L’Olanda e i 37 JSF, la volpe e l’uva

Meno della metà. Cosa ci sia davvero dietro la decisione dell’Olanda di ridurre da 85 a 37 il numero di F-35 a decollo convenzionale chiesti dalla sua aeronautica militare per sostituire poco più di 60 F-16, lo sapremo solo a bocce ferme. L’impressione è che la crisi economica nell’Eurozona stia davvero facendo “dare i numeri” a governi e pianificatori militari. “Optare  per un numero modesto di esemplari del miglior caccia disponibile significa aver avuto il senso della realtà”. Così il comunicato del Governo de L’Aja nel dare la notizia. Ad aprile la gloriosa RAF britannica resterà con soli 7 reparti da combattimento, come l’Italia; la Francia mette “in naftalina” parte dei suoi piloti da caccia; la Svizzera si accontenterà di soli 22 nuovi Saab Gripen New Generation, e la Svezia, che ha lanciato questo programma, non ordinerà più di 60 esemplari. Le flotte di aerei da combattimento dimagriscono a vista d’occhio ma, si osserva, un caccia di nuova generazione ne vale un gran numero di quella vecchia. Ma se anche il nemico ragiona così, siamo punto a capo.

Tentiamo un rapida analisi partendo dai numeri. Rispondere alla domanda “c’è una soglia minima di credibilità per una linea di velivoli da combattimento?” è impossibile e comunque fuorviante. Con soli 37 aerei multiruolo (in realtà, strike con l’aria-aria come missione secondaria), l’Olanda non potrà partecipare alle missioni internazionali con gli attuali assetti. Schierare oltremare per lunghi periodi di tempo i soli 4 F-35A per volta richiamati nella nota de L’Aja, vuol dire tenerne pronti in patria almeno altri 8-10. Dodici-quattordici aerei taskati sono almeno un terzo del totale, ma non è solo un problema di numeri: una flotta ridotta all’osso pone ancora più in risalto le problematiche logistico-capacitive di configurazioni inevitabilmente non omogenee. Dei 37 esemplari del JSF qualcuno sarà poi di sicuro tenuto in riserva. Vogliamo dire un ottimistico 15 %? Fanno 6 aeroplani e mezzo. Quattordici più 6 fa venti, quindi ne restano 17. Di questi, almeno la metà sarà ferma a rotazione per manutenzione e altri interventi (retrofit, riparazioni e quant’altro) e neppure presente entro i confini nazionali, ma all’estero (negli Stati Uniti oppure in alternativa nel centro MRO&U che la Gran Bretagna prima o poi metterà in piedi, o il Cielo volesse, tra le risaie del Novarese). In caso di conflitto l’Olanda resterebbe così con soli 7-8 Joint Strike Fighter. Forse un po’ pochini per garantire il servizio QRA (Quick Reaction Alert) per il controllo e la difesa dello spazio aereo nazionale, per assicurare  turni di l’addestramento e allenamento di piloti e specialisti, per i vari impegni inteforze, per la stessa NATO.

Si pensa di ovviare lavorando in pooling col Paese vicino (il Belgio per il QRA, nella fattispecie), ma la strada ancora incerta della guerra aerea “in cooperativa” ricorda tanto la storia della volpe e dell’uva. Anni fa i capi della forza area olandese avevano avvertito Governo e Parlamento: non possiamo ridurre più di tanto gli ordini di F-35, da 85 al massimo possiamo scendere a 60.Come la prenderà adesso l’industria? Con quali argomenti le verrà spiegato che “azzoppando” la partecipazione al programma, compensazioni industriali e ritorni occupazionali scenderanno in picchiata?

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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