, con inclinazione di 97 gradi, dalle US Space Forces appena pochi mesi prima, il 2 febbraio 2022, tre settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina.

Il satellite spia americano aveva già rilevato il 28 luglio la presenza di un oggetto di tipo ignoto, designato semplicemente Object 53315, posto su un’orbita parallela, ma a quote inferiori, 348 x 388 km. Non si è mai saputo se fosse un semplice detrito o un qualche tipo di mini-satellite che già lo sorvegliava.

Poiché l’USA-326 passava con regolarità sopra l’area del cosmodromo militare russo di Plesetsk, per ovvi scopi di ricognizione, come ha rilevato l’esperto olandese di astronautica Marco Langbroek, dell’università di Delft, i russi sembrano averlo aspettato al varco, per lanciare il Cosmos 2558 al suo inseguimento.

Infatti il satellite russo si è attestato sullo stesso piano orbitale di quello americano. Come ha spiegato Langbroek: “Prima del lancio girava già voce che fosse un altro satellite ispettore, un ‘segugio’ per ispezionare segretamente un altro satellite. Dopo che sorsero alcune speculazioni sul potenziale obbiettivo, io feci notare che il centro della finestra di lancio come indicata dal NOTAM (il bollettino Notice To Airmen), circa le 20.30, era vicina al momento in cui il piano orbitale del satellite classificato elettrottico d’intelligence USA-326 passava sopra Plesetsk, alle 20.25. Infatti, è stato effettivamente lanciato alle 20.25, nel piano orbitale di USA 326. E come si è scoperto, a un’altitudine orbitale che è altrettanto vicina”.

La sera del 2 agosto 2022, Langbroek filmò, dalla sua postazione astronomica di Leiden, in Olanda, un video da cui si evince che il satellite russo percorreva lo stesso piano orbitale del satellite spia statunitense, con uno sfasamento, in quel momento, di 30 minuti tra i rispettivi passaggi. Poiché, tuttavia, il Cosmos 2558 vantava una velocità superiore, periodicamente si avvicinava all’USA-326 sorpassandolo. Il video è liberamente disponibile su Youtube e le conclusioni dello studioso olandese sono state corroborate da altri esperti come Jonathan Mc Dowell.

Il generale James Dickinson, dell’US Space Command, ha commentato: “Questo è un comportamento irresponsabile. Noi vediamo che il Cosmos 2558 è in un’orbita similare a quella di uno dei sistemi di più alto valore del governo degli Stati Uniti. Continueremo a sorvegliare il veicolo spaziale russo”.

Il timore del Pentagono, però, più che di una collisione è di captazione di informazioni utili a proposito del loro satellite segreto. Utili a scopo ricognitivo, ma eventualmente anche a un’intercettazione.

L’ispettore russo per molti mesi ha fatto oscillare la sua quota in una ristretta fascia tra 440 e 445 km, poco più in basso del satellite americano. Ha spiegato McDowell con un’efficace immagine: “Se immaginate due atleti che corrono su una pista ma su corsie leggermente diverse, e uno è più veloce dell’altro, ogni tanto uno doppia l’altro e gli passa vicino”.

Nel marzo 2023 Cosmos 2558 s’è avvicinato almeno 4 volte al satellite USA-326 a distanze di 50 km, poi il 13 marzo ha aumentato di molto la sua quota orbitale, portandosi a circa 467 km. Ha ridotto così la sua distanza dal satellite americano fino ai 30 km registrati il 7 aprile 2023. Poi la distanza minima è tornata sui 45 km. Attualmente, ad aprile 2024, Cosmos 2558 permane su un’orbita di 472 x 464 km, inclinata di 97,2 gradi rispetto all’Equatore e con periodo di 93,8 minuti, un percorso che è ancora abbastanza aderente a quello di USA-326, che naviga a una trentina di km più in alto.

Misteriose manovre spaziali russe si sarebbero celate anche dietro l’improvviso rientro in atmosfera di tre satelliti del tipo EO-MKA Razbeg (nella foto sotto) analoghi, teoricamente, a quelli lanciati nel dicembre 2023 e febbraio 2024. Si tratta di veicoli anch’essi coperti da segreto, per cui la denominazione Razbeg potrebbe essere una semplice copertura. E tutti e tre deorbitarono improvvisamente, in tempi diversi, proprio sopra territori statunitensi in vicinanza di basi militari.

Apparenti fallimenti o cadute volute? Il primo di essi, classificato Cosmos 2551, fu lanciato da Plesetsk il 9 settembre 2021 con razzo Soyuz-2-1v, e posto su orbita eliosincrona. Ma già il 20 ottobre 2021, poco più di un mese dopo, precipitò, disintegrandosi nell’arco di mezz’ora, al di sopra degli Stati Uniti continentali, per la precisione in una fascia tra il Tennessee, Kentucky, Indiana e Michigan.

Già il 18 ottobre l’esperto McDowell aveva osservato: “Sembra ormai certo che il satellite spia recentemente lanciato dalla Russia, Cosmos 2551, sia un fallimento. Non ha ancora aggiustato la propria orbita fin dal suo lancio lo scorso 9 settembre e ci si aspetta rientri domani”.

Resta il fatto che il rientro in atmosfera del satellite russo è avvenuto su un’area dove si concentrano varie basi militari americane, per ricordarne solo alcune, il TACOM (Tank-automotive and Armaments Command) dell’Arsenale di Detroit, Fort Campbell, sede della 101a Divisione Airborne, e la base aerea Arnold.

A prima vista potrebbe essere stata un’ironica fatalità, quella di un satellite spia russo difettoso che brucia nell’atmosfera sull’America. Ma il successivo Cosmos 2555, presumibilmente dello stesso tipo, immesso in orbita da un razzo Angara il 29 aprile 2022 su una traiettoria piuttosto bassa di 279 x 294 km, faceva la stessa fine al di sopra dell’area di Guam, il caposaldo americano nel Pacifico Occidentale. Appena 19 giorni dopo il lancio, un presunto guasto ha fatto incenerire il 17 maggio il satellite in questione. Com’è stato possibile un doppio fallimento del genere?

Per giunta seguito da un terzo? Infatti, sempre al di sopra Guam, entro la fine di quell’anno, un altro veicolo spaziale russo Razbeg è rientrato in atmosfera. Era il Cosmos 2560, immesso in orbita eliosincrona da un Angara il 15 ottobre 2022.

Già il 10 dicembre 2022, anch’esso, dopo aver perso quota nei giorni precedenti, finiva nel Pacifico a non molta distanza dalle piste della base aerea Andersen di Guam.

Gli esperti hanno rilevato che il Cosmos 2560 non aveva compiuto alcuna manovra di aggiustamento dell’orbita, abbassandosi sempre più. Naturalmente è possibile che in tutti e tre i casi si sia trattato di clamorose malfunzioni, ma non sembra da escludersi totalmente che la coincidenza di due deorbitazioni presso Guam e una sugli Stati Uniti continentali possa aver a che fare con esperimenti di tipo FOBS sul bombardamento orbitale, che ovviamente Mosca non ammetterebbe mai.

 

Le reazioni di USA e NATO

Il quadro d’assieme è comunque preoccupante, perciò gli Stati Uniti e la NATO stanno già studiando contromisure per proteggere le proprie infrastrutture spaziali. La US Space Force sta attuando un programma di messa in orbita di piccoli satelliti che possano garantire le capacità di ricognizione e comunicazione delle forze armate americane in modalità diffusa, contando sul numero per poter sopportare la perdita di vari satelliti da parte di armi spaziali nemiche.

Concettualmente è, in buona sostanza, una versione militare del sistema civile Starlink sviluppato da Elon Musk. Si tratta del programma Proliferated Warfighter Space Architecture, portato avanti da un’agenzia gestita direttamente dall’USFF, la Space Development Agency. A partire dal 2 aprile 2023, sono stati lanciati in orbita a tutt’oggi, 28 satelliti per comunicazioni ottiche laser e rilevamento missilistico, fabbricati da varie aziende come York Space Systems, Lockheed Martin, Space X e L3Harris.

Si vorrebbe arrivare a 1.000 satelliti di questa “architettura” di sicurezza entro il 2026. Il lancio più recente, avvenuto il 15 febbraio 2024 da Cape Canaveral, catalogato come “missione 124” dell’US Space Force, ha posto in orbita quattro satelliti di preallarme della L3Harris in grado di captare missili sia balistici sia ipersonici, secondo il progetto Hypersonic and Ballistic Tracking Space Sensor (HBTSS), sviluppato insieme alla Missile Defence Agency (MDA).

La rapida disponibilità di una rete diffusa di satelliti militari che possano essere prodotti in serie ad elevato ritmo e immessi in orbita a tamburo battente per colmare vuoti creati da sistemi antisatellite nemici sembra al momento una delle contromisure più efficaci. Che del resto ricorda un po’ la resilienza che mezzo secolo fa fu alla base della nascita di Internet nella sua forma di Arpanet, per opporre il principio della rete all’elevata distruttività delle armi nucleari.

Gli Stati Uniti hanno poi collaborato con varie nazioni della NATO partecipando alla quarta edizione delle esercitazioni spaziali francesi AsterX, che nel nome fanno il verso al noto personaggio dei fumetti d’Oltralpe, Asterix il Gallico, ma anche al primo satellite artificiale francese, l’A-1 Asterix del 1965, anch’esso intitolato al fumetto.

Dalla prima edizione del 2021, le manovre AsterX si sono evolute diventando una grande occasione internazionale di confronto fra i paesi dell’Alleanza Alantica sul tema della protezione dei satelliti militari e civili da attacchi ostili. L’ultima edizione dell’esercitazione si è tenuta come di consueto a Tolosa, al quartier generale del comando spaziale francese, il Commandement de l’Espace, dipendente dall’Armée de l’Air et de l’Espace.

E’ iniziata il 4 marzo 2024 e si è conclusa il 15 marzo, con la partecipazione di 190 militari, sia francesi, sia di 15 paesi alleati. Fra essi, anzitutto gli Stati Uniti, con una rappresentanza della Space Force che, data la maggiore esperienza nel campo, s’è riservata la parte del “nemico”, ovvero il partito rosso simbolizzato dalla nazione di fantasia Mercure, che secondo il tema delle manovre doveva insidiare i satelliti del partito azzurro, i “buoni”, cioè la nazione alleata Arnland.

E’ stata la prima volta, peraltro, che i francesi hanno assegnato a una delegazione alleata la parte dell’avversario. Oltre a Francia e Stati Uniti, le altre nazioni protagoniste di AsterX 2024 sono state vari membri della NATO, compreso il nostro paese, più alcuni alleati extraeuropei: Italia, Gran Bretagna, Giappone, Belgio, Spagna, Portogallo, Romania, Australia, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Germania, Canada, Polonia e Austria. Ad AsterX erano presenti ufficiali italiani del nostro comando spaziale, il Comando delle Operazioni Spaziali (COS) interforze, formatosi nel 2020 come parte dello Stato Maggiore e dipendente direttamente dal COVI, Comando Operativo di Vertice Interforze. L’attuale comandante del COS, generale di brigata Luca Monaco, ha presenziato alle manovre di Tolosa.

Il generale Philippe Adam, a capo del Commandement de l’Espace, ha spiegato a Rudy Ruitenberg di Defense News: “Questo tipo di esercitazione è essenziale per i nostri operatori, ma anche per i nostri processi, per l’addestramento per quella che chiamiamo prontezza operativa, quindi siamo pronti a combattere una vera guerra. È realistico quanto può essere lo scenario di un esercizio, ovviamente, ispirato da molte cose che probabilmente avete riconosciuto”. Alludendo inoltre al fatto che la distruzione fisica di satelliti può generare sciami di rottami orbitanti che potrebbero compromettere intere fasce di quota per il rischio di collisioni a catena, ha osservato: “Se non riusciamo a fermare il nemico nello scenario peggiore, ci sarà un effetto palla di neve e le conseguenze di un attacco del genere potranno durare decenni e alcune orbite diventare del tutto inagibili”.

La direzione tattica delle manovre era affidata al colonnello Mathieu Bernabé ed esse si strutturavano sull’osservazione e gestione simulata di un totale di 4000 oggetti orbitali, affrontando 14 diversi tipi di minaccia e 23 eventi.

Fra le ipotesi operative più plausibili, una chiaramente ispirata ai manovrieri satelliti “ispettori” russi. Ossia l’avvicinamento di un veicolo spaziale della fazione ostile Mercure, dalle intenzioni ignote, a uno dei satelliti del partito amico di Arnland.

Si sospetta, da informazioni di intelligence, che il satellite di Mercure disponga di un braccio robotico con cui può causare danni, perfino far deorbitare, il satellite amico. La contromisura consiste nell’inviare a protezione del satellite di Arnland un proprio satellite “pattugliatore” che agisce contro la minaccia.

Come ha spiegato il colonnello Bernabé: “AsterX è un laboratorio in cui ci si confronta con situazioni, si sperimentano soluzioni e si impara la retroazione. La sfida è allenarsi a gestire una situazione spaziale in un contesto inter-forze e multidominio, che significa anche cyber e informativo. Così diventiamo abili nel giocare sull’intero spettro”.

Per ora si tratta di simulazioni, ma i francesi stanno concretamente lavorando sul concetto di satellite “patroullier”, cioè “pattugliatore”, preconizzato nelle esercitazioni interalleate. Il CDE e la DGA, Direction Générale de l’Armement, hanno commissionato al CNES, Centre National d’Etudes Spatiales, e all’industria Hemeria di Tolosa la realizzazione di due prototipi di satellite pattugliatore denominati YODA, richiamando forse anche l’omonimo mostriciattolo della saga di Guerre Stellari, ma soprattutto contraendo in sigla la definizione di Yeux en Orbite pour un Démonstrateur Agile, “Occhi in orbita per un dimostratore agile”.

Per quel poco che è stato divulgato, i due YODA sarebbero dei nanosatelliti con peso massimo fino a 20 kg, da porre in orbita geostazionaria, circa 36.000 km di quota, e destinati “alla difesa attiva dei satelliti militari francesi”.

Non è chiaro come da quella quota lontana possano intervenire tempestivamente a difesa dei satelliti amici in orbita media e bassa, ma anche nelle orbite alte, contando l’aumento delle circonferenze, e quindi delle distanze, al crescere delle quote. Del resto, le loro piccole dimensioni indicano che non potrebbero trasportare sistemi offensivi, se non miniaturizzati.

A parte il fatto che si tratta di dimostratori tecnologici non operativi, è plausibile siano sorveglianti in grado di rilevare l’avvicinarsi di satelliti “ispettori” avversari, per poi trasmettere i dati a un altro veicolo deputato all’azione diretta. Si sa infatti che la Francia sta lavorando anche a un altro tipo di “patrouillier”, il Lisa-1 della U-Space. Il lancio degli YODA era previsto nel 2023, ma ha subito forti ritardi e ora si presume che avverrà entro la fine del 2024 o, al più tardi, nel corso del 2025.

 

Spazioplani del mistero

Gli Stati Uniti, sempre pronti ad additare la Russia, custodiscono dal canto loro gelosamente i loro segreti spaziali militari non meno che il loro storico avversario, a cui negli ultimi anni s’è aggiunta la Cina. Alla fine del 2023 è decollato dal Kennedy Space Center per una nuova missione uno dei due spazioplani Boeing X-37B che dal 2010 la NASA e poi la US Space Force hanno inviato in orbita per periodi molto lunghi, che durano anche due-tre anni prima del rientro in atmosfera. Questo vero e proprio mini-shuttle senza equipaggio è ormai ben noto. E’ un velivolo spaziale riutilizzabile, che atterra in planata dopo lunghe permanenze nello spazio.

Lungo 8,9 metri e con apertura alare di 4,5 metri, per un peso massimo di quasi 5000 kg e una capacità di carico di, almeno, 227 kg, l’X-37B porta carichi segreti, specialmente nelle missioni militari catalogate USSF. Nel recentissimo lancio del 29 dicembre 2023, per la prima volta un X-37B è stato portato nello spazio da un grosso razzo vettore Falcon Heavy della società SpaceX di Elon Musk, un colosso a due stadi alto 70 metri.

E per la prima volta lo spazioplano è stato immesso non in un’orbita bassa, bensì su una cosiddetta orbita alta ellittica, detta altresì orbita di tipo Molnija (“Lampo” in russo) dal nome dei primi satelliti sovietici che inaugurarono questo tipo di traiettoria. Si tratta di un’orbita con apogeo molto lontano dalla Terra, anche nella fascia geostazionaria e oltre, ma con perigeo relativamente vicino.

I dati orbitali dell’attuale missione dell’X-37B, inizialmente tenuti segreti, sono stati poi dichiarati in base ai rilevamenti del NORAD e, al momento in cui scriviamo, nell’aprile 2024, constavano di un apogeo di ben 37.870 km, poco oltre la regione geostazionaria, e di un perigeo di soli 314 km, con inclinazione di 59,3 gradi sull’Equatore.

La durata prevista dell’attuale missione è di 1000 giorni, cioè all’incirca fino al 2026 inoltrato, salvo rettifiche. L’adozione di un’orbita tipo Molnija è solitamente indicata per satelliti da comunicazioni, ma anche da sorveglianza e preallarme, che al culmine dell’ellisse possono di fatto coprire tutto l’emisfero Nord del pianeta.

Il carico dell’attuale volo, classificato USSF-52, è segreto, ma solitamente gli americani sostengono che gli X-37B trasportano attrezzature per esperimenti. La missione immediatamente precedente, durata dal 2020 al 2022, di un X-37B (l’altro esemplare esistente) imbarcava un satellite sperimentale FalconSat-8, sviluppato dall’USAF Academy e dall’Air Force Research Laboratory, dotato di sistemi di manovrabilità elettromagnetici forse simili a quelli collaudati su alcuni satelliti ispettori russi, ma anche un sistema prodotto dai laboratori NRL (Naval Research Laboratory) della US Navy, per provare la trasmissione di energia tramite microonde. Sistema, quest’ultimo le cui esperienze potrebbero essere utili agli americani per creare, all’occorrenza apparati a microonde modulabili su frequenze, dannose per satelliti avversari.

La precedente missione, anch’essa gestita dall’US Space Force, era catalogata USSF-7 ed era iniziata con la partenza il 17 maggio 2020 da Cape Canaveral, su un razzo Atlas V501, dello spazioplano, poi immesso su perigeo di 388 km e apogeo di 404 km. Era stata, fino ad allora, la missione più lunga di un X-37B, con 908 giorni, conclusasi con l’atterraggio su una pista del Kennedy Space Center il 12 novembre 2022.

L’attuale volo spaziale dell’X-37B, oltre a monitorare intuibilmente l’attività russa, sembra anche una risposta al terzo volo dello spazioplano cinese senza equipaggio Shenlong (nelle immagini sotto), trasportato in orbita bassa di circa 350 km di quota da un razzo vettore Chang Zheng (Lunga Marcia) CZ-2F dal poligono di Jiuquan il 14 dicembre 2023.

Tuttora orbitante, lo Shenlong è stato osservato rilasciare sei oggetti in orbita di natura ignota che lo accompagnano come gregari di volo. Inoltre, particolare ancora più inquietante, il 21 dicembre 2023 l’astronomo Scott Tilley ha dichiarato al South China Morning Post che lo Shenlong, o uno degli oggetti suoi sussidiari, sembrava emettere segnali radio più forti a ogni passaggio sopra il Nordamerica.

Ha sostenuto: “Vedo uno schema nelle sue emissioni radio mentre è sopra di me e sembra favorire i passaggi occidentali a bassa quota. Ciò potrebbe indicare una stazione terrestre clandestina sulla costa occidentale del Nord America o su una nave al largo la costa”. Una stazione segreta cinese in Nordamerica o al largo delle sue coste che riceve segnali dallo spazio?

L’ipotesi non sembra da scartare a priori. Di certo, lo Shenlong, che avrebbe grossomodo sembianze simili all’X-37B, ne ha fatta di strada. Al primissimo volo orbitale, il 4 settembre 2020, sempre da Juiquan, si era concluso già il 6 settembre con l’atterraggio su una posta segreta del poligono desertico di Lop Nur, dopo appena due giorni.

Ma già la seconda missione spaziale, lanciata il 4 agosto 2022 e terminata, sempre con l’atterraggio a Lop Nur, l’8 maggio 2023, era durata 276 giorni, in cui lo shuttle-robot cinese aveva testato la sua capacità di eseguire numerose manovre di riassetto.

Che anche i cinesi stiano studiando qualcosa di simile a “satelliti ispettori” come fanno i russi, gli americani lo temono in relazione a un parallelo programma di “satelliti spazzini”, ufficialmente studiati per “la pulizia delle orbite dai rottami spaziali”, ma evidentemente utilizzabili anche per sviluppare capacità di ingaggio di satelliti ostili e loro danneggiamento o distruzione.

Già il 3 novembre 2016 la Cina lanciò il prototipo Shijian 17, tuttora operativo in orbita geostazionaria, definito “in grado di individuare la spazzatura spaziale” e che gli americani sospettavano dotato “di un braccio robot per afferrare o distruggere satelliti avversari”. Poi, il 24 ottobre 2021, ecco arrivare a 36.000 km di quota un suo sviluppo più perfezionato, lo Shijian 21, anch’esso munito di un braccio robot e accompagnato da un piccolo sub-satellite da esso sganciato.

Già il 27 ottobre il generale James Dickinson, dell’US Space Command, in una nota indirizzata al Congresso di Washington, esprimeva la preoccupazione che fosse un prototipo di satellite killer. Timori incrementati quando, il 22 gennaio 2022, Shijian 21 ha dato dimostrazione pratica della sua forza agganciando un vecchio satellite cinese in disuso Bei Dou, dell’omonima rete di geolocalizzazione di Pechino, e lo ha trasportato in una cosiddetta “orbita cimitero” a circa 3000 km più in alto della quota geostazionaria.

 

Casus Belli

Già il 2 dicembre 2021 il generale americano David Thompson della US Space Force avvertiva: “I satelliti americani sono sotto attacco quasi ogni giorno da parte di Russia e Cina con mezzi non distruttivi come interferenze radio, virus informatici e raggi laser. Stanno mandando un messaggio agli Stati Uniti, per far capire che in caso di guerra potrebbero neutralizzare gran parte delle sentinelle orbitanti del Pentagono”.

I disturbi elettronici erano solo le prime avvisaglie dei continui progressi volti a minare l’infrastruttura spaziale statunitense, vero “sistema nervoso” in grado di coordinare alla perfezione la panoplia del Pentagono. Poco più di un mese prima, il capo di Stato Maggiore della Difesa USA, generale Mark Milley aveva pure ammonito: “Siamo vicini a un momento Sputnik”. Così come il 4 ottobre 1957 la messa in orbita dello Sputnik 1 da parte dell’Unione Sovietica, che aveva battuto gli Stati Uniti nella corsa al primo satellite artificiale, aveva terrorizzato Washington, ora ancora dall’Eurasia giungeva in rinnovate forme una sfida cosmica.

Alla citata epopea dei satelliti “ispettori”, peraltro, i russi hanno aggiunto  anche quella, più tradizionale, dei missili antisatellite sparati da terra. Il 15 novembre 2021, per la prima volta il missile antibalistico e antisatellite russo A-235 PL-19 Nudol (nella foto sotto), decollato da Plesetsk, ha intercettato e abbattuto un vecchio satellite di epoca sovietica, il Cosmos 1408, con un test inizialmente tenuto segreto e non ammesso dal Cremlino, ma denunciato già il 16 novembre da Stati Uniti e Gran Bretagna perché aveva dato luogo, stando alla NASA, a una “evidente nuvola di detriti in orbita che mette a rischio la stazione spaziale internazionale ISS”.

Il generale Dickinson ha subito denunciato, supportato dai rilevamenti del NORAD, che i russi avevano fatto il tiro al bersaglio col Cosmos 1408, in orbita dal 1982 e ormai spento. L’impatto del missile Nudol sul vecchio rottame ha sparso in una vasta fascia orbitale almeno 1500 rottami vaganti di dimensioni tracciabili, più, presumibilmente, altre centinaia di migliaia di frammenti più piccoli, pericolosi in caso di collisione con la ISS o con satelliti civili.

Il Cosmos 1408 era su un’orbita polare compresa fra perigeo di 472 e apogeo di 497 km. Un altezza di poco superiore alla quota orbitale della ISS, fra 418 e 422 km, tanto che gli astronauti della stazione hanno temuto per la loro incolumità. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price ha parlato di “gesto irresponsabile”. La NASA, pure, ha condannato il test di guerra antisatellite e il ministro della difesa britannico Ben Wallace ha accusato Mosca di “disprezzo per la sicurezza nello spazio”. In verità, finora, si è trattato dell’unica distruzione di satellite effettuata dal Nudol, che era comunque al suo undicesimo collaudo, a partire dal primissimo lancio sperimentale del sistema, avvenuto il 12 agosto 2014. Dell’A-235 PL-19 Nudol si hanno dati frammentari.

Si tratterebbe di un missile bistadio lanciabile da rampa autocarrata e asservito a radar. E’ in grado di portare sia una testata convenzionale, sia una nucleare, per quanto questa vietata dal trattato del 1963 Limited Test Ban Treaty, che proibisce le esplosioni nucleari nello spazio, in atmosfera e negli abissi sottomarini. Avrebbe un peso al decollo stimato fra 9 e 10 tonnellate e un raggio d’azione massimo di 1500 km, per una quota massima operativa di 800 km. Dopo l’abbattimento del Cosmos 1408, il missile Nudol è stato collaudato ancora due volte, finora, ma senza bersagli fisici, il 2 dicembre 2022 e il 16 marzo 2024.

Lo scoppio della guerra russo-ucraina, il 24 febbraio 2022 non ha fatto che peggiorare la tensione anche nel campo spaziale. A pochi giorni dall’inizio del conflitto, il 3 marzo, il direttore dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, Dmitry Rogozin (nella foto sotto) ha dichiarato che un attacco, anche solo hacker, ai satelliti russi sarebbe stato considerato “una dichiarazione di guerra”. Ha precisato: “Voglio avvertire coloro che stanno cercando di farlo che questo è un crimine che dovrebbe essere punito molto severamente, perché la rimozione del raggruppamento spaziale di qualsiasi paese dal suo servizio è un cosiddetto casus belli, ovvero un motivo di guerra”.

Rogozin ha negato, come si diceva in quei giorni, che gli hacker di Anonymus avessero bloccato i computer del centro di controllo spaziale di Roscosmos. Secondo gli hacker: “La Russia non ha più il controllo sui propri satelliti-spia”. Ma Rogozin ha ribattuto: “Tutti i nostri centri di controllo delle attività spaziali funzionano normalmente”.

Il 24 aprile 2022, Rogozin è tornato ad attaccare gli USA, con esplicito riferimento allo spazioplano X-37B: “Un possibile uso di armi antisatellite da parte di un paese, e un attacco a nostri satelliti può portare alla Terza Guerra Mondiale. L’X-37B, in orbita da due anni, può essere un vettore di qualche tipo di apparato di intelligence e un vettore di armi di distruzione di massa”.

Il 27 ottobre 2022 è stata la volta del vicedirettore del Dipartimento per la non proliferazione e il controllo degli armamenti del ministero degli Esteri russo, Konstantin Vorontsov: “Vorrei richiamare l’attenzione sulla tendenza pericolosa, emersa nel corso degli sviluppi in Ucraina. Cioè l’uso delle infrastrutture civili dello spazio extra-atmosferico, comprese quelle commerciali, nei conflitti armati da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati. I satelliti commerciali degli Stati Uniti e dei loro alleati potrebbero diventare obiettivi legittimi per Mosca se venissero coinvolti nella guerra in Ucraina.

Le infrastrutture quasi-civili possono essere un obiettivo legittimo per un attacco di rappresaglia. Stiamo parlando del coinvolgimento di componenti di infrastrutture spaziali civili, anche commerciali, da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati in conflitti armati”. Nel mirino venivano ventilati i satelliti che assicurano le coordinate GPS, per guidare bombe e droni, e in genere i satelliti da osservazione terrestre (anche quelli civili della società Maxar), quelli spia o da telecomunicazioni, forse anche gli stessi Starlink di Elon Musk che consentono all’Ucraina di accedere al web.

I moniti dei russi, abbinati ai loro vari esperimenti di satelliti “ispettori” hanno lo scopo di avvertire gli americani che, se anche al momento Mosca non dispone di sistemi realmente operativi, le esperienze coi prototipi possono essere rapidamente tradotte in un fattore militare permanente, se gli Stati Uniti non capiranno, dal punto di vista del Cremlino, che è ora di imbastire un dialogo a livello globale che tocchi tutti i settori di tensione. L’America sa che, fra le grandi potenze, è quella che ha più da perdere nel caso di una guerra spaziale che trasformi le fasce orbitali in impraticabili sciami di relitti.

Perciò già il 18 aprile 2022 l’amministrazione del presidente Joe Biden ha proclamato una moratoria unilaterale su collaudi fisici di armi antisatellite, sperando che ciò bastasse a far retrocedere la Russia. Ma Mosca non pensa per settori stagni, vedendo invece la questione degli equilibri spaziali come una delle tante sfaccettature del più generale equilibrio con USA e NATO, di cui il proseguire della guerra in Ucraina è la manifestazione più palese.

Il 14 settembre 2023 il Dipartimento alla Difesa USA ha pubblicato un documento sulla strategia spaziale americana che recita, fra i suoi passaggi: “I competitori hanno notato che i vantaggi militari americani sono stati migliorati dalle capacità spaziali per tre decenni. I competitori cercano quindi di negare agli Stati Uniti la capacità di far leva sullo spazio in crisi e conflitti e stanno sviluppando una gamma di abilità per farlo”.

A rimedio, viene posto l’accento sulla resilienza delle reti satellitari, ma anche sulla deterrenza che deve venire dalla capacità di infliggere pari danni ai sistemi spaziali dell’avversario.

In particolare: “Il Dipartimento alla Difesa deve avere l’infrastruttura per scoraggiare l’aggressione e proteggere le capacità spaziali USA da un attacco. La resilienza è fondamentale, ma da sola non è sufficiente alla deterrenza di ogni attacco o a garantire i servizi spaziali USA da perdita o degradazione. Il Dipartimento richiede capacità militari spaziali congiunte per difendere assetti commerciali spaziali americani e alleati e proteggere la forza congiunta e gli alleati da utilizzi ostili dello spazio da parte degli avversari”.

Infine, sono emerse informazioni sul carico utile del veicolo di lancio Soyuz-2.1b, lanciato il 17 maggio dal cosmodromo di Plesetsk, nella regione di Arkhangelsk (nella foto sopra) portando in orbita una “carico di interesse del Ministero della Difesa” e secondo quanto emerso anche due satelliti di telerilevamento terrestre Zorkiy-2M e quattro satelliti del sistema di identificazione automatica SITRO-AIS, che traccia il traffico marittimo.

In sostanza, il confronto spaziale può dirsi già avviato, seppure ancora limitato a sistemi prototipici ed esperimenti, il cui valore sembra per il momento quello di “messaggi” reciproci volti a tastare il terreno per una eventuale trattativa, con relativa moratoria, ancora possibile, ma non scontata perché direttamente intrecciata alle tensioni del conflitto russo-ucraino.

Foto: Ministero della Difesa russo, New Scientist, AFP, Almaz-ntey, Heavens Above e Roscosmos.

 

Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.

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